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Senza pietà (1948)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 dic 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 3 giu 2023


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Senza pietà

Italia 1948 dramma 1h30’


Regia: Alberto Lattuada

Soggetto: Ettore Maria Margadonna

Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli

Fotografia: Aldo Tonti

Montaggio: Mario Bonotti

Musiche: Nino Rota

Scenografia: Piero Gherardi

Costumi: Piero Gherardi


Carla Del Poggio: Angela Borghi

John Kitzmiller: Jerry Jackson

Pierre Claudè: Pierluigi

Folco Lulli: Giacomo

Giulietta Masina: Marcella

Otello Fava: sordo

Daniel Jones: Richard

Lando Muzio: capitano sudamericano

Carlo Bianco: barone Hoffmann

Romano Villi: bandito

Mario Perrone: bandito

Enza Giovine: suor Gertrude


TRAMA: Costretta ad andar via di casa per una maternità, tra l'altro finita male, Angela parte per Livorno alla ricerca del fratello. Sul treno viene scoperta senza biglietto e finisce in galera. Quindi, invece di trovare il fratello (che nel frattempo è morto), fa la conoscenza di Jerry, un sergente americano di colore che s'innamora di lei. Conosce anche Pierluigi, il capo della malavita locale e per colpa di lui diventa prostituta.


Voto 6,5

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Di “Senza pietà” o similari è pieno l’elenco dei titoli del cinema mondiale, specialmente in quello del noir o del western. Invece qui siamo nel pieno dopoguerra italiano tra le rovine postbelliche e si tratta di un’opera che rientra di diritto nel neorealismo. È Alberto Lattuada, eccellente narratore di quel genere e dell’Italia anni ’40 e ’50, che dirige una storia come le tante che la povera gente viveva. Secondo il mai dimenticato Callisto Cosulich fu il produttore Carlo Ponti - a quel tempo ancora alla Lux Film - a suggerire al regista la realizzazione del film, basato su un soggetto di Margadonna, dal titolo originale di Bye Bye Otello, e segnò la seconda collaborazione tra Federico Fellini, qui cosceneggiatore assieme al mitico Tullio Pinelli, e Lattuada.

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L’Italia che troviamo è quella che spinge le persone a sopravvivere con il contrabbando e la prostituzione: la miseria, le armi rimaste in giro e la dissoluzione morale ancora nell’aria, sono terreno fertile per ogni intrallazzo. E mica solo da noi. La didascalia iniziale, infatti, avverte che questi accadimenti potrebbe avere luogo in qualunque Paese reduce da un conflitto così devastante e, a dimostrazione, tante sono state le pellicole in campo internazionale che hanno raccontato vicende simili. Soltanto quando cessa il rumore dei combattimenti, gli uomini scoprono l'orrore della guerra e si ritrovano percossi e il loro castigo si rinnova ogni giorno. Questo film vuol essere una testimonianza di verità. La storia si svolge in Italia, ma potrebbe svolgersi in qualunque parte del mondo dove la guerra ha fatto dimenticare agli uomini la pietà.

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La trama è drammatica, storia in cui, in Toscana, tra Firenze e Livorno, Angela, disperata per la perdita del figlio appena nato, alla ricerca del fratello disperso, finisce in prigione e poi sotto le grinfie di uno sfruttatore della prostituzione. Conosce un sergente di colore americano, tra i due nasce l'amore che non ha il tempo di (r)esistere, poiché in storie come queste non c’è spazio per la speranza. Sebbene il regista non amasse molto essere definito un autore neorealista, il film ne assorbe tutte le tematiche e, in uno sviluppo dettato dalle situazioni estreme, ancor più avvelenate dal clima del periodo, non nasconde i toni acerbi funzionali al melodramma, anche riferito al pregiudizio del concetto razziale e sull'impossibilità da parte dei deboli di ribellarsi al regime malavitoso. Il finale è tragico, come prevedibile e non concede speranza di alcun tipo.

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Il ritmo è adeguatamente veloce, ambientazione è credibile (vedi la famigerata pineta livornese, regno della malavita nell'immediato dopoguerra,) perfette le inquadrature e infine molto buone le interpretazioni a cominciare dalle due donne: Giulietta Masina fu premiata quale miglior attrice non protagonista ai Nastri d’Argento, ma chi notevole è il personaggio principale, Angela, interpretata da Carla Del Poggio, importante attrice di quegli anni e moglie di Lattuada da tre anni.

Nel cast, come tipico del neorealismo, numerose sono le presenze di non professionisti. Non che si tratti di un capolavoro, ma l’intreccio è efficace, amaro e appassionante, mentre si apprezzano le musiche di Nino Rota e la fotografia in stile noir da Aldo Tonti.



 
 
 

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