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Deux femmes (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 8 ago
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 24 ago

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Deux femmes

Francia 2022 dramma biografico/thriller 1h28’

 

Regia: Isabelle Doval

Sceneggiatura: Chantal De Rudder, Stéphane Brisset

Fotografia: Yves Dahan

Montaggio: Nicole Brame

Musiche: Nicolas Jorelle

Costumi: Agathe Darquin

 

Odile Vuillemin: Colette Chevreau

Agathe Bonitzer: Anne-Marie Leroux

Aurélien Recoing: commissario André Faureins

Nicolas Beaucaire: Pierre Chevreau

Pierre Rochefort: ispettore Berthelot

Nicolas Wanczycki: dott. Lefèvre

Stéphan Wojtowicz: Pierre Sélignac

Didier Flamand: Georges Leroux

Laurène Doval: Denise Ferrand

Laurent Mouton: Antoine Bonnefond

 

TRAMA: Nel 1965, Colette Chevreau vive rivendicando la propria libertà morale ma viene ingiustamente accusata da un commissario misogino e incarcerata. Viene salvata dalla ghigliottina grazie all’intervento di una giudice istruttore timida e riservata, che sceglie di ribellarsi al machismo della gerarchia giudiziaria dell’epoca.

 

VOTO 6,5


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Ancora un film ispirato ad una storia vera, quella della signora Monique Case, la moglie di un negoziante che viveva a La Guerche-sur-l’Aubois. Sulla sua vita alquanto libera e lontana dalla mentalità predominante su cui circolavano parecchie voci. La donna, elegante e socievole, fu accusata di un omicidio con la complicità di un gendarme incaricato delle indagini, Jules Barrault. I media locali, nazionali e presto internazionali ne fecero un caso tanto che la sospettata fu soprannominata “Monique la diabolica”. Gli inquirenti, convinti di aver trovato il colpevole ideale, furono implacabili, mentre a Parigi stava facendo scalpore l’omicidio politico di Ben Barka e questo crimine era utile per servire da diversivo.



La regista Isabelle Doval, cambiando i nomi, ne narra i particolari, sia per dimostrare quanto la protagonista fosse innocente sia per rendere chiaro quale tipo di società maschilista e patriarcale, ma soprattutto misogina, imperasse in tempi in cui addirittura una donna, per esempio, non aveva neanche diritto ad aprire un conto corrente bancario se non - incredibile a dirsi - con l’autorizzazione del marito. Per non parlare dell’aborto che, vietato per legge, era punito molto severamente. Se a ciò si aggiunge che era in vigore la pena di morte tramite ghigliottina, il clima appare certamente rigido da punto di vista penale.



Questo antifemminismo si manifesta nella trama più volte, a cominciare dal modo di effettuare le indagini che il commissario André Faureins svolge dopo il sorprendente delitto di un funzionario di banca, Antoine Bonnefond, colpito e bruciato nella propria auto nella campagna vicina alla città, che era stato amante della protagonista, la signora Colette Chevreau, la quale però era sul punto di troncare l’ultima relazione con un agente di polizia. Due delle tante che lei aveva avuto: spiegava infatti che dopo aver avuto tre figli dal marito, tra loro era venuta meno l’attrazione fisica e, d’accordo tra i due, lei aveva dedicato il suo tempo libero ad altri uomini, pur senza mai venir meno ai suoi doveri di madre affettuosa. Siccome il commissario è una persona autoritaria ma soprattutto presuntuosa e vanitosa dei suoi – a sentir lui – innumerevoli successi nel campo investigativo, vuole sbrigare in pochi giorni l’affaire e una volta messa sotto tiro la donna “facile” di cui parlano tutti, la accusa senza mezzi termini, nonostante la mancanza di prove sufficienti per arrestarla.



Colette ha conoscenza dell’orario in cui ha incontrato il bancario e non coincide con quello che il perito ha stabilito con molta faciloneria per il decesso e in più ha un alibi di ferro, essendo stata in quel momento in un posto che però non può rivelare pena mettere nei guai il dottor Lefèvre che pratica aborti contro legge: parlando e rivelando dove fosse nel momento reale dell’omicidio, caccerebbe in galera sia il medico che la ragazza che con la madre si era recata con lei per l’intervento illegale. Quindi preferisce star zitta ma così facendo il commissario la stringe in un cerchio sempre più stretto, fino a tradurla in carcere quale sicura assassina, mentre il popolino del luogo inventa – sotto la spinta interessata del poliziotto – passioni varie di Colette e persino orge sessuali con giovanotti. Fa molta invidia la libertà morale ed economica della sospettata, che invece aveva ereditato dal padre una ingente fortuna finanziaria che la rendeva libera e benestante. Troppa invidia suscita la sua mentalità ed ora è l’esempio perfetto, per quella popolare e retrograda, dell’assassina senza scrupoli.


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La sua fortuna è che il presidente dell’ufficio istruttore, maschilista quanto e più del commissario, affida malvolentieri alla giudice Anne-Marie Leroux - timida e riservata, a cui il capo non darebbe alcun incarico ritenendola, in quanto donna, incapace - l’incartamento, sicuro che non saprà raggiungere alcun risultato, obbligandola a chiudere quanto prima la faccenda. Invece la donna si accorge che molte cose non quadrano e puntigliosamente indaga fino a scoprire particolari volutamente trascurati. Incontra la carcerata e si avvia a fare chiarezza, facendo indispettire ancora di più il suo capo, sempre più nervoso, perché da Parigi il ministero fa pressione affinché il caso, divenuto appositamente clamoroso a livello nazionale, copra il delitto politico di Ben Barka, il personaggio marocchino scomodo che fu uno dei principali oppositori socialisti di re Hassan II e il leader del movimento del Terzo Mondo e Panafricanista. Presa la strada giusta delle indagini, il crimine viene risolto dalla volenterosa giudice con l’aiuto di chi ha interesse, invece, di restare zitto per non avere guai con la giustizia.


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Thriller moderato ma piuttosto dramma giudiziario mentre impera l’insopportabile maschilismo in un’era di arretratezza sociale: lo spettatore sa che Colette è innocente ma l’ambiente, investigativo e cittadino, è contro l’innocente, colpevole, al massimo, di una vita libera e di una visione aperta dal punto di vista sessuale e di relazioni. La si può accusare di tutto ma non del delitto in questione. Odile Vuillemin, bella e vistosa in quell’ambiente provinciale, rappresenta bene il personaggio e la regista Isabelle Doval indovina l’interprete, che si dimostra adatta al suo ruolo. Parteggiare per questo personaggio è spontaneo e si soffre vedendola sotto pressione, anche per il pressante stalkeraggio a cui vengono sottoposte le donne protagoniste. Da una parte il sistema maschile, dall’altra due donne (ecco il titolo) che si affrontano sul tema dell’indipendenza, dell’autonomia e dello status femminile. In mezzo, la signorilità degli anziani genitori di Anne-Marie Leroux, che si contrappongono all’invadente e antipatico commissario André Faureins, continuamente con la sigaretta accesa. In buona sostanza, la misoginia della società francese in un tempo non troppo lontano. Tempo ben fotografato dalla regista ricreando la giusta ambientazione e gli abiti anni ’60.


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Nato come film per la TV francese, si avverte appena questa sua declinazione ma giusto il minimo. Un elogio per la brava Odile Vuillemin, che porta una modernità che si adatta all’anticipo del tempo di Colette in relazione alla disposizione del suo corpo e al fatto che è capace di dire a suo marito che non era più nei suoi desideri e che quindi avrebbe avuto degli amanti e che lui doveva accettarla così com’è. Pettegolezzi e verità, mentalità antiquata e modernismo femminile, false testimonianze estorte al fine di raggiungere lo scopo e realtà giudiziaria. Maigret è lontano mille miglia, essendo stato un personaggio letterario di grande spessore umano e di intelligenza meditata, il contrario di questo commissario impulsivo e, diciamolo, disonesto. Il film ci parla della disposizione del corpo della donna, della legittimità di poter gestire il proprio corpo senza lo sguardo dell’uomo su di esso, ma sia chiaro: fa un’osservazione, non apre un dibattito sull’aborto.



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Il Cinema secondo me,

michemar

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