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Hammamet (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 28 apr 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 22 gen

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Hammamet

Italia 2020 dramma biografico 2h6’


Regia: Gianni Amelio

Sceneggiatura: Gianni Amelio, Alberto Taraglio

Fotografia: Luan Amelio Ujkaj

Montaggio: Simona Paggi

Musiche: Nicola Piovani

Scenografia: Giancarlo Basili

Costumi: Maurizio Millenotti

Trucco: Andrea Leanza


Pierfrancesco Favino: il Presidente

Livia Rossi: la figlia Anita

Alberto Paradossi: il figlio

Luca Filippi: Fausto Sartori

Silvia Cohen: la moglie

Renato Carpentieri: il politico

Claudia Gerini: l'amante

Federico Bergamaschi: il nipote Francesco

Roberto De Francesco: il medico della clinica psichiatrica

Adolfo Margiotta: l'attore

Massimo Olcese: l'attore vestito da donna

Omero Antonutti: il padre

Giuseppe Cederna: Vincenzo Sartori


TRAMA: Hammamet, fine del secolo scorso. Il Presidente ha lasciato l'Italia, condannato per corruzione e finanziamento illecito con sentenza passata in giudicato. Accanto a lui ci sono moglie e figlia, mentre il secondogenito è in Italia a "combattere" per riabilitarne l'immagine e gestirne l'eredità politica. Nel suo "esilio volontario" lo raggiungono in pochi: Fausto, il figlio dell'ex compagno di partito Vincenzo suicida dopo essere stato inquisito dal Giudice, e un Ospite suo "avversario, mai nemico". Sono gli ultimi giorni di una parabola umana e politica che vedrà il Presidente dibattersi fra malattia, solitudine e rancore: e la sua ultima testimonianza è affidata alle riprese di Fausto che nello zaino, oltre alla telecamera, nasconde una pistola.


Voto 7


Immagine di repertorio
Immagine di repertorio

Bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro. (3 luglio 1992)

Un finanziamento irregolare ed illegale al sistema politico, per quante reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante degenerazioni possa aver generato non è e non può essere considerato ed utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere né le correzioni che si impongono né un’opera di risanamento efficace ma solo la disgregazione e l’avventura. A questa situazione va ora posto un rimedio, anzi più di un rimedio… È d’altro canto un sistema cui hanno partecipato e concorso, in forme varie e diverse, tutti i maggiori gruppi industriali del paese, privati e pubblici. Gruppi e società importanti nel loro settore e nella economia nazionale e in molti casi presenti e influenti anche sui mercati internazionali, gruppi potenti in grado di influire e di condizionare i poteri della politica e dello Stato. Di questi tutto si può dire salvo che siano state vittime di una prepotenza, di una imposizione, di un sistema vessatorio ed oppressivo di cui non vedevano l’ora di liberarsi. Si tratta di tutti i maggiori gruppi del paese, quelli che sono stati chiamati in causa e quelli che ancora possono esservi chiamati, anch’essi fornitori dello stato, tributari dello stato di sostegno di varia natura, tributari di appalti pubblici, esportatori, proprietari di catene giornalistiche, speculatori a vario titolo, se la verità, anche per loro, come c’è da augurarsi, finirà prima o poi per farsi strada. (29 aprile 1993)

Sono gli stralci di due interventi di Bettino Craxi nel Parlamento dopo che era esploso, come una bomba atomica per la politica e la vita sociale italiana, lo scandalo che è notoriamente passato alla storia come “Mani pulite”.


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Il film, pacato e intelligente, di Gianni Amelio parte dopo questi drammatici giorni della vita politica del Belpaese e troviamo subito il Presidente – così come veniva chiamato con grande rispetto e soprattutto devozione dai suoi fedeli elettori – relegato nel lussuoso rifugio tunisino di Hammamet, protetto dal suo amico Zine El-Abidine Ben Ali, militare divenuto presidente della repubblica della Tunisia con un colpo di stato. Bettino Craxi era già sfuggito alle condanne sentenziate dai tribunali di Milano, da cui fu dichiarato latitante il 21 luglio 1995, in pratica un anno dopo che già era scappato. Il regista non lo mitizza né lo mette in cattiva luce: ho avuto la netta sensazione che lo abbia voluto narrare in maniera lineare, cercando con una straordinaria sceneggiatura, con dialoghi molto efficaci e con la pronuncia di frasi di grande effetto scenico, come d’altronde piaceva a Craxi - in realtà aforismi pesanti ed incisivi - di raccontarlo nella maniera migliore ed obiettiva. Senza cattiva luce o condanna morale, né rendendolo martire della magistratura e dell’opinione pubblica. L’amarezza di Craxi che pervade tutto il film è un fardello molto pesante e la si nota in ogni scena, ogni discorso, ogni annotazione che dettava alla fedele figlia a futura riflessione di chi avrebbe letto negli anni a seguire, alla pari di una eredità morale e politica. Amelio ci racconta dei suoi affetti, i risentimenti, le nostalgie per Milano e delle sue peregrinazioni tra la residenza e l’ospedale in cui correva all’affacciarsi dei primi gravi malanni, principalmente causati da un diabete che aveva causato come primo inconveniente la gotta alla gamba sinistra. Poi gli altri mali peggiorarono le sue condizioni fisiche fino al decesso.


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Il film lo indaga dal lato umano ed intimo, negli affetti più cari, nei suoi sinceri discorsi alla amata figlia (qui chiamata Anita) a cui si confida intimamente più come ad una confidente che ad un familiare. A distanza di tanti anni il film è un (ri)esame che si può fare, a mente serena e lontana dalle furiose polemiche di quei turbolenti anni in cui l’Italia cresceva sia dal punto di vista finanziario che industriale. Però cresceva (era diventata la quinta potenza del mondo) di pari passo con il mostruoso Debito Pubblico (che è una pesante eredità che ci trasciniamo con molti problemi ancora oggi) e con una inflazione che dire galoppante è sicuramente riduttivo (al culmine, i nostri BTP pagavano il 18%!). Era il periodo esuberante della “Milano da bere” e tutto pareva roseo: dominavano le bustarelle e qualsiasi cosa serviva era immediatamente concessa a Tizio e a Caio purché dietro lauto compenso. Ma la ruberia più facile e che dominava era quella che pesava sulle casse statali. Era denaro pubblico. Craxi in quei famosi discorsi disse che lo facevano tutti, parafrasando Mozart, come per dire che era un malvezzo equamente distribuito tra tutti i partiti, nessuno escluso. Ma il film non è però un processo storico di natura politica ad un personaggio importante della Storia d’Italia, piuttosto ci presenta il soggetto della disquisizione come un passo della Passione: Ecce homo!


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Le mie non sono riflessioni di tipo politico, io voglio guardare l’aspetto artistico dal mio punto di vista. È un’opera serena e obiettiva, senza sbilanciamento, quasi cronachistica, una calma esposizione biografica per narrare gli ultimi sei mesi di vita dell’uomo Bettino Craxi, figlio di un avvocato milanese, antifascista e perseguitato politico di origine siciliana. Ma non è una vera e propria opera biografica, non è quella l’intenzione, credo, dell’autore, piuttosto un racconto malinconico. Sei mesi di vita in cui il protagonista, mai rassegnato ad una fine anonima, ancora impetuoso nel carattere ma flagellato dalle tante malattie, rancoroso verso coloro i quali ritiene traditori, si avvia al tramonto dopo aver toccato l’apice della politica italiana e del consenso degli elettori. Non è una vecchiaia appagata, tutt’altro, e Gianni Amelio lo inquadra perfettamente, ricordandolo a chi ha vissuto quel burrascoso periodo e narrandolo a chi ne aveva solo sentito parlare vagamente, magari considerandolo nel calderone dei politici approfittatori del potere. Amelio, pur trattando spesso temi emozionali, ha sempre tenuto presente il tema politico, nel senso più lato, quello sociale, nelle sue opere. Qui addirittura lo affronta dal lato più puro, puntando l’obiettivo su un uomo importante che ha influenzato molto la vita della nazione.


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Il mattatore, come risulta evidente, è un poderoso Pierfrancesco Favino, il quale, aiutato dal pesante trucco di Andra Leanza per trasformarsi fisicamente, diventa un perfetto sosia data la sua proverbiale attitudine all’imitazione. La postura è identica, il viso, gli occhiali, il modo di gesticolare sono i medesimi, gli occhi che sono ancora capaci di saettare verso l’interlocutore parlano da soli; la voce di Favino è un miracolo che gli riesce alla perfezione: se non si guardasse il film si penserebbe di ascoltarlo in una vecchia registrazione. Sbalorditivo! Tiene la scena continuamente e dà una notevole congruenza a tutta l’operazione, molto ben coadiuvato sulla scena da una brava attrice, Livia Rossi, che avevamo già vista in un’altra opera del regista calabrese, L’intrepido (recensione), nel ruolo della fidata e attaccatissima figlia Anita, che non fa mai mancare il suo appoggio materiale e psicologico al padre che peggiora di giorno in giorno. Un’altra presenza importante e costante nei film di Amelio è Renato Carpentieri, che come al solito non si adatta al ruolo affidato ma ne fa come sempre un suo personale personaggio, questa volta un generico politico italiano che cortesemente va a far visita al potente in contumacia. Chi sembra un oggetto estraneo all’opera è il giovane Luca Filippi, un personaggio, Fausto, che, totalmente inventato a scopo narrativo, fa continuamente da contraltare alle ossessive elucubrazioni dell’uomo politico: entra in scena con una sequenza anomala e strana, quasi avulsa dal contesto della trama, e vi rimane per buona parte con intenzioni mai chiarite, solo sottintese e ambigue. Una presenza di cui forse Amelio poteva (doveva?) fare a meno. Forse è anche per questo che nel complesso il film è apprezzabile ma non eccelso, ben intenzionato ma non del tutto riuscito. Lodevole comunque, perché ci vuole coraggio per scrivere un film del genere.


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Film che parte con un bimbo che lancia con una fionda un sasso che frantuma il vetro di un grosso edificio, buco in cui entra la macchina da presa ed inizia veramente il film, con la visione panoramica di uno dei congressi più importanti del Partito Socialista Italiano dell’era craxiana. Congresso in un momento in cui l’apogeo della curva del Presidente non conosce tentennamenti ed invece l’inquietudine di un certo Vincenzo Sartori, il bravo Giuseppe Cederna, (padre del giovane Fausto che appunto si farà vivo nella villa di Hammamet) avvicina Craxi per comunicargli che il terreno sotto i loro piedi non è più sicuro ed inizia a franare. Craxi quasi lo scaccia, ritenendo la sua posizione inattaccabile, intoccabile. Errore grave di presunzione. Forse quel Vincenzo rappresenta Balzamo, politico di fiducia che morì prima che potesse iniziare un processo nei suoi confronti a causa di un infarto (crepacuore per le infamanti accuse?).

Quel sasso ha il compito pure di concludere il film, come una replica, come un cerchio che si chiude. E Bettino Craxi rimase sepolto in un piccolo ed anonimo cimitero tunisino.


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Riconoscimenti

David di Donatello 2021

Miglior trucco

Candidatura miglior film

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior attore protagonista a Pierfrancesco Favino

Candidatura miglior attrice non protagonista a Claudia Gerini

Candidatura miglior attore non protagonista a Giuseppe Cederna

Candidatura miglior fotografia

Candidatura miglior colonna sonora

Candidatura miglior scenografia

Candidatura miglior costumi

Candidatura miglior acconciature

Candidatura miglior montaggio

Candidatura miglior suono in presa diretta

Candidatura miglior effetti speciali

Nastri d’Argento 2021

Miglior produttore

Candidatura miglior film

Candidatura miglior regia

Candidatura miglior attore protagonista a Pierfrancesco Favino

Candidatura miglior fotografia

 



 
 
 

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