Niente di nuovo sul fronte occidentale (2022)
- michemar

- 7 apr 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

Niente di nuovo sul fronte occidentale
(Im Westen nichts Neues) Germania/USA/UK 2022 guerra 2h28’
Regia: Edward Berger
Soggetto: Erich Maria Remarque (romanzo)
Sceneggiatura: Edward Berger, Ian Stokell, Lesley Paterson
Fotografia: James Friend
Montaggio: Sven Budelmann
Musiche: Volker Bertelmann
Scenografia: Christian M. Goldbeck
Costumi: Lisy Christl
Felix Kammerer: Paul Bäumer
Albrecht Schuch: Stanislaus 'Kat' Katczinsky
Moritz Klaus: Franz Müller
Aaron Hilmer: Albert Kropp
Adrian Grünewald: Ludwig Behm
Daniel Brühl: Matthias Erzberger
Edin Hasanovic: Tjaden Stackfleet
Thibault de Montalembert: gen. Ferdinand Foch
Devid Striesow: gen. Friedrichs
Andreas Döhler: ten. Hoppe
Sebastian Hülk: magg. Von Brixdorf
Luc Feit: Stabsarzt
Michael Wittenborn: Rektor
TRAMA: Le terrificanti esperienze e l'angoscia di un giovane soldato tedesco sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale.
Voto 8

La guerra? La stupidità degli uomini, come cita Ermanno Olmi in Torneranno i prati. L’orrore, come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now definisce le cose che aveva visto. La guerra, che l’uomo adotta sempre per risolvere ogni tipo di problema da quando abita il pianeta come se non ci fosse altro rimedio, che non conosce pausa nella Storia, neanche quando a noi qui, in Occidente, pare ci sia un lungo lasso di pace mentre in mille altri luoghi si stanno uccidendo. L’uomo che non ha imparato nulla, che non ha tratto alcun insegnamento neanche con i milioni di vite perdute nella Prima guerra mondiale. Come la si può definire? In tantissime maniere, ma sicuramente ripetendoci o replicando definizioni già ascoltate. Ripetitive ma sempre inascoltate. Il romanzo di Erich Maria Remarque, che il cinema ha già portato sullo schermo nel 1930 e nel 1979, ritorna con Edward Berger (un regista tedesco finora pressocché sconosciuto) e ci indica ancora due modi simbolici per confezionare la definizione del termine. Una divisa ed un brano musicale.

Della divisa si viene presto a conoscenza, allorquando lo studente diciassettenne Paul Bäumer, mentendo sulla sua età, si presenta con i suoi amici Albert, Franz e Ludwig presso l’ufficio arruolamento dell’esercito tedesco, sovraeccitati dai discorsi pomposi e patriottici fino al ridicolo dei funzionari che invitano i giovani a servire il Paese “In nome del Kaiser, di Dio e della Patria!”, il trittico sempre declamato fanaticamente dalle destre di ogni nazione. In quella occasione, insieme agli amici, Paul riceve, raggiante ed orgoglioso, la sua divisa, bella e piegata, col suo bel cappotto sul cui colletto nota, e fa notare al militare addetto, che è cucita l’etichetta con il nome di un soldato. Quando Bäumer mostra la targhetta di un certo Gerber e chiede se l'indumento appartenga a qualcun altro, l'ufficiale la rimuove con un gesto meccanico: “Era troppo piccolo per lui. Succede sempre.” Quella divisa, quella camicia, quelle scarpe, quel cappotto erano di altri, che adesso però fanno parte del lunghissimo elenco dei caduti in guerra. Si recuperano gli indumenti, si ammassano gli scarponi e si ricomincia con altri giovani, senza pausa, come un eterno loop senza fine. Morto uno, avanti un altro, finché ce n’è. La guerra.

Il commento musicale di Volker Bertelmann è parte integrante del film (prima versione tedesca del romanzo, mai accaduto prima), è molto più che un commento che accompagna la visione: è un sottofondo potente e drammatico che assurge a protagonista, non solo per la bellezza delle tragiche armonie, ma specialmente per quattro note, solo quattro accenti gravi che sposano alla perfezione le magistrali inquadrature di Berger. Quattro note che si ripetono, distanziate ed efficacemente distribuite nell’arco delle quasi due ore e mezza della durata, da sole, precedute e seguite dal silenzio, più che pesanti rintocchi di campane che suonano a morte, distaccate, scandite e nettamente avvertite pur nel sottofondo sonoro, con l’ultima nota, la più bassa, che chiude l’intervento, preannunciando ogni volta la tragedia in arrivo. Tutte le musiche sono straordinarie e comprendono anche arie ottimamente integrate da La Wally di Catalani e dall’Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ di Bach ma quelle quattro note cadenzate risuonano implacabili come un terrificante dialogo insinuato nella sceneggiatura.

Nella primavera del 1917, quindi tre anni dopo l'inizio della Prima guerra mondiale, il protagonista Paul si è arruolato nell'esercito imperiale tedesco insieme ai suoi compagni di scuola. Dopo essere stati schierati nel nord della Francia vicino a La Malmaison (una località dal pessimo nome: casa cattiva), fanno amicizia con Stanislaus “Kat” Katczinsky, un soldato più esperto che, notandoli spaesati e spaventati, si prodiga di consigli. La loro visione romantica della guerra è stata tragicamente infranta dalla realtà della guerra di trincea sul fronte occidentale, mentre piove e bisogna evacuare l’acqua con gli elmetti. Immediatamente si rendono conto in quale inferno sono andati a finire quando uno dei quattro, Ludwig, viene ucciso dall'artiglieria già la prima notte. Il regista segue da vicino, spesso con primi piani, tutti i personaggi centrali, ma soprattutto Paul, per evidenziare come la gioia si sia trasformata nel terrore di cadere ben presto sotto i colpi dei francesi, senza manco esserne reso conto. E allora, un po’ per il senso di appartenenza, un po’ per reagire, lo si vede superare la paura e obbedire ai comandi dei superiori seguendo i commilitoni nei vari attacchi, in cui il regista non lesina sequenze cruente, di morti, di corpi mutilati, di militari che saltano in aria trafitti dai colpi di cannone e dei fucili, se non nei combattimenti corpo a corpo all’arma bianca. Il campo di battaglia è una distesa di uomini senza vita o gravemente feriti. Fango e sangue. Sangue e fango. E morte. Sopravvivere è solo una questione di casualità, tornare incolumi nella trincea o in un accampamento oppure in un edificio di fortuna, per una pausa che non si sa quanto possa durare, dipendo solo dal destino. Gli ufficiali dicono che tutto va bene e la guerra vincente li porterà trionfanti a Parigi, ma la realtà appare tutt’altro. Ma non c’è tempo per il pessimismo, l’importante è restare sani e vivi e trovare qualcosa da mangiare, magari rubando uova o anatre dalle piccole fattorie dei contadini francesi, che li rincorrono con i fucili.
Da tutt’altra parte la diplomazia svolge un arduo lavoro, con i generali francesi che, consapevoli delle enormi difficoltà che stanno affrontando i tedeschi, stanno imponendo un armistizio disonorevole, a cui i corrispondenti germanici si oppongono per non perdere la dignità e la faccia. Solo Matthias Erzberger (Daniel Brühl, il solo attore noto nel cast), il politico che ha ricevuto l’incarico di trattare la pace, è l’unico che sembra cosciente della tragicità della situazione e non aspetta altro che avere l’approvazione dal governo e dagli alti ufficiali (nel frattempo il kaiser si è dimesso, evidente segno dello sfacelo) per firmare la definitiva resa. Egli è la sola persona, a quanto pare, che abbia capito che ogni ulteriore giorno di guerra significa perdite umane disastrose, immani, ingiustificabili. Come nel meraviglioso Orizzonti di gloria di Kubrick - film parallelo anche se relativo alle vicende della Grande Guerra nei palazzi del comando - anche qui c’è il generale che, comodamente arroccato nel suo castello, pulito e nutrito come un sovrano lontano dai campi di battaglia, si rifiuta di ammettere la sconfitta e di far ritirare le stanchissime truppe, ormai distrutte psicologicamente e sull’orlo dello sbandamento, fino ad arrivare – invece - a dare l’ordine assurdo e fuori contesto di attaccare ancora e disperatamente le linee nemiche, anche dopo la firma dell’armistizio che prevede la cessazione delle ostilità alle ore 11 del giorno 11 del mese di novembre (11): fino a quel minuto vuole che l’esercito non ceda e riconquisti il territorio. Che vuol dire ancora morti inutili, una ulteriore strage evitabile.
Tanti sono i richiami ad opere cinematografiche già note: le sequenze con la steadycam che affianca l’avanzata di Paul, le sue corse in avanti o in ritirata, il suo viso irriconoscibile incrostato di fango e schizzi di sangue, piccole interruzioni dell’udito a causa dei colpi fragorosi di cannone, schizzi di sangue sull’obiettivo. Ma, grazie a Dio e alle scelte registiche, nulla è veramente stomachevole, niente è inguardabile: ciò che si vede è sopportabile, perché, come il libro di Remarque, il film non vuole mostrare la crudeltà fisiche, bensì quelle altrettanto inguaribili dell’anima e della mente, la spietatezza della guerra che distrugge vite umane, soprattutto di giovani che, incoscientemente imbevuti dalla dottrina patriottica e nazionalista, sprecano la loro giovinezza in una attività che porta solo lutti e dolore. Questo appello umanistico, che dovrebbe essere presente ogni momento nella vita delle persone che decidono le sorti di una nazione e di un popolo, si materializza con lo sguardo lucido e impietoso della validissima opera di Edward Berger, anche per merito della fantastica e ammirevole fotografia di James Friend, confezionata da colori acciaio, grigio e blu scuri, incupendo ancor di più la vista dell’inebetito spettatore. Una sinergia, quella tra regia, fotografia e musica, integrate dal perfetto montaggio di Sven Budelmann e dalla scenografia notevole di Christian M. Goldbeck, da cui scaturisce un film che tiene inchiodati dal primo all’ultimo minuto, a dispetto della importante durata, che non pesa e di cui non ci si accorge. Perché non ci sono momenti vuoti o tratti inutili, ogni istante può portare ad un significativo episodio.

Tutto si svolge attorno e dentro Paul Bäumer, il protagonista dalla faccia di adolescente, che ha il preciso compito di trasmetterci la gioia e l’incoscienza della gioventù, l’entusiasmo negativizzante che uno come lui e i suoi amici possono subire nei discorsi fanatici della propaganda nazionalista aggressiva e bellicista. Come nel medioevo, così nel Novecento, secolo ricco di cultura ma anche di guerre nefaste. Il viso di Bäumer non ci mette molto a cambiare espressione, anzi il cambiamento è subitaneo, come uno spavento che fa dimenticare ben presto le cose belle della vita che, in una lurida trincea, al freddo e nel fango, tornano alla mente mentre si riguarda con mestizia e nostalgia le foto della fidanzata, della moglie, dei figli, che chissà se un giorno il soldato potrà rivedere. Se riesce a tornare, integro o no, a casa. Se. Mentre i vanagloriosi generali danno da mangiare al cane pezzi prelibati di carne e bevono vino pregiato. Paul è il bravo esordiente Felix Kammerer, che svolge il suo compito egregiamente e che vedremo sicuramente di nuovo sullo schermo. Il regista, la notte dorata della premiazione degli Oscar, lo ha voluto ringraziare così: “Era il tuo primo film e ci hai caricati sulle tue spalle come se nulla fosse. Senza di te nessuno di noi sarebbe qui. Grazie Felix!”. Parole che suonano più di un premio.

Purtroppo, è evidente come non sia mai sprecato parlare della guerra in questi termini e in questo modo coinvolgente e travolgente e bene fa Edward Berger a riproporci l’argomento. Perché è orrore. Orrore.
“Abbiamo così tanto da dire. E non lo diremo mai.” (Erich Maria Remarque)
Riconoscimenti
Premio Oscar 2023:
Miglior film internazionale (Germania)
Miglior fotografia
Miglior scenografia
Migliore colonna sonora
Candidatura al miglior film
Candidatura alla migliore sceneggiatura non originale
Candidatura al miglior trucco e acconciatura
Candidatura ai migliori effetti speciali
Candidatura al miglior sonoro
Golden Globe 2023:
Candidatura al miglior film in lingua straniera














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