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Rosita (2015)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 18 feb 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Rosita

Danimarca 2015 dramma 1h30’

 

Regia: Frederikke Aspöck

Soggetto: Bergljot Bleken

Sceneggiatura: Kim Fupz Aakeson

Fotografia: Adam Wallensten

Montaggio: Liv Lynge, Martin Schade, Mette Zeruneith

Musiche: Rasmus Bille Bähncke, Johannes Elling Dam

Scenografia: Rie Lykke

Costumi: Sussie Bjørnvad

 

Mikkel Boe Følsgaard: Johannes

Mercedes Cabral: Rosita

Jens Albinus: Ulrik

Julie Agnete Vang: Maja

Mads Riisom: Allan

Lise Baastrup: Sussi

Jacob Moth-Poulsen: Jens

Anders Brink Madsen: Frank

Girlie Lou Nielsen: Joy

Marilou Nadonza: Sandra

 

TRAMA: Johannes vive con il padre, un vedovo di mezza età di nome Ulrik, in una piccola comunità di pescatori nella Danimarca settentrionale. La loro è un’esistenza di routine che li vede impegnati in diversi lavori nell'industria ittica locale. A Ulrick però mancano l’amore e la tenerezza di una donna e si prodiga affinché la giovane e bella filippina Rosita arrivi da lui, seguendo un iter che hanno già messo in atto molti uomini della zona. Tuttavia, nelle settimane successivo all’arrivo della ragazza, Johannes e Rosita sono sempre più attratti l’uno dall’altra, costringendo lui ad assumersi la responsabilità dei suoi sogni futuri sulle spalle.

 

Voto 7

Frederikke Aspöck è una regista e sceneggiatrice danese interessante e originale nella scelta dei temi, tanto da aver ottenuto riconoscimenti internazionali per i suoi film, che sono stati presentati in numerosi festival cinematografici in tutto il mondo. Approfondendo il suo background si scopre che la sua attenzione è maggiormente rivolta ai personaggi umani imperfetti. Proprio come sono quelli del bel film in oggetto. Ci si accorge che sa combinare elementi di dramma, commedia e narrazione per ritrarre le persone mentre si sforzano con impegno di fare del loro meglio nella vita, anche se con qualche inciampo Lo dimostra, appunto, questa opera, come sia interessata ai temi della famiglia, dei sentimenti e delle relazioni umane. E pare anche ovvio annotare la sensibilità tutta femminile con cui cura i particolari, i dialoghi e il moto di avvicinamento tra i personaggi. Umani e umanamente tentennanti nelle decisioni importanti della loro esistenza. Appunto per questi essenziali motivi, mediante il modo di catturare le immagini e i rapporti tra i personaggi, la regista riesce a fotografare con semplicità la complessità e l’essenza dell’umanità imperfetta. Il giudizio che resta alla fine della visione di questo film riflette l’originalità e lo stile distintivo dell'autrice nel panorama del cinema europeo attuale. Peccato averla scoperta solo oggi.



Il titolo del film è il nome della protagonista, una delle tante donne filippine sparse nel mondo, emigrate per motivi economici alla ricerca di un lavoro o, come in questo caso, di una sistemazione di comodo sia per loro che per coloro che le accettano in casa per i motivi più vari. Lei, per esempio, giunge in una piccola località marina della Danimarca, fredda e ventosa, dedita alla pesca (il film è ambientato e girato nello Jutland Settentrionale.) Il porto è pieno di pescherecci con cui gli uomini del luogo svolgono un’attività evidentemente proficua. Uno di loro è il vedovo Ulrik (Jens Albinus), maturo ma non vecchio, che ha un paio di figli maschi di cui il minore, Johannes (il noto Mikkel Boe Følsgaard), vive ancora con lui. L’uomo avverte da tempo la solitudine e la mancanza di una compagna dopo la perdita dell’amata moglie, mentre il figlio è fidanzato con la simpatica parrucchiera Maja (Julie Agnete Vang) ma ancora non ha capito bene il suo futuro.



Nel paese è diffusa la popolazione delle donne filippine arrivate su richiesta di altri uomini soli che decidono di farle immigrare per sposarle. Così come ha deciso il nostro Ulrik, che inizialmente non chiede esattamente a se stesso e a Rosita (Mercedes Cabral) se debbano sicuramente andare al matrimonio: per ora gli basta avere qualcuno che si occupi della casa e della cucina. Il vuoto femminile si avverte e fa comodo pensare che ci sia qualcuno che curi i due maschi e che anche la donna abbia interesse a sistemarsi, almeno per racimolare denaro da mandare in patria, dove – e questo lei lo tiene segreto, ma verrà forzatamente fuori – ha un bambino di otto anni. Lei non parla che la sua lingua e lui solo il danese. Sarà Johannes che saprà fare da interprete e spiegarle bene cosa l’aspetta. I rapporti iniziali sono, come ci si potrebbe attendere, non facili data la timidezza dei due e dalle differenti abitudini. La mansione di intermediario di comunicazione del giovanotto si trasforma facilmente, per via della lingua inglese in comune, in un buon rapporto, ma sia per questo avvicinamento che per la distanza relazionale tra Rosita e Ulrik, nei giorni a seguire questo rapporto diventa anche attrazione sentimentale, mettendo in difficoltà il giovanotto nei confronti del padre, a cui, ovviamente, nasconde l’evoluzione. Fin quando, inevitabilmente, la situazione diventa chiara e scomodissima, con sorpresa degli abitanti del luogo e il dispiacere di Maja, illusa dalla prospettiva di andare a vivere finalmente con il suo ragazzo.



Rosita è combattuta: non era arrivata pensando che si sarebbe trovata in queste difficoltà. Si era avventurata nel nord Europa pensando al bene del suo bimbo temporaneamente lasciato (e non confessato all’inizio) ma ora si accorge che legarsi a quell’uomo (mai dimentico della moglie) timido e impacciato, non pronto a fare l’amore con quella estranea, non è facile e le gentilezze ricevute invece dal figlio l’hanno spinta verso quest’ultimo. Ecco quindi la bravura di Frederikke Aspöck nel saper esporre, nella successione delle varie scene e dei vari avvenimenti, i tormenti dei tre personaggi e anche di quelli a loro vicini d’affetto: l’altro figlio e la parrucchiera fidanzata che credeva di formare una famiglia con Johannes, che è forse, nonostante tutto, colui che sta soffrendo più di tutti, dispiaciuto di deludere il padre e mettere in difficoltà le scelte di Rosita, che dovrebbe diventare la sua matrigna. La quale, a sua volta, avrebbe anche scelto di seguire la spinta dei sentimenti che sta provando intimamente.



Una commedia che diventa il dramma delle relazioni umane, dei sentimenti, delle decisioni definitive e quella finale di Johannes è davvero risolutiva, persino impensabile fino a qualche giorno prima, anche perché ha perso pure il lavoro. Lo spettatore, credo fermamente, la giudicherà quella giusta e inevitabile come lui stesso, per il bene di tutti. Queste considerazioni confermano ciò che è detto all’inizio, perché non è facile descrivere con la sceneggiatura giusta e filmare gli atteggiamenti coerenti ad una tale storia. E quindi la brava regista Frederikke Aspöck dirige con sensibilità e delicatezza gli attori, in particolare i protagonisti Mikkel Boe Følsgaard, Mercedes Cabral e Jens Albinus, che offrono delle interpretazioni intense e credibili. Il primo, danese notissimo per i ruoli ricoperti in Ehrengard: l'arte della seduzione, Carl Mørck - 87 minuti per non morire, il celebre Royal Affair e tanti altri, è un bravissimo attore ed esprime ottimamente i patimenti e la sofferenza (forse liberazione, sua e degli altri) per la soluzione alla situazione creatasi. La seconda è un’attrice filippina poco conosciuta da noi, ma regina assoluta in patria e all’estero per un centinaio di apparizioni in film e serie, avendo lavorato con numerosi autori di fama come Brillante Mendoza e addirittura apparsa in Thirst, diretto da Park Chan-wook: delicatissima e comunicativa. Infine il terzo, anch’egli danese, molto esperto nella recitazione e lo si nota, è un navigato attore presente in molteplici opere e serie in patria e dintorni.



La sceneggiatura di Kim Fupz Aakeson sul soggetto di Bergljot Bleken è ben strutturata e coinvolgente, con alcuni momenti di tensione e di commozione, che vuol dire che il film funziona. La fotografia di Adam Wallensten cattura le bellezze e le sfumature della natura e del paesaggio danese, perfettamente in sintonia ma anche contrasto con la vita grigia e monotona dei personaggi, che, come d’abitudine, conoscono solo il mare e le serate di birra fino alla ubriacatura. La colonna sonora di Rasmus Bille Bähncke e Johannes Elling Dam è discreta e armoniosa, quasi impercettibile ma consona, che accompagna bene e tristemente l’amaro finale, in cui si gode la bella Got Me Good, vincitrice di un premio del cinema danese,



Notevole, in conclusione, tutto il contributo del cast tecnico e artistico, ma i meriti come è ovvio vanno principalmente alla Frederikke Aspöck che meriterebbe maggior considerazione e sicuramente qualche occasione di più ampia importanza. Lo dimostra questo film che merita di essere visto ma anche perché offre una riflessione profonda e toccante sulle difficoltà e le speranze di chi cerca il proprio posto nel mondo, tutte raffigurate sul viso di Mercedes Cabral. In questo mondo che da troppo tempo ha deciso di abbandonare la gente in difficoltà, spesso anche senza la presenza delle guerre.



Il film avrebbe meritato di essere scoperto prima e che invece è rimasto nascosto tra i tanti che godono di maggior battage pubblicitario e di clamore da blockbuster.

Tra qualche candidatura, va menzionato il premio ricevuto al Festival Cinematografico Internazionale di Mosca del 2015 alla migliore regia.



 
 
 

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