A.I. - Intelligenza artificiale (2001)
- michemar

- 2 ott
- Tempo di lettura: 3 min

A.I. - Intelligenza artificiale
(A.I. Artificial Intelligence) USA, UK 2001 fantascienza 2h26’
Regia: Steven Spielberg
Soggetto: Brian Aldiss (Supertoys che durano tutta l’estate)
Sceneggiatura: Steven Spielberg
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Musiche: John Williams
Scenografia: Rick Carter
Costumi: Bob Ringwood
Haley Joel Osment: David
Jude Law: Gigolò Joe
Frances O’Connor: Monica Swinton
Brendan Gleeson: Lord Johnson-Johnson
Sam Robards: Henry Swinton
William Hurt: prof. Hobby
Jake Thomas: Martin Swinton
Ken Leung: Syatyoo-Sama
Michael Mantell: dott. Frazier
TRAMA: In un lontano futuro, i robot, componente essenziale della vita quotidiana, assicurano la maggior parte dei compiti domestici. Il professor Hobby vuole spingersi più in là e progettare il primo androide sensibile. Pochi giorni dopo, David, un robot di undici anni, fa il suo ingresso in casa di una coppia il cui figlio malato è stato ibernato in attesa di una cura. Quando il figlio naturale della coppia torna a casa per David non c’è più posto. Inizia così il suo viaggio alla scoperta del mondo. Lo accompagnano Gigolò Joe e Teddy, orsetto giocattolo.
VOTO 7

Cosa succede quando un bambino non è nato, ma costruito? Quando l’amore non è spontaneo, ma programmato? Questo film non è solo una storia di fantascienza: è una parabola sull’identità, sull’abbandono e sul bisogno disperato di essere riconosciuti. Nato da un progetto di Stanley Kubrick e portato a termine da Steven Spielberg, è un incontro tra due visioni del mondo: una glaciale e analitica, l’altra emotiva e fiabesca.

David, interpretato da Haley Joel Osment con una dolcezza inquietante, è un androide bambino capace di amare. Ma può un amore artificiale sopravvivere al rifiuto umano? La sua odissea, che lo porta dalla foresta al decadente Luna Park dei robot, fino a un futuro remoto dove l’umanità è solo un ricordo, è una delle più struggenti mai raccontate nel cinema mainstream. La critica americana ha spesso sottolineato la tensione tra le due anime del film.

La prima parte, con la famiglia e l’abbandono, è puro Spielberg: empatico, visivamente sontuoso, narrativamente classico. Il secondo, con l’ambientazione post-umana e il finale sospeso tra sogno e simulazione, è più vicino alla visione kubrickiana: fredda, speculativa, disturbante. Il film si struttura come una favola distopica, con richiami espliciti a Pinocchio, ma immersa in un mondo devastato dall’effetto serra e dominato da intelligenze artificiali. La seconda parte, più visionaria e cupa, ci conduce in un futuro remoto dove la memoria di David diventa l’ultimo frammento dell’umanità.

Ma è proprio questa tensione a renderlo un’opera unica. Non è né un film di Kubrick né un film di Spielberg: è il tentativo del secondo di dialogare con il primo, che lui stimava moltissimo, di completare il suo pensiero, la sua filosofia di cinema senza tradirlo. Il risultato è imperfetto, ma profondamente umano.

Nel tempo, è stato rivalutato come uno dei film più audaci di Spielberg. Nonostante il suo tono malinconico e la struttura insolita, ha anticipato molte delle domande che oggi ci poniamo sull’intelligenza artificiale, sull’empatia simulata, e sul confine tra realtà e desiderio. Anzi, all’inizio del secolo, quando è stato realizzato il film, nessuno poteva immaginare quanto ci saremmo avvicinati all’argomento solo un paio di decenni dopo, con tutte le considerazioni sull’etica e sui pericoli annessi all’evoluzione che il notevole problema comporta. Anche per la sicurezza delle persone e della società.

David non è solo un robot: è un bambino che sogna. E il suo sogno, per quanto impossibile, ci riguarda tutti. Perché in fondo, anche noi cerchiamo una Fata Turchina che ci dica che siamo “veri”, che meritiamo amore, che non siamo soli. Ecco perché non è semplicemente un film di fantascienza.
Ottimo come sempre Jude Law.

La critica americana si è divisa: alcuni hanno celebrato il film come un capolavoro filosofico, altri lo hanno accusato di sentimentalismo. Se qualche critico a suo tempo lo definì profondamente commovente e inquietante, altri lamentarono un finale troppo indulgente. Ma col tempo, è stato rivalutato come uno dei film più audaci di Spielberg, capace di fondere il rigore kubrickiano con l’empatia tipica del regista di Cincinnati.

Riconoscimenti
Oscar 2002
Candidatura migliore colonna sonora
Candidatura migliori effetti speciali
Golden Globe 2002
Candidatura miglior regista
Candidatura miglior attore non protagonista a Jude Law
Candidatura migliore colonna sonora
BAFTA 2002
Candidatura migliori effetti speciali






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