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Amsterdam (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 31 dic 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 9 nov

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Amsterdam

USA, Giappone 2022 commedia/storico 2h14’


Regia: David O. Russell

Sceneggiatura: David O. Russell

Fotografia: Emmanuel Lubezki

Montaggio: Jay Cassidy

Musiche: Daniel Pemberton

Scenografia: Judy Becker

Costumi: Albert Wolsky, J.R. Hawbaker


Christian Bale: Burt Berendsen

John David Washington: Harold Woodman

Margot Robbie: Valerie Voze

Rami Malek: Tom Voze

Robert De Niro: gen. Gil Dillenbeck

Anya Taylor-Joy: Libby Voze

Mike Myers: Paul Canterbury

Michael Shannon: Henry Norcross

Matthias Schoenaerts: det. Lem Getwiller

Alessandro Nivola: det. Hiltz

Chris Rock: Milton King

Zoe Saldana: Irma St. Clair

Timothy Olyphant: Taron Milfax

Taylor Swift: Liz Meekins

Andrea Riseborough: Beatrice Vandenheuvel

Ed Begley Jr.: Bill Meekins


TRAMA: Nel 1930 tre amici - un medico, un'infermiera e un avvocato - sono testimoni di un omicidio. Diventeranno però loro stessi i principali indagati e si adopereranno per scoprire uno dei più scioccanti complotti della storia americana.


Voto 6


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Ambientato negli anni ’30 e sviluppatosi nell’arco di 15 anni, il film racconta la storia di tre amici di vecchia data che si trovano coinvolti in un omicidio. Un medico, un’infermiera e un avvocato vengono sospettati ma cercano di mantenere intatta la loro reputazione anche se non possono fare a meno di venir coinvolti in una delle trame più sconvolgenti della storia americana in cui rientra anche il nazismo. Come spesso accade con un regista quale David O. Russell, la sinossi coinvolge una miriade di personaggi, di varia foggia e carattere, alcuni preponderanti e incisivi, altri che vengono coinvolti marginalmente ma pur sempre con un apporto che dà una spinta di qui e di là allo sviluppo di una storia – alla pari delle altre opere del regista – che ha confini non definibili e abbraccia molte vicende e, in particolare questa volta, diluite nel tempo, ma sempre attinenti al tema centrale. Non abbandonando mai la caratteristica della commedia, anche nei momenti più drammatici, è un tourbillon di personaggi e accadimenti che danno il colore del divertissement a cui il cineasta ci ha abituati sin dalle prime opere.


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I principali personaggi sono tre e si incontrano casualmente in tempo di guerra e in circostanze sfortunate. Christian Bale è il dottor Burt Berendsen, medico con il genio dell’inventiva e dell’esperimento di farmaci (specialmente su se stesso), dato che inventa medicinali che assume in quantità esorbitanti per calmare i dolori fisici delle ferite di guerra. Spinto dai genitori della moglie a partire per la Prima Guerra Mondiale, di origine ebrea, durante una battaglia viene gravemente ferito e perde un occhio. Fa amicizia con un altro militare ferito, un giovane di colore, Harold Woodsman (John David Washington), aspirante avvocato che vuole aiutare nella giustizia i meno abbienti che non ce la fanno da soli. Un ebreo e un colored assieme in un reggimento che storicamente vero (gli Harlem Hell Fighters) era un corpo composto da soldati neri e portoricani. Chi si incarica di curarli è Valerie Voze (Margot Robbie), un’infermiera che ha un hobby molto particolare: costruire piccole sculture tramite le schegge estratte dal corpo ferito dei soldati del suo ospedale. Tra i tre nasce un’amicizia talmente forte che li lega per sempre, in ogni tempo e in ogni luogo ove si recheranno. Un legame fortissimo (anche l’amore tra il secondo e la terza) che unisce tre persone molto differenti e alquanto bislacche, ma coraggiose e intraprendenti, a maggior ragione quando si troveranno coinvolte prima in un omicidio misterioso e poi in una incredibile e gigantesca operazione di cospirazione filonazista tra le fila degli alti ufficiali e i politici influenti degli Stati Uniti nel periodo a cavallo tra le due guerre.


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Il film, che spazia tra argomenti come l’amicizia, la libertà del pensiero politico e sociale, l’arte, il pregiudizio razziale e persino la voglia quasi utopica di una vita all’insegna della felicità e della libertà individuale (vedi il soggiorno ad Amsterdam), è un excursus che attraversa più stili e generi, iniziando come una storia di fratellanza, che poi diventa un giallo per via di un paio di omicidi ed infine si ingigantisce in un complotto internazionale in cui i tre si impiegano con tutte le forze fisiche e intellettuali per sventarlo. Per portare a compimento tanti compiti in un’unica trama, il regista accumula personaggi di una varietà impensabile, che va, come nel più classico dei noir, da doppiogiochisti, aristocratici, politici e militari di pensiero fascista, detectives internazionali che intervengono all’improvviso, che aiutano, rallentano, insinuano dubbi, e poi l’utilizzo di medicine vietate e non. Tanto che ad un certo punto lo stesso Burt Berendsen corre il rischio di essere arrestato per uso di sostanze psicotrope. Christian Bale, comicissimo nel suo Burt, ogni tanto è sul punto di cascare a terra inebetito e semincosciente a causa di quelle poltiglie, con l’occhio finto che puntualmente gli sfugge dall’orbita.


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I tre strampalati personaggi si lasciano e si ritrovano a più riprese, da Amsterdam, luogo che porteranno nel cuore come luogo di felicità e spensieratezza, alle città americane dove correranno il pericolo della vita, tra indagini, autopsie più o meno autorizzate, sparatorie e finale pirotecnico. Il quarto personaggio di rilievo è un generale, il generale più grande e rispettato nella storia degli Stati Uniti, amico del defunto Bill Meekins (vittima dell’omicidio che sta a monte di tutta la storia), ferreo uomo che vuole far luce sulla cospirazione segreta che i nostri eroi, Burt, Valerie e Harold devono risolvere per salvarsi la vita: egli è Gilbert Dillenbeck, interpretato nella maniera più consona da Robert De Niro, severamente impettito dal ruolo di militare fedele allo spirito della costituzione americana, che svolge il compito thriller di indirizzare il finale nei canoni legali.


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Il cast, come di consueto con questo regista, è ricco e variegato e in cima alla piramide, si distinguono tre attori brillanti e divertiti. Sì, davvero evidente è come si siano dilettati ad esprimersi al pieno della loro possibilità: Christian Bale è l’istrione numero uno in assoluto e dispiega l’intera gamma delle espressioni e dei gesti ma soprattutto delle pose tragicomiche di cui è capace, spesso guardando in modo curioso la gente; John David Washington è sempre una bella sorpresa e fa piacere notare come sappia adeguarsi ai tanti personaggi che in questi anni autori di fama gli hanno concesso; la fulgente Margot Robbie è spiritata ed esuberante anche nel ruolo dell’infermiera dalle mille risorse e sembra che abbia appena smesso gli panni sgargianti della scatenata della Suicide Squad. Tre interpreti forti per tre caratteri marcati. Intorno a loro girano in mulinello, oltre all’ineccepibile Robert De Niro, attori del calibro di Rami Malek, Anya Taylor-Joy (c’è qualche film importante in cui non venga chiamata?), Mike Myers, Michael Shannon, Matthias Schoenaerts, Alessandro Nivola, Chris Rock (che ha fatto ammattire di risate il cast sul set), Zoe Saldana ed infine Taylor Swift e Andrea Riseborough in minore evidenza. Non c’è che dire.


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Una cavalcata novecentesca - in un’ambientazione molto ben fotografata dall’impareggiabile Emmanuel Lubezki - che però si perde non poco dietro il turbinio dei tanti personaggi e il dispiegarsi della trama non sempre lineare, con risultanze di scrittura non sempre riuscite che richiamano alla mente gli imbrogli del caotico American Hustle - L'apparenza inganna. David O. Russell, purtroppo, non riesce ad evitare un po’ di confusione e risulta vano il tentativo di creare un’atmosfera da screwball tra un’esclamazione, qualche morto, alcune sorprese telefonate, l’andazzo da commedia. Sicuramente alcune scene sono efficaci ma sono isolate in un film certamente non breve, che voleva dire tanto ma da cui si raccoglie non molto. La genesi è stata lunga (si narra di sei anni di gestione per la scrittura, a cui hanno contribuito non poco i tre protagonisti) e ciò tante volte porta al perfezionamento delle idee ma tante altre a creare solo uno zibaldone di opinioni e ripensamenti. In qualche frangente si rischia di annoiarsi ed è un peccato perché se invece il film fosse stato congegnato più spedito ed asciutto, per farne, come è chiaro, anche un evidente riferimento alla Storia di questi anni, con tanti rampanti tycoons che mirano alla presa del potere, sarebbe stato più efficiente per raggiungere lo scopo. Non è che David O. Russell abbia mai fatto dei film memorabili ma da lui, autore portafortuna di premi per i suoi interpreti, ci si poteva attendere di più, anche per un cast non comune che abita il film. Il vero problema (a dimostrazione di tutto ciò) è che al termine (l’agitata scena finale pare la conclusione in crescendo di un giallo epico ma è tutto prevedibile, con poca suspense) resta poco allo spettatore, che tranquillamente gira pagina: attori in gran forma per un regista che si esprime in tono minore.

Per lo spreco delle potenzialità del progetto, il giudizio numerico meriterebbe l’insufficienza, ma va dato l’atto di stima per l’insieme.



 
 
 

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