The Pale Blue Eye - I delitti di West Point (2022)
- michemar

- 19 gen 2023
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 27 mag 2023

The Pale Blue Eye - I delitti di West Point
(The Pale Blue Eye) USA 2022 thriller 2h8’
Regia: Scott Cooper
Soggetto: Louis Bayard (romanzo)
Sceneggiatura: Scott Cooper
Fotografia: Masanobu Takayanagi
Montaggio: Dylan Tichenor
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Stefania Cella
Costumi: Kasia Walicka-Maimone
Christian Bale: Augustus Landor
Harry Melling: Edgar Allan Poe
Toby Jones: Daniel Marquis
Gillian Anderson: Julia Marquis
Lucy Boynton: Lea Marquis
Harry Lawtey: Artemus Marquis
Charlotte Gainsbourg: Patsy
Timothy Spall: Sylvanus Thayer
Simon McBurney: capitano Hitchcock
Robert Duvall: Jean-Pepe
Charlie Tahan: Loughborough
Fred Hechinger: Randolph Ballinger
Gideon Glick: Horatio Cochrane
TRAMA: Accademia di West Point, 1830. Nelle prime ore di un mattino invernale, viene ritrovato il cadavere di un cadetto. Ma dopo che il corpo giunge in obitorio, la tragedia assume toni brutali quando si scopre che il cuore del ragazzo è stato rimosso con precisione. Temendo danni irreparabili per l'accademia militare appena inaugurata, i direttori si rivolgono al detective locale Augustus Landor per risolvere l'omicidio.
Voto 6,5

Oh come venne giù, giù, giù quel turbinio vorticoso ed eccitato
Di ali troppo oscure per essere viste
Rotto nel cuore, la pregai di fare presto...
"Leonore!" — lei omise di rispondere.
Tetra fu la notte che la colse poi nella sua fanghiglia —
Avvolgendola tutta tranne i suoi occhi azzurro pallido.
Algida fu la notte, nera di furia infernale,
Che lasciò solo quei mortali occhi azzurri.
(dal romanzo di Louis Bayard, la poesia declamata da Edgar Allan Poe a Augustus Landor nella parte finale del film, nel momento in cui il mistero si sta chiarendo definitivamente)
Cinque anni dopo il riuscitissimo Hostiles – Ostili e nove da Il fuoco della vendetta - Out of the Furnace, Scott Cooper sente il bisogno di rinverdire i fasti di quel western girato con il protagonista Christian Bale con una nuova avventura artistica, questa volta in costume ma nell’Est statunitense, sulle rive ghiacciate occidentali dell’Hudson durante l’inverno imbiancato e gelido del 1830, nei pressi dell’Accademia di West Point a circa 70 chilometri a nord di New York. Scuola militare che cerca l’approvazione definitiva da parte del governo dopo essere stata istituita solo qualche anno prima. Il severo sovrintendente Sylvanus Thayer (il sempre straordinario Timothy Spall) ha il timore che se i risultati della scuola non saranno soddisfacenti ci potrà essere il rischio della chiusura, a maggior ragione se accade qualcosa di anomalo durante quegli anni importanti per il prosieguo e la conferma. Le sue paure non si riveleranno infondate dopo che è successo un fatto molto grave.

Un corpo prima impiccato, apparentemente per suicidio, e poi oltraggiato dall’asportazione del cuore in maniera chirurgica, è stato trovato una notte nel bosco e sapendo che non molto lontano abita solitario il vedovo AugustusLandor (Christian Bale), molto noto per le sue abilità di investigatore, il responsabile militare lo fa chiamare e gli spiega la preoccupante situazione: deve assolutamente trovare e assicurare il colpevole alla giustizia affinché torni quiete e disciplina tra i commilitoni e nelle stanze della istituzione marziale. Come succede in tutte le corporazioni militari, anche lì esiste il codice del silenzio e nessuno ha ufficialmente visto e sentito alcunché la notte del misfatto. Per questo, Landor assolda uno di loro per eseguire assieme a lui le indagini, un eccentrico cadetto di nome Edgar Allan Poe, che non apprezza molto la rigidità del mondo militare e ama la poesia: i suoi piccoli occhi scavati nell’ossuto viso triangolare sembrano perforare lo spazio che lo separa dagli altri, paiono intuire le sensazioni e i segreti mentali degli interlocutori. E poi, è come se il detective, che vive una vita spartana nella sua solitaria casa nel bosco adiacente al fiume, avverta una certa connessione psicologica con quello strano cadetto, preso in giro da tutti per il suo personale modo di fare, per il suo fisico, per la sua scarsa disponibilità al cameratismo. Eppure, sembra sia un potenziale sospetto che l’ideale collaboratore nelle indagini che per adesso vagano nel vuoto.

Tra qualche interrogatorio – peraltro infruttifero –, alcuni sopralluoghi e un attento esame sul cadavere, sono pochi i passatempi serali di quel luogo remoto e ghiacciato, se non qualche visita nella casa della famiglia benestante del dottor Daniel Marquis (Toby Jones), il medico della scuola, la cui moglie Julia (Gillian Anderson), isterica e altezzosa, riceve sia Landor che Poe a cui ama far ascoltare l’attraente figlia Lea (Lucy Boynton) mentre suona al pianoforte, donna che fa presto a far innamorare perdutamente il futuro scrittore e poeta. Regna una strana aria formale e finta in quella casa e diventa ancora più opprimente quando un altro misterioso assassinio, con identico strazio corporale, si ripete molto simile al precedente: in quel luogo, in quell’Accademia – non v’è dubbio – c’è un assassino seriale che ha chissà quale movente per colpire la cricca che era composta dai due uccisi e da un terzo che non metterà molto a capire di essere in pericolo e a scappar via terrorizzato. Cosa li unisce? Cosa hanno commesso segretamente da dare l’idea di una vendetta consumata piano e con i tempi giusti?

Chi si attendeva un classico thriller da Scott Copper si deve ricredere: stiamo virando verso l’horror di una serie di omicidi con relativo scempio del cadavere, con probabili riti esoterici, in un’ambientazione che nel buio e bianchissimo inverno di quella regione sta assumendo vieppiù i connotati di una storia inaspettatamente gotica. Non tanto per l’architettura e la natura circostante, quanto per l’atmosfera arcana e profondamente cupa che si respira, il comportamento apparentemente omertoso dei vari e tanti personaggi (cadetti e civili) e per i nefasti avvenimenti che stanno accadendo nel più profondo mistero. I due massimi ufficiali, il sovrintendente Sylvanus Thayer e il capitano Hitchcock (accipicchia che nome per il ruolo di Simon McBurney!) si dimostrano, nel frattempo, impazienti per la lentezza delle indagini e per gli scarsi risultati finora ottenuti dalla persona a cui si erano affidati ciecamente; il quale invece, sempre irremovibile nel suo aplomb serioso e di poche parole, li tranquillizza essendo, a sentirlo, sempre più vicino alle conclusioni. Grazie anche al notevole apporto del giovane Poe, capace di trarre deduzioni e apportare osservazioni molto utili, benché cominci a sollevare non pochi dubbi sulle asserzioni del quotato Landor, uomo che soffre ogni momento della giornata per il dolore della perdita tragica della moglie e della conseguente sparizione della figlia. Episodio mai sufficientemente chiarito perché coperto dal massimo riserbo dal nostro protagonista, restio a parlarne e segnato moralmente oltremodo. Lo scenario si ammanta di un’aurea malefica di mistero che scuote e appassiona il cadetto che come ben sappiamo diventerà uno dei maggiori scrittori della letteratura horror di tutti i tempi: Edgar Allan Poe.

Per chi non sia mai stato al corrente, una delle sorprese che riscontrerà è che davvero il famoso autore di racconti e romanzi di paura e di poesie dense di significati reconditi ma altamente liriche, ha praticato l’arte militare come allievo della famosa scuola di West Point, dove si iscrisse appunto il 1° luglio del 1830 (che coincide con il periodo dei fatti del romanzo e del film), ma in seguito, ribelle com’era nella realtà e alla ricerca di maggiori soddisfazioni, decise abbandonare la divisa, consapevole che sarebbe andato incontro alla corte marziale, da cui infatti fu processato per negligenza grave e disobbedienza ad un ordine e per aver rifiutato di partecipare alla formazione, all'educazione e ai riti religiosi. Tre principi formativi a cui gli ufficiali responsabili tenevano moltissimo e che vengono anche ribaditi in almeno una scena del film: una scuola rigidamente disciplinata che vedeva allievi tenuti sotto stretta sorveglianza che si sfogavano solo nell’osteria della bella Patsy (Charlotte Gainsbourg), donna che si rivelerà la testimone determinante nelle indagini solitarie di Poe, il quale solo apparentemente è una spalla del protagonista e che invece prenderà il sopravvento nella soluzione finale ma anche nell’amore verso l’affascinante ed enigmatica Lea ed anche sulla scena, in un crescendo melodrammaticamente gotico.

Per colpire e sbalordire il lettore e lo spettatore, la trama, quindi, controbilancia l’assoluta padronanza scenica di Landor con un coprotagonista d’eccezione a sorpresa, che è appunto il poeta, dotato di un intuito e di una capacità deduttiva e di osservazione pari ad uno Sherlock Holmes americano: è lui che si prende la scena con la bravura ed il talento interpretativo di Harry Melling (noto per la partecipazione a cinque episodi di Harry Potter e in altri film) che vi si immedesima, anche per la adattabilità del suo fisico e soprattutto del suo viso particolarissimo che sa rendere inquietante. Scott Cooper, nella scena madre prefinale, lo inquadra in controluce o illuminato dalle fiamme del camino per farne risaltare la silhouette iconografica che tanto lo fa rassomigliare all’originale. Spigoloso, ossuto, capelli scarmigliati e lunghi. È lui! E per giunta ha anche gli occhi di un pallido azzurro! Attore che meglio non si poteva scegliere, il giusto contrappunto al solito impeccabile Christian Bale che ormai sembra andare all’unisono con un regista che lo conosce bene e sa quanto sia affidabile nella sua recitazione che stavolta risulta molto controllata, maggiormente imperscrutabile con la barba che porta da qualche anno. Un duo che funziona, attorniato da un cast notevolissimo composto dai nomi già citati e arricchito anche da un irriconoscibile Robert Duvall nel ruolo di Jean-Pepe, un anziano esperto di riti esoterici e possessore di tomi antichi che trattano i temi della magia nera e della devozione al Male.


Ovviamente un cast di questo livello ha svegliato l’attenzione di molta critica e di tantissimi appassionati, i quali (prima e secondi) si sono divisi nel giudizio, con pareri diversi e contrastanti. E un po’ hanno tutti ragione, per un motivo o per un altro. Molto, secondo un mio modesto pensiero, è condizionato da quanto il singolo spettatore sia rimasto o meno sorpreso dalla scoperta finale che segue a quella solo fittiziamente definitiva a cui il regista ci porta almeno 20 minuti prima della parola fine. Non è in realtà un vero film dalla conclusione deduttiva come i gialli alla Edgar Wallace ma ci va vicino e quindi chi sta già prima intuendo chi sia il vero assassino e ciò che lo spinge, troverà l’opera deludente, ma chi si fa trascinare dalla emotività e dalla partecipazione non si distrae dalle deduzioni e ne resta alfine ammutolito dalla svolta inattesa. Ma ciò è solo marginale. Il problema principale è piuttosto come il regista non affondi le unghie nella caratterizzazione dei personaggi, che affronta sì, ma che lascia alcuni nel vago e dal punto di vista tecnico lascia recitare gli attori con pose a volte innaturali e con atteggiamenti che paiono forzati. In special modo queste osservazioni riguardano la Julia di Gillian Anderson e l’Artemus Marquis di Harry Lawtey, che mi ha lasciato perplesso vedendolo pronunciare le frasi con movenze e affettazione da cicisbeo dispettoso. Non so quanto voluto o chiesto dal regista. Poi subentra anche una punta di delusione perché l’appassionato si aspetta da Scott Cooper solo cose notevoli, a maggior ragione dopo l’eccellente esordio del premiato Crazy Heart e il bellissimo western di cui all’inizio: troppo poco per un autore molto atteso e con un cast di questo livello, troppo poco ma non così insufficiente, secondo il mio parere, per i giudizi severi e distruttivi (alcuni lo sono) che si leggono in giro.

È senza dubbio, invece per me, un buon film in costume, che per l’accuratezza dei dettagli ricorda quelli del cinema classico, sia dell’epoca che dell’horror gotico con citazioni perfino alla celebre poesia Il corvo di Poe, che ha tutta l’aria del mistery invernale da gustare vicino al camino acceso. Film che si pone lo scopo di trovare una giustificazione al malessere che ha investito il colpevole e che gli condiziona la vita. È spoiler aver scritto che ci sono due finali? Beh, forse, ma ciò non toglie che il film si faccia vedere, a condizione però che non ci si accosti suggestionati dall’altrui giudizio. Perché il film può piacere o meno, ma questo accade ogni volta che si riaccendono le luci in sala. O no?
Comunque, d’ora in poi, occhio a Harry Melling, ché Scott lo ha messo giustamente alla ribalta.






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