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Bones and All (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 mar 2023
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 15 ott

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Bones and All

Italia, USA 2022 horror 2h11’


Regia: Luca Guadagnino

Soggetto: Camille DeAngelis (romanzo)

Sceneggiatura: David Kajganich

Fotografia: Arseni Khachaturan

Montaggio: Marco Costa

Musiche: Trent Reznor, Atticus Ross

Scenografia: Elliott Hostetter

Costumi: Giulia Piersanti


Taylor Russell: Maren Yearly

Timothée Chalamet: Lee

Mark Rylance: Sully

Michael Stuhlbarg: Jake

André Holland: Frank Yearly

Chloë Sevigny: Janelle Kerns

David Gordon Green: Brad

Jessica Harper: Barbara Kerns

Anna Cobb: Kayla


TRAMA: È la storia, ambientata nel mondo reale, di una giovane ghoul: una ragazza per il resto normale, che ogni tanto per ragioni mai chiarite prova il bisogno irresistibile, soprannaturale, di divorare un essere umano. Abbandonata dal padre con cui vive, si lancia in un lungo viaggio nel continente americano, per cercare la madre, ma anche per capire se al mondo c’è un posto anche per qualcuno di mostruoso come lei. Lungo la strada si unisce al giovane Lee, afflitto dagli stessi problemi materiali e affettivi.


Voto 7


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Nella Virginia dell’era reaganiana (siamo nel 1988), l'adolescente Maren Yearly (Taylor Russell) sgattaiola di notte dalla finestra di casa mentre il padre (l’uomo ha abbandonato al suo destino la moglie per motivi che saranno spiegati in seguito) sta dormendo per partecipare ad una festicciola con le sue amiche, durante la quale viene colta da una sorta di raptus per cui addenta un dito della mano della ragazza che l’ha invitata e da cui si è sentita attratta, suscitando orrore tra le presenti. Tornata a casa ancora coperta di sangue, suo padre Frank (André Holland), conscio di ciò che sta risuccedendo alla figlia, la invita a fare velocemente le valigie per partire immediatamente, prima che la polizia sopraggiunga. Decide di andare rapidamente nel Maryland dove si stabiliscono, almeno per il momento. Lui sa qual è il vero problema della figlia, che soffre della stessa mania per cui aveva lasciato al suo destino la madre, e ora si sta rendendo conto che la giovane Maren, dopo il primo episodio di cannibalismo in cui aveva azzannato la sua babysitter a soli tre anni, è ormai segnata. Non reggendo la situazione e non avendo soluzioni, al compimento del diciottesimo compleanno della figlia, Frank abbandona anche lei, lasciandole un po’ di soldi, il suo certificato di nascita e una audiocassetta tramite la quale spiega per filo e per segno il suo brutale istinto. Nel nastro racconta la storia del suo primo episodio cannibalistico e la netta sensazione che purtroppo gli episodi si ripeteranno nel tempo. Un atto certamente di debolezza ma anche di impotenza di fronte ad un fenomeno che lui non saprebbe mai gestire e che li porterebbe solo a fuggire di luogo in luogo, e lui è sempre più angosciato per la sua apparente mancanza di rimorso. Conclude con la speranza che un giorno imparerà a superare i suoi impulsi.


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Questo, che è la primissima parte del film, rappresenta una specie di introduzione al vero racconto che da questo momento si svilupperà, e cioè quando Maren, ormai sola, intraprende un viaggio lungo l’America alla ricerca principalmente di se stessa e del futuro che potrà vivere, in un modo o nell’altro. Il padre le ha rivelato che la madre è morta ma vuole ugualmente raggiungere la località dove viveva per informarsi meglio della sua vita e quindi anche poi capire meglio la sua indole e cosa abbia mai commesso quella donna quando erano ancora tutti insieme. Ha una vaga indicazione della città di provenienza e con i pochi soldi che si ritrova cova la speranza di raggiungere possibilmente la famiglia. La comprensione di se stessa comincia a realizzarsi quando incontra, durante una sosta lungo il viaggio in autobus, uno strano uomo che la guarda come se la avesse annusata e capite le sue caratteristiche. Lui è Sully (Mark Rylance), stranamente agghindato e colorato, con una lunga coda di capelli, e una penna da indiano sul cappello, che la invita nella sua casa raccomandandole di non avere paura: non le farà male, essendo della medesima natura. Sono entrambi antropofagi. Lì, infatti, avviene un altro atto di cannibalismo da cui escono sazi e interamente insanguinati.


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Secondo incontro, molto determinante, è quello con Lee (Timothée Chalamet), un giovane ragazzo che, della stessa indole, avverte il suo odore caratteristico che solo loro avvertono e continuano il lungo cammino seguendo il progetto di Maren a bordo di un pickup rubato ad una malcapitata vittima del ragazzo. È il cuore del libro e del film di Luca Guadagnino: la lenta conoscenza tra i due, l’avvicinamento nella loro natura irresistibile, nel loro istintivo bisogno improvviso di assalire le persone, preferibilmente sgradite per qualche atto di prepotenza o maleducazione, e divorarle, senza mai arrivare al gesto estremo, una sorta di sublimazione di quel soddisfacimento disumano e innaturale, per loro e per i loro simili invece normale e connaturato: Bones and All (come il titolo del libro di Camille DeAngelis), fino all’osso. Ossia divorare tutto, ossa comprese. Il massimo, il sogno realizzato. In seguito Maren scoprirà la sconvolgente verità sulla madre e poi continuerà a viaggiare con o senza Lee, sempre alla ricerca di un posto dove finalmente potrà vivere senza scappare, un posto nell’universo come tutte le ragazze del mondo. Dove magari potrà anche capire se stessa e perché è spinta ad agire in quella maniera.


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Che sia davvero senza rimorso - a differenza di Lee, che dà l’idea di non soffermarsi troppo su questa riflessione, ma è parimenti triste per questo suo amarissimo destino – non è del tutto vero. Maren ripensa sempre alle sue azioni, sembra anzi che non voglia ripetersi, e quando riaccade prova prima godimento ma poi anche un certo senso di tormento, se non di contrizione e dispiacere, sebbene sappia bene che non potrà mai sottrarsi alla sua sorte ineluttabile. Ciò che la salva, ciò che la fortifica, è il sincero sentimento che sta nascendo e si sta stabilmente instaurando tra lei e Lee. L’importante, però, sarà liberarsi del pressante Sully che non ha desistito dall’inseguirla per tutta l’America: una volta liberati dall’uomo, i due si sentiranno davvero liberi. Perché sarà pure una rivoltante storia di cannibalismo ma è anche una bellissima storia d’amore, una vicenda fortemente sentimentale, una romantica trama vestita di carne, sangue e, possibilmente, di ossa. Maren e Lee sanno che il loro futuro, nonostante le difficoltà che gli altri non capiranno mai, sono fatti l’una per l’altro.


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Luca Guadagnino, dopo i primi tiepidi esordi e dopo il mio film preferito Io sono l’amore, dopo il successo mondiale di Chiamami col tuo nome, ma soprattutto dopo il rifacimento di Suspiria, rieccolo con un vero e brutale (ma solo in qualche sequenza) horror, genere che evidentemente lo sta interessando sempre di più. Ancora con il “sintonizzato” Timothée Chalamet ed la sbalorditiva canadese Taylor Russell (bella e bravissima, giustamente riconosciuta a Venezia 2022 con il Premio Marcello Mastroianni quale miglior attrice emergente), il regista palermitano-cremasco elabora, nel corpo di un racconto macabro, una storia d’amore che non conosce confini, che vuole andare oltre le convenzioni, che trasmette orrore e piacere, sensazioni che sfiorano il sovrannaturale e sentimenti umanissimi, tramite due anime affamate di carne e di comprensione. Si ripete nel raccontare le adolescenze inquiete, le emozioni, i turbamenti degli outsider di chi vive ai margini della società e non comprende quale sia il suo posto nel mondo e riesce nel miracolo di coniugare la poesia con l’antropofagia. Parte falsamente come un teen-movie per poi trasformare la sua opera in un famelico road movie alla caccia della serenità impossibile, che forse si trova semplicemente in riva ad un lago lontano dai luoghi che essi trovano inospitali. Il margine del mondo per loro sarà il centro dell’universo.


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Per assurdo, il film vuole dimostrare che se per noi comuni mortali Maren e Lee (ma anche Sully, la madre Janelle, ma anche Jake e Brad, quasi a dimostrare che sono tanti e vivono assieme a noi) sono pericolosi animali umanoidi, sono loro che avvertono il pericolo negli altri, che devono evitarci per non dover scattare nell’atto cruento. Quindi preferiscono isolarsi e sfuggire l’uomo che non li capisce. È la sensazione del bisogno di indipendenza che, con metodi naturali, provano i nostri normali adolescenti, con la sostanziale differenza che qui la necessità esistenziale si estrapola con una ellissi fuori dai concetti umani. Per raccontare una favola come questa serviva per forza un autore visionario, un cineasta dalla mentalità apolide rispetto alle regole quasi fisse del cinema mainstream, che viaggia tre metri sopra agli altri registi, che piaccia o no. Io, per esempio, non impazzisco per i suoi film (non ho scritto parole d’amore per Chiamami per il tuo nome e mi sono spiegato al proposito) ma ciò non vuol dire che il suo lavoro fuori dagli schemi non siano apprezzabili. Per realizzare questo film, Luca Guadagnino ha capovolto i ruoli di partenza del romanzo di Camille DeAngelis, che prevede invece una madre che non reggeva una figlia cannibale e, dopo aver abbandonato il marito, lascia la figlia per le strade del mondo. Ma la sostanza non cambia. Il colmo, piuttosto, è che la scrittrice, già vegetariana, era appena diventata addirittura vegana appena prima di iniziare a scrivere il romanzo: “È una delle migliori decisioni che abbia mai preso. E in qualche modo nel corso di quell’estate mi è venuta l’idea di una storia d’amore fra due cannibali.” Come dimostrato dall’autrice è quindi una storia sentimentale.


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Come scrivo sempre, e come mi sembra scontato, c’è horror e horror, cha varia dallo splatter e quello minimo psicologico: questo è una via intermedia, c’è sangue ma non disturba più di tanto. È l’idea, è l’atto, è il modo con cui si sviluppa l’istinto che fa scattare la molla dell’anima ghoul che caratterizza il film, per fortuna ampiamente, come almeno nella stessa dose, compensata dall’amore che attrae i due giovani in viaggio. I due attori, Taylor Russell e Timothée Chalamet sono molto bravi e se per il secondo è scontato il giudizio positivo, la prima è una scoperta importante, da rivedere assolutamente all’opera. La sorpresa invece viene dagli altri attori importanti, investiti parimenti da ruoli inaspettati: l’eccellente Mark Rylance (ah, quanto l’ho stimato in Intimacy!) che mai ci saremmo sognati di vedere nei panni del singolarissimo Sully e con un accento “debritannicizzato” per l’occasione; il posato e quieto, ma duttile, Michael Stuhlbarg, jolly di tanti registi, quasi impossibile da riconoscere. Da notare, infine, il cameo di Jessica Harper, l’attrice protagonista del Suspiria originale, attrice nel remake e qui nel ruolo di nonna e quelli di Chloë Sevigny e di André Holland, nei ruoli di madre e padre della cannibale (non zombie, attenzione, c’è una bella differenza!)


Film sicuramente divisivo: può piacere oppure semplicemente disturbare ed essere mollato dopo un terzo di visione, ma nulla da eccepire sulla qualità.

Ottimamente girato e interpretato, merita la giusta attenzione.


Riconoscimenti

Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2022

Premio Marcello Mastroianni a Taylor Russell

Leone d’argento alla regia a Luca Guadagnino

David di Donatello 2023

Candidatura miglior film straniero


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Riconoscimenti (tra i tanti ricevuti)

Festival di Venezia 2022

Premio Marcello Mastroianni a Taylor Russell

Leone d'argento alla regia



 
 
 

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