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Città d’asfalto (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 4 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min
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Città d’asfalto

(Asphalt City) USA, UK 2023 dramma 2h5’

 

Regia: Jean-Stéphane Sauvaire

Soggetto: Shannon Burke (I corpi neri)

Sceneggiatura: Ryan King, Ben Mac Brown

Fotografia: David Ungaro

Montaggio: Saar Klein, Katherine McQuerrey

Musiche: Nicolas Becker, Quentin Sirjacq

Scenografia: Robert Pyzocha

Costumi: Stacy Jansen

 

Tye Sheridan: Ollie Cross

Sean Penn: Gene Rutkovsky

Michael Pitt: Lafontaine

Mike Tyson: capo Burroughs

Gbenga Akinnagbe: Verdis

Raquel Nave: Clara

Katherine Waterston: Nancy

Kali Reis: Nia Brown

 

TRAMA: Ollie Cross è un giovane paramedico che, mentre si prepara per l'esame di ammissione alla facoltà di medicina, viaggia con Gene Rutovsky in ambulanza per le strade di New York.

 

VOTO 6


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Originariamente intitolato Black Flies e tratto da un romanzo di Shannon Burke, che ha davvero lavorato come il paramedico protagonista del film per il New York City Fire Department, il film si basa sulle esperienze descritte nel libro. Ryan King e Ben Mac Brown ne hanno ricavato la sceneggiatura che è servita a Jean-Stéphane Sauvaire (Una preghiera prima dell’alba) per girare un drammaticissimo lungometraggio per le strade notturne di NY. E come nell’altro film, si segue un giovanotto alle prese con vicissitudini di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Lì Billy Moore è un giovane pugile inglese che vive in Thailandia e si ritrova a combattere in carcere per sopravvivere, qui il protagonista è Ollie Cross (Tye Sheridan) che arriva nella grande metropoli come paramedico alle prime armi, con il sogno di diventare medico: vive a China Town in un appartamento modesto con due coinquilini, risparmia su tutto mentre studia per ripetere il test d’ammissione a Medicina. È idealista, vuol salvare vite, ma non ha ancora vissuto la brutalità e il peso emotivo del lavoro sul campo. Gli viene affiancato Gene “Rut” Rutkovsky (Sean Penn), un veterano del FDNY, che ha visto troppa sofferenza: è uno che ha imparato a sopravvivere diventando insensibile, cercando disperatamente di non lasciarsi mai travolgere dagli aspetti umani che incrocia nel difficile lavoro.


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L’esperto Rutkovsky è una guardia medica che conosce bene i suoi compiti e il giovane, inizialmente intimorito dal primo approccio severo, come una qualsiasi recluta militare maltratta dal veterano, capisce che patirà quel rapporto ma ne ricaverà nella lezione quotidiana. L’uomo, purtroppo, ha un carattere molto brusco, una personalità ruvida, motivo per cui è difficile convivere con lui in maniera armoniosa, ma Ollie ha la pazienza di sopportare e dopo qualche giorno, nonostante il caratteraccio, riesce ad ammorbidire la connessione, fino al punto di potersi vicendevolmente confidare le proprie aspettative. Nulle, ovviamente, quelle di Rut, grandi quelle di Ollie, che sogna di diventare medico ammesso che finalmente riesca a superare l’esame di ammissione all’università. È per questo che lavora lì, che si è trasferito dal Colorado e che vive in un postaccio con due coinquilini immigrati insopportabili.


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La trama si concentra sul viaggio notturno quotidiano dei due paramedici, che affrontano ogni notte terribile non solo emergenze mediche, ma anche i lati più crudi e disumanizzanti della città. Il rapporto tra i protagonisti evolverà in modo profondo, mostrando l’impatto emotivo e morale delle esperienze che vivono. Donne in overdose che partoriscono sul letto di casa, giovani feriti in accoltellamenti, ragazzi colpiti da armi da fuoco, persone azzannate da pitbull, spesso salvati nonostante i presenti che ostacolano e i moribondi che non vogliono andare in ospedale perché non possono pagare (non dimentichiamo come funziona la sanità negli USA), donne vittime di violenza domestica inaudita che non vogliono denunciare. Le prime notti sono uno shock per Ollie ma si muove quasi automaticamente anche sotto la pressione degli ordini secchi di Rut. Poi, stanchissimo e sconvolto, torna all’alba nella sua camera cercando di dimenticare il sangue e i corpi squarciati di individui che chiedono disperatamente o di essere salvati o di essere lasciati in pace. Cercando anche di non pensare alle derisioni e al bullismo dell’incallito Lafontaine (Michael Pitt).


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Nel frattempo, frequenta Clara (Raquel Nave), unico momento di “scarico” e di un minimo di affetto, rapporto che si guasta definitivamente dopo la notte peggiore che ha dovuto affrontare, quando Rut commette un grave errore di scelta umana, in cui resta implicato nell’indagine dei responsabili della FDNY, i quali processano il collega, che, una notte - ancora un episodio scioccante notturno - sopraffatto da un’esistenza di troppi errori e dal lavoro sconquassante, decide di farla finita. La vita del giovane è ormai sconvolta e, abbandonato dall’unico punto di riferimento femminile, è allo sbando. Solo un episodio positivo potrebbe aiutarlo e gli accade quando meno lo immagina: sfida con coraggio e disperazione una situazione quasi estrema e infrange il protocollo entrando in un edificio in fiamme e intuba una bambina che riesce a salvare. L’abbraccio della madre in ospedale è il compenso di cui aveva bisogno per tirare avanti e risollevarsi. Un anno dopo l’episodio peggiore della sua ancora breve esperienza, Cross va a trovare Nia, la donna che aveva partorito, in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti e si scusa, dicendo di essere diventato paramedico per i motivi migliori, anche se quel giorno era accaduto esattamente il contrario.


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Cosa succede quando il cinema decide di raccontare non gli eroi in divisa, ma chi ogni notte corre tra le strade di New York per strappare vite alla morte? Il film diretto da Jean-Stéphane Sauvaire e presentato a Cannes, è un film che vibra di tensione e umanità. La coppia che vediamo all’opera non è costruita per il dramma hollywoodiano, ma per un realismo quasi documentaristico: turni estenuanti, chiamate improvvise, corpi da soccorrere e un costante equilibrio tra empatia e distacco. Tye Sheridan ha preparato il ruolo vivendo accanto a veri soccorritori, osservando da vicino la loro lotta quotidiana con il trauma e la necessità di restare lucidi, così come Sean Penn. Il regista - il quale ha voluto fare la medesima esperienza degli attori - da parte sua non cerca l’azione spettacolare ma vuole mostrare la fragilità umana dietro la sirena lampeggiante, la fatica di chi deve affrontare la morte senza perdere la propria umanità. Sean Penn, con la sua intensità, diventa il contraltare perfetto del giovane: un “nonno” del mestiere che incarna la durezza necessaria per sopravvivere. Il film diventa così un omaggio a un mestiere invisibile e dimenticato, un cinema sociale che non si limita a raccontare storie, ma ci costringe a guardare in faccia la realtà. Un cinema che pulsa come una sirena d’ambulanza.


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Purtroppo, però, tutto ciò non basta a materializzare la voglia del regista di compiere appieno le intenzioni e oltre alla buona prestazione di Tye Sheridan e alle rughe parlanti del duro Sean Penn non si gode di un gran film, che doveva almeno avvicinarsi all’angoscia sconvolgente che invece Martin Scorsese aveva portato sullo schermo con Al di là della vita. Si sfrutta ampiamente lo schema già conosciuto del principiante idealista e del veterano indurito nell’anima e quindi non apporta nulla di nuovo. Non basta il cliché del protagonista che si trascina nella mente il ricordo della madre suicida. E non basta il simbolismo delle mosche che ronzano sui cadaveri contrapposte alle ali dell’arcangelo dipinte sul giubbotto (San Michele, patrono degli ammalati). Certamente crudo, certamente impressionante nella sua tragicità, poteva e doveva coinvolgere maggiormente lo spettatore, pur restando un thriller viscerale che coniuga azione e adrenalina al racconto sociale dei disagi e della rabbia che sfociano nella violenza. È comunque un film che si lascia vedere.


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È una New York nera e buia, illuminata dai lampeggianti dei sanitari e oscurata dalla brutalità delle periferie. Un luogo dove la violenza, da cui i paramedici devono salvare le vittime, penetra nel loro intimo segnando la loro vita anche dopo che si sono cambiati negli spogliatoi.

 


 
 
 

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