Una preghiera prima dell’alba (2017)
- michemar

- 11 mar 2022
- Tempo di lettura: 4 min

Una preghiera prima dell’alba
(A Prayer Before Dawn) UK/Francia/ Cina/Cambogia/USA/Germania 2017 dramma 1h56’
Regia: Jean-Stéphane Sauvaire
Soggetto: Billy Moore
Sceneggiatura: Jonathan Hirschbein, Nick Saltrese
Fotografia: David Ungaro
Montaggio: Marc Boucrot, Katie Mcquerrey
Musiche: Nicolas Becker
Scenografia: Lek Chaiyan Chunsuttiwat
Costumi: Lupt Utama
Joe Cole: Billy Moore
Pornchanok Mabklang: Fame
Panya Yimmumphai: Keng
Somluck Kamsing: l’allenatore
Vithaya Pansringarm: Preecha
Billy Moore: il padre di Billy
TRAMA: Il britannico Billy Moore viene arrestato in Thailandia e rinchiuso in una delle prigioni più dure e severe del Paese. Qui, imparerà a sopravvivere grazie all'arte dei combattimenti Muay Thai. La sua sarà una storia di dolore, riabilitazione e redenzione.
Voto 7

Ancora una storia vera e violenta, quella di Billy Moore, un giovane inglese incarcerato per tre anni in una delle prigioni più tristemente famose della Thailandia. Rapidamente attratto in un sottobosco di droghe, violenze e bande criminali, egli ottiene dalle autorità della prigione la possibilità di partecipare ai tornei di Muay Thai e ben presto si renderà conto che ciò rappresenta la sua unica speranza per la sopravvivenza. Tratto dall’autobiografia del protagonista, a molti ricorderà per la violenza il Bronson di Nicolas Winding Refn oppure Il ribelle - Starred Up di David Mackenzie, e per la terribile esperienza carceraria, il cult di Alan Parker Fuga di mezzanotte che riguardava una prigione turca. Siamo infatti proprio in quel tipo di cinema, ma in cui si va perfino oltre il concetto classico del prison movie.

Il terzo lungometraggio del regista francese Jean-Stephane Sauvaire riprende parecchio per diversi aspetti e temi il suo lavoro precedente, in particolare quello che lo ha fatto conoscere maggiormente, il suo stupefacente e inquietante studio sui bambini-soldato africani di Johnny Mad Dog del 2008. Come in quel film, questo si sofferma sui corpi dei giovani uomini mentre si infliggono brutali violenze l'uno all'altro, presentando un cast composto principalmente da sconosciuti, addestrati in modo impressionante per fornire sequenze sorprendenti sullo schermo. L'unica grande differenza è che il ruolo principale qui è assunto da un professionista qualificato, il britannico Joe Cole, ultimamente in rapida ascesa, conosciuto per la famosa e seguitissima serie TV Peaky Blinders e poi per i ruoli secondari nei thriller indipendenti Green Room e Il segreto dei suoi occhi, nel remake del 2015. Invece proprio recentemente è l’eccellente spalla del protagonista del film Against the Ice. In questa occasione Cole offre una performance notevolissima, piena di sporche battaglie sul ring, sporcizia, urla e furia nei panni di un ragazzo schiavo della droga che si trasforma in un pugile nella specialità thailandese.

Nell’incipit, già fulminante, lo vediamo alle prese nei combattimenti a cui partecipa per procurarsi denaro per acquistare le dosi di cui non sa ormai fare a meno e siccome viene arrestato, è rinchiuso in una prigione che sembra una dépendance di un girone dell’Inferno dantesco: gente malfamata e tatuata in ogni parte del corpo e vigilantes spietati. Dormono a terra l’uno accanto all’altro in uno stanzone invivibile. È già pieno di lividi ed ecchimosi ma non ci fa caso, perché deve guardarsi continuamente le spalle da individui che soprattutto di notte compiono atti di ogni tipo. Ci vuole coraggio e resistenza per ambientarsi nel film come spettatori, le riprese di Jean-Stéphane Sauvaire sono spietatamente realistiche e con la macchina da presa a mano è sempre non addosso ma proprio a ridosso dei visi degli attori, tanto che non si riesce a vedere da dove arrivino gli aggressori, i pugni o gli interlocutori. Un continuo sussulto che non allontana la visione, anzi la rende veritiera fino al punto di appassionarsi. In special modo quando, per i continui litigi nello stanzone, viene punito e posto nella cella di isolamento: l’unica maniera, a questo punto, per adeguarsi allo stato è farsi accettare nella palestra dove si allenano i pugili del carcere.

Ma per fare ciò deve convincere l’allenatore e l’unico metodo è pagarlo con le sigarette. Per questo motivo deve avvicinare il transessuale Fame che gli fa credito di un paio di stecche. Contatto che diventa una straniante storia d’amore, una tenera tregua nell’estenuante vita di routine carceraria. Fino a quando tra eccessi di droga procurata da una guardia corrotta (il Vithaya Pansringarm di Solo Dio perdona di Refn) e colpi di boxe che gli hanno rovinato il fisico fino a rischiare la vita, solo il ricovero in ospedale lo salva e lo fa riflettere sul suo futuro. È allora che riceve la visita del padre che non vedeva da anni. Quel padre è interpretato, con un semplice cameo, dal vero Billy Moore in persona, che gli sorride.



Proprio quel Billy Moore che in seguito, salvo e in salute, ha scritto il libro di memorie su cui è basato il film. Un film durissimo, violento, che si fa fatica a guardare ma che merita tantissima attenzione. Jean-Stéphane Sauvaire ha saputo realizzare uno spaccato della irreale ma vera esistenza di persone perse, che vivono (?) per non morire, interpretate da attori presa dalla strada molti dei quali ex detenuti, che sanno bene cosa vuol dire quel posto. Il merito e l’apprezzamento del regista è aver saputo elaborare il soggetto con scene realistiche e brutali e con un movimento di corpi e macchina da presa che non si vedono spesso. Lo spettatore vive ogni attimo, pare di annusare la puzza, di superare le difficoltà quotidiane di Billy assieme a lui. Non era facile ma la resa è altissima. E Joe Cole è superlativo, perché si è adeguato e si è fatto sottoporre ad un tour de force che non dimenticherà. Una faccia d’angelo su un corpo martoriato.






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