Dogman (2023)
- michemar
- 10 mar 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 mar 2024

Dogman
Francia 2023 dramma 1h53’
Regia: Luc Besson
Sceneggiatura: Luc Besson
Fotografia: Colin Wandersman
Montaggio: Julien Rey
Musiche: Éric Serra
Scenografia: Hugues Tissandier
Costumi: Corinne Bruand
Caleb Landry Jones: Douglas “Doug”
Jojo T. Gibbs: Evelyn
Christopher Denham: Ackerman
Clemens Schick: Mike
John Charles Aguilar: El Verdugo
Grace Palma: Salma
Alexander Settineri: Richie
Lincoln Powell: Doug da bambino
Marisa Berenson: signora derubata
TRAMA: Nonostante la giovane età, Doug ha avuto una vita dura e sofferente. Fin da bambino, ha subito violenze e maltrattamenti da parte del padre, crescendo in compagnia degli unici amici che aveva: dei fedelissimi cani.
Voto 7
Si potrebbe iniziare ripetendo una banalità: il cane è il miglior amico dell’uomo. Così si dice sempre ma stavolta, nella storia di questo giovanotto maltrattato dalla famiglia e dal destino, si va anche oltre, molto oltre. Perché i tantissimi cani che lo attorniano sono la sua vera famiglia, i suoi “piccoli”, sono il regalo che la sua vita storta gli ha donato. “Quando l’uomo è nei guai, Dio gli manda un cane.” Un enorme branco, fatto di cani delle taglie e razze più varie, dai teneri bichon fino agli spaventosi alani, rottweiler e pastori belgi, tutti trattati con amore, totalmente ricambiato da loro con estrema fedeltà e obbedienza, a cui basta un minimo gesto del viso di Doug per eseguire gli ordini che hanno imparato a memoria, come devotissimi servi. E non in senso schiavistico ma semplicemente per fedeltà, come se loro stessi siano coscienti della tragedia personale che il giovane ha vissuto.
Ispirato, purtroppo, alla storia vera di una famiglia francese che rinchiuse il proprio bambino all’età di cinque anni in una gabbia, il film di Luc Besson è incentrato sulla via crucis, incredibile per ciò che gli capita, di Douglas. Costretto a vivere rinchiuso insieme a un gruppo di cani, da un padre folle e crudele e da un fratello altrettanto feroce, entrambi (schema classico) fanatici religiosi, il ragazzo si ritrova, in seguito all’ennesimo atto di violenza del padre, con una lesione alla colonna vertebrale che lo rende impossibilitato a camminare. Con il loro aiuto e la sola compagnia dei suoi fedeli amici a quattro zampe, il ragazzo riesce a scappare e dedica tutta la vita a suoi salvatori, gestendo un grande canile, e poi, per via di uno sfratto deciso dal comune per motivi di speculazione edilizia, in un fatiscente edificio che diventa la sua casa e il luogo in cui organizza delle incredibili rapine inviando i suoi fidati nelle case delle famiglie ricche. Le refurtive che gli portano serviranno all’alternativa mentale e artistica che è diventata la sua vera passione: prima il teatro di Shakespeare e poi un locale dove si esibisce come drag queen una volta alla settimana indossando quei gioielli, serate che rappresenteranno gli unici lampi di felicità in un mondo ostile. Ma Dio, o chi per lui, pare davvero perseguitare questo giovane in cerca di risposte (che non avrà mai) alla propria sofferenza. Evidente poi che i suoi “figli” gli servono come esecutori delle efferate vendette a danno dei nemici che si ritrova nel difficile percorso della vita.
È anche evidente che questo personaggio sia l’ennesima rappresentazione della Nikita che ha reso celebre Luc Besson. Doug (una pronuncia quasi simile a dog) è la prosecuzione delle figure femminili che hanno caratterizzato la sua produzione: la Mathilda di Léon, la Leeloo di Il quinto elemento, Lucy, Anna, perfino Giovanna d’Arco, tutte figlie però di Nikita, donne che quasi si muovono da uomini. Parlo al femminile perché questo protagonista è sì un uomo, che si innamora difatti della bella Salma che purtroppo va in sposa al suo impresario, ma trova attimi di felicità e serenità – quasi una realizzazione sociale e mentale, quindi essenzialmente personale – solo quando si traveste sul palco del locale in qui si esibisce come drag queen, modo in cui trova finalmente l’apprezzamento degli altri esseri viventi dopo tanta violenza e tanto odio ricevuti. Il conforto che trova in mezzo alla ridanciana compagnia dei colleghi di palco non lo sperava e in quei momenti se lo gode con una parvenza di felicità. Perché “Il mondo intero è un palcoscenico. E tutti gli uomini e le donne semplicemente attori. Hanno le loro uscite di scena e le loro entrate in scena. Ed un uomo durante la sua esistenza recita molte parti.” Frase che cita dall’amato William Shakespeare.
L’intero film è il racconto della vita che Doug rivela, in tutta sincerità, nella notte in cui viene arrestato, alla psichiatra Evelyn (Jojo T. Gibbs), accorsa perché chiamata dalla polizia per cercare di capire che sorta di persona sia questo strampalato individuo paraplegico, con la quale trova prima fiducia e poi sintonia, leggendo in lei le affinità che li accomuna. Entrambi hanno vissuto esperienze assolutamente negative ed il saluto finale, prima che la donna esca dalla cella, è chiaro: “È che abbiamo una cosa in comune” “Sì, e che cosa?” “Il dolore”. Insomma, lui ha analizzato lei, che torna a casa dal piccolo figlio avuto dall’ex marito assente con la tristezza nel cuore e tutta la comprensione possibile verso questo sfortunato giovane che avrebbe potuto avere una esistenza completamente differente, piena dell’affetto necessario per crescere in maniera sana.
Per tutto ciò, il film di questo “uomo dei cani” è la vicenda di un emarginato, di un reietto di una società che non si è accorta di lui, di un’anima innocente nata nel posto sbagliato da un genitore psicopatico, la cui rabbia si scatenava perché il piccolo Doug dava da mangiare ai cani detenuti nella gabbia che il padre teneva a digiuno per scatenarli nei combattimenti. Lui era semplicemente un ragazzino che amava più quegli animali della famiglia, perché da loro riceveva quello che gli altri tre non gli davano e questo, oltre alla disobbedienza dell’ordine impartito, lo faceva diventare il capro espiatorio dell’ira patriarcale. Besson lo tratteggia da persona in fondo buona, gentile con chi lo è con lui, che ha fame di amore e capace di amare, in cui non conta come si veste, andando oltre i costumi di stoffa e di mente, oltre i concetti gender e queer: Doug è un essere umano scartato che di conseguenza si è creato un mondo e una famiglia a sua misura. Un film allucinante su un ragazzino cresciuto come un animale che ha preferito le bestie agli uomini e che ha sempre difeso le persone benevoli con lui: ecco perché (ed è l’unica sequenza di azione) si oppone violentemente al boss sudamericano che spadroneggia nel quartiere e causa una vera carneficina, ed ecco perché scatena la sua famelica truppa per proteggere le sue amiche drag ed ecco perché, nel finale lascia un temibile alano a perpetua guardia della tranquillità della dottoressa Evelyn, mentre lui si lascia andare abbandonare all’ombra del crocifisso del campanile di una chiesa, identificandosi con chi volle sacrificare la sua vita per il bene degli altri. Un estremo gesto di generosità omaggiato dalle decine e decine dei suoi cani irradiati intorno. Un Golgota suburbano.
Amato sicuramente più dai cinofili che dai cinefili, il film è stato presentato in anteprima in concorso alla 80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia del 2023 raccogliendo pareri contrastanti dalla critica, che invece ha elogiato enormemente– come d’altronde il pubblico di tutte le sale – la superlativa prova di Caleb Landry Jones nel suo vero primo incarico di primo piano, dopo molte notevoli partecipazioni (a me piace ricordarlo rimarchevole in un ruolo congeniale in Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, un figurone!). Qui ha la piena possibilità di dimostrare le sue innate capacità ed è stato talmente bravo che all’uscita in tanti hanno pronosticato una sicura candidatura ai premi importanti. In realtà invece tutto è rientrato, con una débâcle al botteghino per il film e l’attore dimenticato, pur se onestamente meritava maggiori attenzioni, perché qui è veramente eccellente. La cosa certa e che nessuno può negare è quanto siano stupefacenti gli animali impiegati. Vederli all’opera fa restare sbalorditi per la loro docilità, l’addestramento ricevuto, l’esecuzione sul set, la simpatia dei piccolini e il terrore che suscitano i più feroci (sulla carta) ma tutti straordinariamente bravi nell’eseguire i comandi e le richieste del regista. Non so se sia vero, ma pare che il progetto sia nato e sia andato avanti proprio per la cinofilia di Besson e Jones, senza la quale, soprattutto per quello che riguarda l’attore, certe scene sarebbero state difficili da girare, se non mediante espedienti tecnici: solo un vero appassionato di cani si farebbe assalire bonariamente da cani di taglia impressionante che ti leccano la faccia e sbavano saliva. Non si tratta solo di avere dimestichezza, ma di intesa con queste bestie, che, va ripetuto, quando vogliono bene sono un miracolo della natura. Da notare un cameo di Marisa Berenson nel ruolo di una anziana signora derubata con una tecnica originale quanto sorprendente.
Nel complesso un buon film, indubbiamente, perfetto incastro nel puzzle che Luc Besson va componendo nella sua vita artistica, con un protagonista forte e ben caratterizzato dalla sua sceneggiatura, con soli pochi minuti (come accennato) di movimento e sparatorie (ma sufficientemente cruenti) e tanto spettacolo per le azioni dei canidi degni di uno show equestre. La mia perplessità riguarda le esibizioni del Doug di Caleb Landry Jones quando si trucca, si veste e si atteggia a Marlene Dietrich e Édith Piaf, in cui è bravissimo negli atteggiamenti ma la voce non è sua ma è quella originale; quindi, si tratta semplicemente di una imitazione fisica, che, però, va detto perfetta. Per poi finire in galera in total Marilyn Monroe e così immortalato nei poster pubblicitari.

“Un bambino prende l’affetto che trova. Sono i miei bambini. Per quanto ne so io hanno soltanto un difetto: si fidano degli umani.”
Ma Nikita e Léon restano inarrivabili.
Komentáře