Happy Holidays (2024)
- michemar

- 30 giu
- Tempo di lettura: 6 min

Happy Holidays
(Yinʿād ʿalēkom) Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar 2024 dramma 2h3’
Regia: Scandar Copti
Sceneggiatura: Scandar Copti
Fotografia: Tim Kühn, Frida Marzouk
Montaggio: Scandar Copti
Scenografia: Stella Rossié, Salim Shehade
Costumi: Hamada Atallah
Manar Shehab: Fifi
Toufic Danial: Rami
Shani Dahari: Shirley
Meirav Memoresky: Miri
Imad Hourani: Fouad
Wafaa Aoun: Hanan
Sophie Awaada: Leila
Raed Burbara: Walid
TRAMA: La complessità della vita in Palestina e Israele attraverso storie intrecciate di diversi personaggi.
VOTO 7

Film corale con personaggi diversi in senso quantitativo e diversi come complessità di carattere, per giunta montato con salti avanti e indietro nel tempo, scissi in piccoli capitoli che nello scorrimento diventano tessere di un puzzle che bisogna comporre mentalmente. Film, diretto dal pregevole Scandar Copti (lo si legge in giro nel web anche col nome di Iskandar Qubti), che ha una trama complessa e nello stesso tempo semplice, perché rispetta in entrambi i modelli la vita quotidiana di tante famiglie comuni, che siano occidentali o mediorientali poco cambia: la vita e i rapporti tra genitori e figli e fratelli varia poco, sono solo condizionati dalle tradizioni e dai credo religiosi. Che non è poco, ma in fondo, nell’intimità familiare o attorno ad una tavola, si ripetono riti e discussioni molto comuni e conformi.

Ciò non cambia il fatto che accennare anche per grandi linee alla trama dell’intero film è un compito ingrato sia per chi la descrive che per chi deve leggere e capire, o almeno farsi un’idea. L’aspetto più bello e nello stesso tempo più difficile del film è che è ambientato in Israele ma tra cittadini ebrei e palestinesi e ciò è poco rilevante ai fini del rapporto tra i personaggi, ma diventa importante socialmente e politicamente quando il regista mostra una sequenza in cui giovani ortodossi manifestano tra le strade per invitare i loro connazionali ad evitare di consumare in locali o frequentare gente palestinese: il problema razziale etnico è bello e servito.

Siamo, infatti, a Haifa, città a maggioranza ebraica, quando Rami, arabo israeliano, viene a sapere che la sua fidanzata ebrea Shirley è rimasta incinta e assistiamo alla loro discussione in cui lui vorrebbe che lei abortisse, non intravedendo alcun futuro in Israele sia per il bambino che per la loro relazione clandestina, ma soprattutto perché è molto preoccupato per una seria questione finanziaria della famiglia, in cui lui collabora con il padre nella società di assicurazione che gestiscono. Una seria irregolarità commessa dal padre sta compromettendo l’esistenza stessa dell’impresa ed ora sono sull’orlo del fallimento. Figuriamoci se lui, ora, deve accollarsi anche la nascita di un figlio. Lei tuttavia rifiuta, pure se sottoposta a pressioni anche da parte della propria famiglia, tra cui sua sorella infermiera Miri, che intanto si trova ad affrontare la depressione della figlia, che a 16 anni è stata chiamata alla leva (!). Nel frattempo, Fifi (forse il personaggio centrale?), la sorella di Rami, che lavora part-time come supplente e studia all’università, finisce in ospedale dopo un incidente d’auto e gli esami rivelano una verità sgradita alla sua famiglia riguardo la sua vita sessuale.

Il suo dramma è che con il referto medico i familiari sapranno che non è più vergine. La prima a scatenare il putiferio è la mamma Hanan, che è già su di giri quando scopre che il marito Fouad è seriamente intenzionato a vendere la loro bellissima casa per coprire il buco del bilancio della società. Tra i due fronti, oltre all’imminente matrimonio dell’altra figlia Leila, la donna è sempre a metà strada tra la soddisfatta e la disfatta familiare, anche, e forse soprattutto, per le voci della gente che criticherà ogni cosa ed è pronta a fare da scudo ai pettegolezzi. È una donna che ama dominare le tante situazioni che si creano, che vuol dire e far prevalere il suo parere, che vuol fare sempre una bella figura, ma l’agente immobiliare in casa, la figlia che scopre non più vergine, il fatto che lei, Fifi, bella e in cerca di libertà, stia frequentando un buon partito rappresentato dal medico Walid ma ci ha litigato, che i futuri suoceri sono spaventati da tanta leggerezza e che tutto stia saltando all’aria, la sta mandando in tilt.

Come si suol dire, hanno tutti ragione e quando è così, spesso hanno tutti torto. La realtà è che ognuno non capisce gli altri, bada al proprio orticello anche se si mostra volenteroso e socievole. L’adolescente è talmente spaventata dalla chiamata militare che la depressione la sta devastando, e se la mamma in primo momento le viene incontro, poi la aggredisce per rimproverarla e obbligarla a partire. Fifi è attratta dal medico ma sentendosi giudicata male preferisce restare sola. L’aborto, altro argomento tormentato, non si farà perché sarà spontaneo, dal momento che nonostante le mille perplessità e la voglia della mamma di tenerlo, il cuore del feto ha smesso di battere. Ognuno ha le proprie ragioni e le ritiene preminenti e così non va d’accordo con nessuno, e per giunta non fa il minimo sforzo per venire incontro all’altro.

Se c’è una frazione di trama che rappresenta bene la situazione collettiva è giusto il legame che (dis)unisce Fifi e Walid: si conoscono per caso, lui la corteggia, lei accetta, escono, lei rivela di aver goduto la vita e le occasioni, lui ammette che non gli interessa ma poi trova che sia un ostacolo ad accettarla. Rompono, provano a chiarirsi, lei opta per la propria libertà di pensiero e di scelta, come una vera donna indipendente. Dirompente e potente è l’ultima sequenza, prima dei titoli di coda, in cui le lascia in asso il pretendente e si avvia per le strade di Haifa, mentre risuona la sirena e la gente resta immobile per le strade per commemorare i caduti e l’Olocausto: Fifi è l’unico essere umano che si muove nell’inquadratura alta mentre si allontana incurante.

Capitoli, persone, situazioni, litigi, decisioni, caratteri. Ogni elemento è guidato dalla mano sicura di Scandar Copti, che ha chiamato solo attori dilettanti, gente comune, come i problemi e la gente che li affronta, a ragione o a torto. Un mosaico che si spiana lentamente, capitolo dopo capitolo, personaggio dopo personaggio, senza trascurare nessuno e dispiegando chiaramente il carattere di ognuno. Alla fine, riusciamo a conoscere tutti, come averli frequentati uno per uno. Merito di un regista attento e della sua accurata e potente sceneggiatura, sapendoli descrivere come un romanzo classico russo. Ed è un bellissimo gioco, se vogliamo, questo comporre il mosaico con la nostra pazienza necessaria, un lavoro ad incastri che riempie i vuoti e ricompone temporalmente gli avvenimenti.
L’intelligenza della regia è dimostrata anche da come ha scelto gli attori, che sono persone reali che provengono dal background professionale dei personaggi che interpretano. Ad esempio, Meirav Memoresky (Miri) è una vera infermiera, e Raed Burbara (Walid) nella vita è un vero medico. Ma a prescindere, Copti dimostra un grande talento a tessere un dramma palestinese abilmente strutturato che esplora la costrizione e la complicità nella società israeliana, nell’ambito di dinamiche non semplici di un nucleo familiare complesso. Lo si scopre così, un film culturalmente necessario che ci incoraggia a mettere in discussione lo status quo e ad essere aperti a cambiarlo, un film ricco di temi attuali e di caratterizzazioni qualitativamente eccellente.

Gli attori sembrano dei veri professionisti e non so come abbia fatto a trovarli così bravi, specialmente la Manar Shehab di Fifi, che è spigliata, sicura e attraente, roba che potrebbe recitare per professione con successo. Glielo auguro. E che carattere che imprime Wafaa Aoun alla sua Hanan!
Solo elogi per Scandar Copti, che ritirando il premio a Venezia non ha esitato – e ha fatto bene – a dichiarare: “Sono qui profondamente onorato, ma profondamente colpito dai tempi difficili che stiamo vivendo negli ultimi 11 mesi: la nostra umanità condivisa e la nostra bussola morale sono state messe alla prova mentre assistiamo al genocidio in corso a Gaza. Questa dolorosa realtà ci ricorda le conseguenze devastanti dell’oppressione, che è un tema del nostro film. Il nostro film esamina come le narrazioni morali possano unirci come comunità, ma anche renderci ciechi di fronte alla sofferenza degli altri.” Ecco il motivo per cui all’inizio scrivo che hanno tutti ragione ma anche torto, cosa che accade quando non vogliono ascoltar gli altri. Le guerre, infatti, hanno inizio per questo motivo (lo so, anche per molto altro).
Bel film.
Riconoscimenti (tra gli altri)
Festival di Venezia 2024
Miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti
Festival di Marrakesh 2024
Stella d’oro
Miglior attrice Wafaa Aoun e Manar Shehab
Festival di Salonicco 2024
Alessandro d’oro





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