Cafarnao - Caos e miracoli (2018)
- michemar

- 1 ott 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 23 giu 2024

Cafarnao - Caos e miracoli
(Capharnaüm) Libano/FranciaUSA/Cipro/Qatar 2018 dramma 2h06'
Regia: Nadine Labaki
Sceneggiatura: Nadine Labaki, Jihad Hojeily , Michelle Keserwany , Georges Khabbaz, Khaled Mouzanar
Fotografia: Christopher Aoun
Montaggio: Konstantin Bock, Laure Gardette
Musiche: Khaled Mouzanar
Scenografia: Hussein Baydoun
Zain Al Rafeea: Zain El Hajj
Kawthar Al Haddad: Souad
Fadi Kamel Youssef: Selim
Cedra Izam: Sahar
Yordanos Shiferaw: Rahil
Boluwatife Treasure Bankole: Yonas
Alaa Chouchnieh: Aspro
Nour el Husseini: Assadd
Joseph Jimbazian: Harout, l'uomo scarafaggio
Samira Chalhoub: Daad
Farah Hasno: Maysoun
Elias Khoury: giudice
Nadine Labaki: Nadine, l’avvocato
TRAMA: Zain, un dodicenne, si ribella contro la vita che gli è stata imposta e avvia una causa legale contro i suoi genitori per averlo messo al mondo. Sta così reclamando dignità per se stesso e per tutti coloro che sono stati privati dei diritti più elementari.
Voto 7

Per colpa di tutto quello che era stato scritto di contradditorio in Italia a proposito di questo film, mi sono avvicinato con molta prudenza e con un vago senso di pregiudizio, ma nello stesso tempo ero anche fiducioso perché i giudizi esteri erano di ben altro tenore. Senza parlare del fatto che il film era stato in corsa per l’Oscar come opera straniera e aveva vinto il “Premio della giuria ecumenica” a Cannes. Chi aveva dunque ragione, quei critici e quelle riviste che si erano schierati contro o le belle parole di elogio scritte da altri e i premi a favore del lavoro della bellissima Nadine Labaki?
Prima di tutto rilevo che il film, che dura più di due ore, è parecchio impegnativo dal punto di vista organizzativo e ambientale: girare in una città caotica mediorientale come Beirut non è certo facile, anche se la regista è ben allenata e conosce a menadito le terre che ha frequentato dalla nascita, essendo nata a una ventina di chilometri dalla popolosa capitale del Libano. E ben si nota come le riprese siano state fatte e rese realistiche per le strade della città mentre tutta la frenetica vita intorno si svolge come se nulla fosse, con il traffico che scorre placidamente disordinato come sempre e le migliaia di persone che abitano le strade continuano tranquilli nelle loro attività e tutto ciò ha portato ad un certo senso di realismo visivo e di vissuto, che si avverte chiaramente mentre la lunga trama si svolge: non vorrei essere travisato e nello stesso tempo esagerare con una definizione fuori luogo, ma questo “realismo mediorientale” che ho notato è parte integrante del lavoro che la Labaki ha saputo svolgere, cosa per lei consueta dal momento che i suoi film trattano sempre temi popolari e di gente comune, argomenti che si sposano alla perfezione con un neorealismo moderno di quelle martoriate terre.

Il film mette al centro il grave problema dell’infanzia predata e violata, orrorifico fenomeno purtroppo diffuso in molte parti del mondo ma soprattutto nei paesi del cosiddetto terzo mondo: famiglie con molti figli, con conseguenti fatiche per vestirli, nutrirli ed educarli. Da questo non comodo punto di partenza si sviluppa una catena di comportamenti retrogradi dovuti all’ignoranza e alle necessità di sopravvivenza. Ecco quindi la “vendita” dei figli, in particolar modo delle femmine, lo sfruttamento minorile sul lavoro, la spinta verso la prostituzione adolescenziale, l’abuso in genere che cancella l’età che dovrebbe essere quella che poi si deve ricordare con nostalgia da grandi. Invece a quei poveri bambini succede che da adulti vorranno dimenticare quegli anni, ammesso che riescano ad arrivarci.
Ha circa 12 anni il piccolo Zain, che la vita ha reso forzatamente sveglio, furbo, guizzante, che si è dovuto adeguare al pessimo ambiente in cui è cresciuto. Sa far di tutto, lavora già da tempo ed è un sostituto d’affetto e di attenzioni verso i fratellini e le sorelline, in particolar modo verso Sahar, la sorellina che pur essendo più piccola di lui è già "sbocciata", quindi resa appetibile (perdonatemi il termine terribile) dal padrone di casa a cui gli sciagurati genitori fanno fatica a pagare la pigione. Zain è quello che renderà con violenza quella giustizia che lui ritiene giusta e per questo sarà, alla sua età, addirittura arrestato e carcerato, dopo una odissea di peregrinazioni tra vari quartieri di Cafarnao e diverse situazioni di grave degrado. Da quel carcere, ecco l’eclatante colpo di scena, il piccolo ometto lancia una battaglia legale e denuncia in tribunale i suoi genitori per una grave accusa: quella di averlo messo al mondo! In un mondo ingiusto che non protegge i bambini, che dà troppo potere anche a genitori non meritevoli del delicato compito di crescere al meglio i figli. È questo il messaggio – oltre all’irreale e anomala denuncia legale che già di per sé lascia perplessi - che lancia il film di Nadine Labaki, che ha nello stesso tempo il nobile intento di lanciare l’allarme per proteggere umanamente e socialmente la parte più debole di questo mondo cieco e sordo, tutelare la fanciullezza, aiutare la crescita morale e culturale dei più piccoli, dare loro la giusta opportunità nel mondo.

Ovvio che messo al centro della scena un ragazzino sveglio come Zain può dare l’idea di voler sfruttare l’ondata facile di commozione ed emozione che quel viso birichino può comunicare agli spettatori di tutte le platee, ma ciò è d’altronde inevitabile dal momento che il personaggio principale è lui, ma è pur vero che questo dà un’idea ricattatoria sul piano emozionale da parte della regista-sceneggiatrice (che si riserva un piccolo ruolo quale avvocato ovviamente difensore del protagonista). Espediente tante volte utilizzato nel cinema della emozione facilitata.
Un appunto lo farei anche alla esagerata figura del ragazzino, che parla troppo bene, se la sa cavare in ogni frangente, capisce troppo presto ogni situazione pericolosa, sa trattare da adulto con i veri adulti. Tutti comportamenti che trovo troppo evoluti per un semplice 12enne, pur se provato dalla vita e allenato dalla strada a cavarsela sempre. Forse necessitava dare alla sua bocca frasi più semplici e non così impegnative. Per il resto lui, il piccolo attore Zain Al Rafeea, se la cava egregiamente, con la sua (s)pettinatura folta, la sua sprizzante simpatia e - sorpresa finale allorquando gli viene chiesto di sorridere per il tanto sospirato documento d’identità - a mostrare una bellezza infantile fino allora tenuta nascosta. Sta in scena dal primo all’ultimo minuto, fa l’assoluto mattatore della trama e coinvolge in maniera inevitabile chi lo guarda: il suo grido d’allarme deve rimanere vivo per tutti noi adulti.

Nadine Labaki firma quindi un apprezzabile film – quasi completamente in flashback - anche se non perfetto (vedi alcuni facili accorgimenti tecnici per farsi piacere a tutti i costi, oppure l’eccessiva lunghezza del film, che in qualche frangente si sofferma troppo in alcune scene, forse perché la regista voleva mostrarci la durata delle sofferenze psicologiche del nostro piccolo eroe), ma il bello del cinema mediorientale è proprio il modo caotico con cui viene girato e con la messa in mostra delle loro abitudini sembra respirare la loro aria, pieno di odori e allegria, pur nelle storie tristi e tragiche come questa. La bella regista ci lancia tramite uno scorcio di vita della sua terra un messaggio universale con la speranza che non rimanga inascoltato, ma tutti noi siamo ben consci delle difficoltà che esistono, sappiamo tutti bene che non sempre si riesce a fare granché neanche in casa nostra, nel cosiddetto mondo evoluto. La vera soddisfazione è sapere che oggi Zain Al Rafeea, che è un profugo siriano, ora vive in Norvegia e va a scuola, il che rappresenta un merito innegabile del film.

Riconoscimenti
2019 - Premio Oscar
Candidatura per miglior film straniero
2019 - Golden Globe
Candidatura per il miglior film straniero
2018 - Festival di Cannes
Premio della giuria
Premio della giuria ecumenica






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