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Hot Milk (2025)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 set
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 5 set

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Hot Milk

UK, Australia 2025 dramma 1h’33

 

Regia: Rebecca Lenkiewicz

Soggetto: Deborah Levy (Come l’acqua che spezza la polvere)

Sceneggiatura: Rebecca Lenkiewicz

Fotografia: Christopher Blauvelt, Si Bell

Montaggio: Mark Towns

Musiche: Matthew Herbert

Scenografia: Andrej Ponkratov

Costumi: Sophie O’Neill

 

Emma Mackey: Sofia

Vicky Krieps: Ingrid

Fiona Shaw: Rose

Vincent Perez: Gomez

Yann Gael: Matty

Patsy Ferran: Julieta

 

TRAMA: Rose è una matura donna irlandese costretta su una sedia rotelle da una misteriosa malattia che la affligge. Nella speranza di farsi curare da un guaritore, si reca ad Almería insieme alla figlia Sofia che ha interrotto gli studi universitari per prendersi cura della madre. Qui la ragazza sperimenta la libertà per la prima volta e si invaghisce di Ingrid.

 

VOTO 7


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Il primo film diretto da Rebecca Lenkiewicz - conosciuta come attrice ma soprattutto per le bellissime sceneggiature per Anche io, Colette, Ida, Disobedience, quindi argomenti prettamente rivolti alle problematiche femminili, sole, combattenti, ribelli, controcorrente - e tratto dal romanzo di Deborah Levy Come l’acqua che spezza la polvere, racconta la storia di Sofia, giovane studentessa di antropologia interpretata da Emma Mackey, che acconsente di accompagnare la madre malata Rose (Fiona Shaw) in Spagna per una vacanza rilassante ma nello stesso tempo sperando di trovarle una cura. Infatti, questa è ferma su una sedia a rotelle da molti anni, anche se, come afferma, ogni tanto le capita di ritrovarsi a camminare, raramente. Ma la vera malattia, come il pubblico riesce a capire solo intorno alla metà del film, sembra essere più una paralisi emotiva che fisica.


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Il primo aspetto che però non sfugge agli occhi e all’attenzione è che quella condizione di inabilità lega e separa le due donne. Le lega in quanto la giovane Sofia sta rinunciando agli studi universitari per poter assistere la madre, ma la fa star male, continuamente oppressa dall’altra con pressanti richieste di aiuto, di un bicchier d’acqua, di essere accudita, di qualsiasi altra natura. La chiama mille volte al giorno: Sofia! Fia! Fia! Portami questo, aiutami a fare questo, quello, ho bisogni di. Una ininterrotta serie di esigenze ovviamente dovute alla sua immobilità. E la giovane sopporta paziente, anche se di malavoglia obbedisce prontamente e la copre di tenerezze e baci, comprendendo che è l’unica che può aiutarla. La madre parla, parla, le suggerisce continuamente cosa fare e non fare, vanno assieme sulla spiaggia della costa spagnola in Almería che hanno scelto per svagarsi.


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Non è tutto, però, perché Rose - e ciò inganna tutti noi e la figlia - tenta di guarire o perlomeno di trovare la causa di questa menomazione presso medici che la riempiono di medicine che non portano ad alcun risultato. Lì, durante il soggiorno, vengono in contatto con un guaritore che pare esperto, Gomez (Vincent Perez) il quale ha il grande merito, ben presto, di intuire la vera causa dell’handicap della donna: il problema è nella mente, è un gravissimo trauma di cui Rose non vuole parlare, lo ha falsamente rimosso senza averne i benefici perché sono sempre presenti nella testa e come un’ombra che le oscura la vita la condizionano. In realtà, come si intuisce nella seconda parte del film, la donna vive sotto il disagio di un episodio della sua vita che le pesa come un macigno di cui non riesce a liberarsi, la opprime, la condiziona, la blocca. Senza averne mai parlato con alcuno. Un segreto inenarrabile.


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La sofferenza indiretta di Sofia ha una pausa psicologica e fisica allorquando sulla spiaggia viene in contatto con una donna da cui è attratta, ricambiata, al primo sguardo, come un appuntamento del destino. È Ingrid (Vicky Krieps), ragazza libera in ogni senso, magnetica, una viaggiatrice ribelle dallo spirito indipendente, perfino misteriosa, con la quale la protagonista stabilisce presto un legame che diventa velocemente una relazione senza timori. E ne diventa persino gelosa. È lo stacco dalla situazione cristallizzata che libera la mente ed il corpo di Sofia, come una rinascita, un twist nella vita che la fa sentire lontana dalla monotonia di trascorrere le intere giornate con la madre. Il film, però, non vuole essere una coming of age, lei non è più un’adolescente. La regista racconta questa svolta che diventa liberazione, e punta diritto verso le cause della malattia della mamma e del passato ancora indecifrabile della nuova arrivata.


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Se Sofia sta vivendo una sorta di risveglio, per entrambe le donne della sua vita di quel momento sono esistenze tribolate con un passato che le condiziona. Solo il paziente lavoro del guaritore Gomez, che si comporta da psichiatra, da cui la malata si allontana perché vicina alla dolorosa confessione, riesce a far affiorare il trauma di Rose ed è sconvolgente. Come pure la colpa che Ingrid si porta dentro da quasi sempre per una disgrazia capitatole e di cui parlerà solo dopo un acceso litigio con Sofia. Tre donne, tre problematiche diverse ma attigue, tutte dentro la vita che hanno vissuto o che ora sopportano, male. Sofia un po’ meno, dovendo a che fare solo con una madre opprimente, ma le altre due molto di più, di cui una immaginaria fisicamente, sebbene a causa di uno shock che l’ha turbata fino al punto prima di tutto di non essere più sopportata dal marito, che le ha abbandonate per rifarsi una nuova vita, e poi di restare inchiodata nell’immobilità, limitando l’esistenza della figlia.


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I due momenti topici verranno, con le due verità, e Rebecca Lenkiewicz ci conduce in momenti scioccanti e rivelatori necessari per poter dare una spiegazione plausibile a ciò che stava accadendo. Vi lavora apportando alcune storie parallele, come appunto i traumi dei due personaggi che girano intorno a Sofia, e alcuni simbolismi come il cane legato sul terrazzo del vicino che abbaia per tutto l’intero giorno, prigioniero di un uomo senza scrupoli, alla pari di quel destino che l’ha legata alla madre oppure come gli inserti di filmati in bianco e nero di balli tribali (la protagonista studia antropologia, come sappiamo) ma con un finale così inspiegato e ambiguo che ci lascia ai titoli di coda quando invece aspettiamo l’esito di un gesto liberatorio e estremo da parte della giovane verso la madre. Come reagisce Rose? Non lo sapremo mai ed ognuno può trarre il significato che vuole. Finale che non lascerà soddisfatta gran parte del pubblico ostile al film. Che non è certo semplice e richiede pazienza e passione.


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Emma Mackey è bella e brava e questa rappresenta una importante e dura prova per la sua carriera nel cinema indipendente: il suo ruolo è quello di una ragazza che capisce di dover rendersi autonoma e liberarsi dai lacci che la limitano, che ascolta ma sta guardando dentro di sé scoprendosi anche attratta da una persona dello stesso sesso, forse perché è la prima persona che la avvicina veramente; Vicky Krieps sarà meno appariscente dell’altra ma di bravura ne ha da vendere con il suo modo particolare di proporsi, ormai è un’attrice ricercata e apprezzata nel mercato indie e delle grandi produzioni e che sa sconvolgere sempre con i suoi personaggi spesso anomali. Il personaggio certamente più difficile è quello dell’ottima Fiona Shaw, superlativa e tagliente nei dialoghi che instaura nervosamente con gli interlocutori. Recitare da malati fisici è senz’altro più facile che esternare la malattia mentale che si esteriorizza con difetti fisici spinti dalla psiche. Materiale spinoso e ostico, non praticabile senza difficoltà. La regia di Rebecca Lenkiewicz è adeguata ad un materiale scottante come questo, esperta qual è nel campo delle tribolazioni femminili e per questo suo esordio il mio giudizio è certamente positivo.


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Hot Milk, latte caldo, liquido che ci ricorda la maternità, il conforto, la cura: Sofia è come una badante per la madre. Inoltre, il calore del latte può suggerire sensualità e risveglio: lei, nel corso del film, vive un percorso di emancipazione e scoperta sessuale, che si intreccia con il suo bisogno di liberarsi dalle aspettative materne.

Film presentato in concorso al Festival Internazionale del Cinema di Berlino del 2025.

 


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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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