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I duellanti (1977)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 26 ago 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 9 ott

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I duellanti

(The Duellists) UK 1977 dramma 1h40'

Regia: Ridley Scott

Soggetto: Joseph Conrad (The Duel)

Sceneggiatura: Gerald Vaughan-Hughes

Fotografia: Frank Tidy

Montaggio: Pamela Power

Musiche: Howard Blake

Scenografia: Peter J. Hampton

Costumi: Tom Rand

Keith Carradine: Armand D'Hubert

Harvey Keitel: Gabriel Feraud

Albert Finney: Joseph Fouché

Edward Fox: colonnello

Cristina Raines: Adele de Valmassic

Robert Stephens: gen. Treillard

Tom Conti: dott. Joaquin

Diana Quick: Laura

Meg Wynn Owen: Léonie

Stacy Keach: narratore (Romolo Valli)

TRAMA: È un duello senza fine quello tra il tenente ussaro Armand d’Hubert e l’ufficiale Gabriel Feraud. Quest’ultimo è un tipo particolarmente collerico e, dopo aver sfidato d’Hubert per la prima volta per un futilissimo motivo, continua a perseguitarlo con sfide successive. Finita la guerra, che li ha visti impegnati sugli stessi fronti nelle varie campagne napoleoniche in cui si coprono di decorazioni e di promozioni, d’Hubert se ne torna a casa, ma Feraud trova il modo di farsi nuovamente vivo.

Voto 10


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Oltre alla classica suddivisione in capitoli, il film di Ridley Scott viene scandito dalle date storiche e dai luoghi dell’era napoleonica, tanto che il film inizia con la data del 1800 e con la città di Strasburgo, nella cui campagna vediamo una bimba, una piccola contadina che porta a spasso una bianca squadra di oche per i viottoli della campagna francese, verdeggiante e umida, tipica dell’autunno europeo. È la stessa bimba che si ferma incuriosita per portarci alla visione di un bellissimo panorama che richiama la migliore pittura transalpina dell’Ottocento. Quella meravigliosa inquadratura, messaggera di una lunga sequela di indimenticabili vedute che attraverseremo con lo sguardo lungo tutto il film, ci introduce immediatamente al motivo conduttore della trama, al fil rouge che attraverserà l’intero film: un eterno duello tra due sfidanti. Uno dei due è Gabriel Feraud, un tenente ussaro, un dragone, convinto di risolvere ogni discussione, ogni disputa, ogni dissidio in un duello, mortale o meno, che più che porre fine al litigio possa soddisfare la sua inesauribile voglia di combattere a tu per tu con il rivale di turno. C’è un vecchio rudere sorretto da quattro colonne di pietra, intorno la campagna perennemente uggiosa, con banchi di foschia che viaggiano bassi in orizzontale, il prato bagnato dalla rugiada abbondante, alcuni cavalli attaccati ad un albero, alcuni “testimoni” necessari per presenziare il rito. Due uomini che si sfidano brandendo il ferro affilatissimo e mortale. Uno è appunto il tenente, l’altro uno stretto parente del sindaco, che verrà gravemente ferito, scatenando l’ira del generale dell’Armata che invierà un altro tenente, Armand d'Hubert, con il messaggio del suo arresto presso la propria abitazione.


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La sequenza seguente è appunto quella che inaugura la nascita della incessante ed eterna rivalità tra i due ufficiali, che li condurrà ad infinite sfide sparse negli anni a seguire e in ogni luogo possibile d’Europa. È nel circolo ufficiali che entra annunciato il generale Treillard: “Chi di voi conosce il tenente Feraud, Settimo Ussari?” “Io, signore” risponde d’Hubert. “Lo conosce bene?” “L’ho incontrato un paio di volte.” “Gli comunichi che è in arresto!” Mai messaggio vocale sarà così foriero di una rivalità accesissima non tanto da parte del latore, quanto da parte di chi riceve tale comunicazione: Feraud se la legherà al dito come se il fatto di essere stato disturbato in casa della nobile della città, M.me de Lionne, fosse un’offesa alla sua onorabilità. In realtà questo tenente è un perenne insoddisfatto, con un rancore intimo mai nascosto, custodito morbosamente in cuore, appena dimenticato al tavolo con gli amici a bere o nei campi di battaglia, ma ad ogni sosta nelle guerre di Napoleone la sua ossessione è ritrovare il rivale Armand per ri-sfidarlo in campo spada in pugno.


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Armand d'Hubert è un giovane uomo affascinante, longilineo, efficiente soldato, stimato ufficiale, amato dalle donne per il suo sorriso e i suoi occhi, amabile persona in ogni contesto, dal sicuro avvenire militaristico. Gabriel Feraud è agli antipodi, essendo non bellissimo pur se di buon aspetto, statura media e tozzo, attaccabrighe, dedito al gioco e alle scommesse, ha una fedele moglie ma frequenta da solo i ricevimenti dei nobili di Strasburgo, militare aggressivo e cattivo come richiesto, irritante e irritabile. Per le sue antipatiche caratteristiche, innesca questa anomala rivalità nata per futilissimi motivi, stimolando le reazioni inevitabili per questioni di dignità del suo (controvoglia) antagonista, portandolo a odiarsi e sfidandosi in duelli sempre interrotti e rimandati nel corso di tutto il resto della loro vita. Ogni volta che il primo pensa di essersi liberato dell’altro, ecco riaffacciarsi come una maledizione il secondo: per strada, nelle osterie, negli accampamenti, la prima volta addirittura nel cortile di casa. E con qualsiasi arma: sciabola, fioretto, pistole, persino a cavallo! Eppure, il fidato amico di d’Hubert, Jacquin, dottore e musicista di flauto, lo aveva avvertito “Finge di credere nella trasmigrazione delle anime. Ha suggerito la possibilità che foste nemici in una vita precedente. […] Feraud vuole ucciderti. […] Ci ho riflettuto. Non potete battervi: primo, se siete in posti diversi; secondo, se siete di grado diverso, perché verreste meno alla disciplina; e terzo, se lo Stato è in guerra.” In effetti d’Hubert viene sempre promosso prima, la guerra dura molti anni e spesso si trovano in luoghi differenti. Ma il destino interviene di continuo: Feraud lo raggiunge continuamente di grado e la guerra ha alcune pause anche di mesi. E frequentemente si ritrovano. Una liberazione che da parte di d’Hubert pare irrealizzabile, fino al punto di sentirsi talmente impegnato da questo eterno scontro da dover trascurare i sentimenti verso la donna più cara che frequenta, l’amata prostituta Laura, che avrebbe anche potuto sposare.


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Una storia lunghissima (però in un film di durata normale) che attraversa quasi vent’anni, fino all’inizio della vecchiaia dei due uomini, fino a quando, nel momento in cui finalmente d’Hubert, oramai generale di brigata, si è definitivamente sistemato nella bella dimora nella tranquilla campagna della giovane moglie, l’inesauribile, instancabile, ossessionato Feraud si rifà vivo tramite due “secondi” di bassa lega per lo scontro definitivo, presso un rudere di proprietà e con due pistole: due colpi a testa, per chiudere per sempre l’infinita lite. E finalmente d’Hubert realizza la sua vendetta e lo condanna risparmiandogli la vita al termine della sfida mortale: “Sono stato ai tuoi ordini per 15 anni, non avrei mai dovuto accettare quello che volevi da me. Secondo le regole dei duelli adesso la tua vita mi appartiene. Non è giusto così? Dichiarerò che sei morto. Se avrai mai a che fare con me, lo farai da uomo morto. Mi sono piegato alla tua nozione di onore per troppo tempo. Adesso tu ti piegherai alla mia.” La sentenza memorabile e finale pronunciata dal vincitore, mentre Ridley Scott inquadra scene di pura bellezza naturalistica e lo sconfitto si arrampica solitario su un dosso per osservare il largo panorama: le verdi colline brumose, sotto l’alba del sole seminascosto dalle nuvole, con un grande fiume che attraversa la maestosa veduta, vestito come Napoleone. Come l’imperatore sconfitto che guarda da esule l’isola di Sant’Elena. L’ultima inquadratura è un primissimo piano sul viso accigliato e perdente di Feraud. Sconfitto per sempre.


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Quanti registi possono vantare un esordio del genere, di tale qualità, intensità emozionale, passione umana e caratteriale, di mentalità cavalleresca, suggestivo e ricco di arte pittorica, così come riuscito a Ridley Scott? Sono pochissimi i cineasti che sono stati capaci al loro primo film di fare tutto ciò. Egli, laureato in Storia dell’Arte, proveniva da una decina tra brevi video e episodi di serie TV ma soprattutto dal ramo pubblicitario dove si era ben affermato e faticò non poco per racimolare i dollari necessari per poter realizzare questo meraviglioso e irripetibile film. Quando riuscì ad ottenere 900.000 dollari capì che doveva arrangiarsi solo con quelli e con gli attori che potevano accettare un compenso non stellare: i due superlativi attori protagonisti accettarono solo perché avrebbero goduto di un set in Francia, visto quindi come una bella vacanza in Europa e come ottimo cibo. Scott seppe gestire l’esigua somma risparmiando qui e lì. Racconta egli stesso che la sequenza in cui Feraud gioca a braccio di ferro dovette girarla in una tenda di accampamento dalla cui apertura si vedeva solo qualche altra comparsa e qualche altra tenda. Non poteva mostrare altro, era tutto il disponibile. Non ci sono scene di massa, eserciti numerosi, folle di comparse, battaglie epiche. Nulla, solo e poco più di due uomini che combattono fino allo sfinimento e un ottimo cast di buonissimi attori. Per sua fortuna era seguito dal fidato direttore della fotografia con cui aveva lavorato negli spot pubblicitari, Frank Tidy, persona con il quale concertò alla perfezione i filtri dell’obiettivo più adatti per ottenere particolari nuance dei colori del paesaggio, che molto contribuiscono alla bellezza della pellicola. Gran merito va anche allo sceneggiatore Gerald Vaughan-Hughes che seppe trasportare con grande maestria il romanzo originario di Joseph Conrad, The Duel, scrittore che definì il suo lavoro come “un esercizio di stile avventuroso” dedicato a un’epoca – quella napoleonica – che fin da bambino considerava leggendaria, tanto che sarà al centro di altri suoi racconti. Talmente esemplare la parabola dei due dragoni di Napoleone da diventare nello stesso tempo emblema antibellico per antonomasia, forse anche al di là delle intenzioni simboliche dello scrittore. Lo sceneggiatore però puntò ad arricchire l’aspetto umano dei due uomini, specialmente quello del bel protagonista, essendo rimasto secondo gli autori del film troppo scarno nel romanzo. Il leitmotiv che ricorre sin dalle prime sequenze è un bellissimo brano di flauto che risuona e si estende nell’aria in più momenti, una musica che rimane anch’essa emblema del film, scritta da Howard Blake.


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I veri artefici comunque del film sono tre. In primis la grande sensibilità artistica, pittorica e registica di Ridley Scott, che sin dall’inizio dedica tutta la sua attenzione alle immagini che ricordano in più occasioni le opere di oli su tela del primo ‘800 e in una particolare inquadratura di un tavolino ricorda di primo acchito lo stile di Rembrandt. Senza esagerare esistono momenti che ricordano addirittura Barry Lindon, come nella sequenza iniziale. Scott riesce a tenere sulla corda tutte le tensioni psicologiche e umane per tutta la durata del film, dando segnali probanti della sua grande abilità di autore che sarebbe stata conclamata universalmente con i film seguenti (dopo due anni arriverà Alien e nell’82 Blade Runner). Un esordio memorabile intriso di romanticismo lirico.

Keith Carradine è forse nella sua migliore prova di sempre (va confrontata al massimo solo con quella indimenticabile di Nashville): giovane e bello, ottimo finisseur di dialoghi affascinanti, sempre sul filo della logica e dell’ironia. Grande grandissima prestazione.

Harvey Keitel, che ormai era un celebrato attore di Scorsese, qui si conferma interprete di gran talento e quando deve risultare antipatico e insopportabile pochi possono superarlo. La postura, le espressioni, l’andamento, la strafottenza, la prepotenza sono le caratteristiche che meglio di chiunque altro egli sa esprimere e qui servivano tutte. Bravo come in poche altre occasioni. Praticamente perfetto.

Fu uno dei primi DVD che comprai quando ho iniziato la mia fornita videoteca, un film che mi entrò subito nel cuore e che ho posto senza esitazione nel ristretto olimpo dei preferiti con il massimo dei voti. Film indimenticabile, esordio folgorante. A mio modesto parere, il migliore in assoluto del regista inglese.



Riconoscimenti

BAFTA 1979

Candidatura miglior fotografia

Candidatura miglior costumi

Cannes 1977

Miglior esordio alla regia



 
 
 

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