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Il caso Spotlight (2015)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 12 feb 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 7 lug

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Il caso Spotlight

(Spotlight) USA/Canada 2015 dramma 2h8'


Regia: Tom McCarthy

Sceneggiatura: Josh Singer, Tom McCarthy

Fotografia: Masanobu Takayanagi

Montaggio: Tom McArdle

Musiche: Howard Shore

Scenografia: Stephen H. Carter, Michaela Cheyne

Costumi: Wendy Chuck


Mark Ruffalo: Michael Rezendes

Michael Keaton: Walter 'Robby' Robinson

Rachel McAdams: Sacha Pfeiffer

Liev Schreiber: Marty Baron

John Slattery: Ben Bradlee Jr.

Stanley Tucci: Mitchell Garabedian

Brian d'Arcy James: Matt Carroll

Jamey Sheridan: Jim Sullivan

Billy Crudup: Eric MacLeish

Gene Amoroso: Stephen Kurkjian

Maureen Keiller: Eileen McNamara

Paul Guilfoyle: Peter Conley

Len Cariou: cardinale Bernard Francis Law


TRAMA: Nel 2001 il Boston Globe inizia un'indagine che potrebbe scuotere la città di Boston e il mondo intero. Tale indagine vede coinvolti Marty Baron, Ben Bradlee jr. e i quattro membri della squadra investigativa del Globe (Walter Robinson, Mike Rezendes, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll), chiamati a sacrificare tutto pur di portare alla luce gli abusi sessuali subiti da alcuni bambini perpetrati da parte di sacerdoti dell'Arcidiocesi di Boston, abusi poi insabbiati a opere degli stessi vertici ecclesiastici. Per anni, le voci di quanto accaduto sono state ignorate dalla società, dai media, dalla polizia e dal sistema giuridico. Nel silenzio della vergogna, molte vittime si sono suicidate ma qualcosa sta definitivamente per cambiare.


Voto 7,5


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Non c’è Paese al mondo che possa vantare una maggiore libertà di parola, di pensiero e quindi – massima espressione – di stampa come gli Stati Uniti e questa libertà a volte è stata traslata pari pari nell’arte del Cinema, proprio nel Cinema con la maiuscola. In realtà questa trasformazione dalla parola orale e scritta a quella recitata non è che sia avvenuta molto spesso, dato anche il notevole volume di film prodotti negli USA, ma quando questo è avvenuto è stato un clamore rumoroso, un exploit che non ha lasciato indifferenti. Nessuno. Mica per nulla, una delle frasi più abusate ed efficaci, usata per sintetizzare una esclamazione di chiusura di una discussione è la celeberrima citazione de L’ultima minaccia di Richard Brooks: ‘È la stampa, bellezza!’ ma nessuno di noi può fare a meno di pensare e ripensare a quello che fino ad oggi riteniamo il film più famoso in argomento, Tutti gli uomini del presidente, un film che racconta con dovizia di particolari e precisione l’inchiesta del Washington Post (un giornale influente e molto letto, quindi) sul caso Watergate, una inchiesta che fu capace, tramite un paio di giornalisti all’altezza della situazione, di far traballare e saltare la poltrona della carica più potente del mondo, quella del presidente degli Stati Uniti, quella dell’ineffabile Nixon. Dello stesso periodo ricordiamo con piacere l’avvincente I tre giorni del Condordi Sydney Pollack il cui finale però avvolge di nubi scure l’evidente impotenza di un insignificante collaboratore della CIA che vede sì entrare rotoli giganteschi di carta nella tipografia di un giornale, che difficilmente uscirà però stampata con le notizie eclatanti che lui si aspetta vengano pubblicate. Troppo potente in questo caso l’Agenzia!


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Nello stesso solco del film di Alan J. Pakula, questo si incanala con modalità diverse e con difficoltà differenti nella stessa direzione ma con evidenti minori conseguenze per la politica mondiale. Difficile paragonare tra i due casi le motivazioni di spinta iniziale e l’ambiente dove si svolgono e narrati i fatti. Entrambi però hanno in comune la pesante gravità degli avvenimenti. Per fortuna ciò che ha in un certo qual modo potuto non ostacolare eccessivamente l’indagine condotta dai giornalisti protagonisti di questo film è che lo scandalo è stato scoperto in una nazione dove il senso di laicità è radicato e che la Santa Chiesa Cattolica Romana non ha quel potere sulla politica, sui media e sui cittadini che avrebbe potuto bloccare tutto, come può succedere e succede in altri Paesi ad iniziare dall’Italia.


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Centrando l’attenzione sull’aspetto artistico, Il caso Spotlight è un film altamente avvincente che crescendo nella narrazione colpisce lo spettatore come un potente thriller il cui finale sembra non arrivare mai, tanto cresce a dismisura la vastità dello scandalo su cui indaga il team dei giornalisti del The Boston Globe, il team appunto chiamato nell’ambiente Spotlight. Uno sparuto gruppo di giornalisti che combattivi lo erano di già ma diventano d’assalto alla lettera quando si rendono conto che ciò che stanno scoprendo e di cui si accingono a scrivere è veramente scottante, un argomento così scandaloso da sembrare inverosimile. Il misurato come non mai Liev Schreiber è Marty Baron, il nuovo direttore del giornale che deve però frenare l’impeto con cui si buttano i suoi collaboratori, perché la materia è incandescente e perché giustamente fa presente che se non si hanno conferme di quello che sta saltando fuori, dalle prime denunce degli ex bambini offesi dal comportamento e dalle attenzioni di alcuni preti delle parrocchie cattoliche della città, si rischia soltanto di finire condannati per calunnia da qualsiasi tribunale. Il film riesce a coinvolgere piano piano ma in maniera crescente ed inevitabile come fosse un film d’azione, pur essendo una storia di inchiesta giornalistica, quindi tanto recitato e zeppo di dialoghi frenetici e complicati, tanto da diventare impegnativo per lo spettatore, che deve essere attento agli sconcertanti sviluppi delle progressive scoperte del team giornalistico e dal numero crescente degli abusati che si decidono, dopo molti tentennamenti, a parlare e rinvangare ricordi che non hanno più voglia di ricordare. La bravura dei tre giornalisti e del loro capo viene premiata, dato che non mollano la presa su ciò che hanno scoperto nonostante le difficoltà politiche e quelle dovute alle relazioni sociali tra le autorità della città e le autorità ecclesiastiche: riescono a convincere sia i loro superiori a non abbandonare le piste sia le persone abusate a parlare e a denunciare i fatti, anche se questi ultimi cercavano di dimenticare il brutto passato. L’opera del bravo regista e sceneggiatore Tom McCarthy è avvincente sempre più fino alla fine, non facendo mai calare la tensione crescente e rendendo il film appassionante come raramente accade, fino ad arrivare alle rivelazioni impensabili finali a proposito della vastità delle dimensioni dello scandalo, fino ad arrivare a numeri mai immaginabili. Proprio come la sorpresa finale di un vero thriller.


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Oltre alla piena riuscita della pellicola, ammirevole è il lavoro del bravo Tom McCarthy, ma da apprezzare è il notevole lavoro di squadra sia nella trama che nella recitazione degli attori, tutti protagonisti e comprimari sullo stesso livello, come un gran coro, ma su tutti si ergono come migliori il sempre efficace Mark Ruffalo (soprattutto nella scena madre in cui il suo Mike Rezendes invita gli altri nonostante le difficoltà obiettive a non mollare) e la pacata recitazione di un Liev Schreiber in piena forma. Ma è tutto il film che dà l’idea di un cinema classico ed epico, di un cinema inevitabile e di cui non si può fare a meno. Di un cinema che si deve vedere.

Il premio Oscar come miglior film dell’anno? Meritatissimo!


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Riconoscimenti

Premio Oscar 2016

Miglior film

Miglior sceneggiatura originale

Candidatura per la miglior regia

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Mark Ruffalo

Candidatura per la miglior attrice non protagonista a Rachel McAdams

Candidatura per il miglior montaggio

Golden Globe 2016

Candidatura per il miglior film drammatico

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per la migliore sceneggiatura

BAFTA 2016

Migliore sceneggiatura originale

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Mark Ruffalo



Commenti


Il Cinema secondo me,

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cinefilo da bambino

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