Il Nibbio (2025)
- michemar
- 22 ore fa
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Il Nibbio
Italia, Belgio 2025 dramma storico 1h48’
Regia: Alessandro Tonda
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Lorenzo Bagnatori
Fotografia: Bruno Degrave, Paola Roberti
Montaggio: Chiara Vullo
Musiche: Paolo Vivaldi
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Ginevra De Carolis
Claudio Santamaria: Nicola Calipari
Sonia Bergamasco: Giuliana Sgrena
Anna Ferzetti: Rosa Maria Villecco
Biagio Forestieri: Stefano Chiarini
Andrea Giannini: Omero
Sergio Romano: Gabriele Polo
Beniamino Marcone: Alarico
Maurizio Tesei: Killian
Beatrice De Mei: Silvia Calipari
Antonio Zavatteri: Nicolò Pollari
Jerry Mastrodomenico: Giulio Carbonaro
Massimiliano Rossi: Tiber
Vanni Bramati: Lamberto Giannini
Alessandro Coccoli: Pier Scolari
TRAMA: I ventotto giorni precedenti agli eventi del 4 marzo 2005, quando Nicola Calipari, direttore generale del SISMI, fu ucciso in Iraq da soldati statunitensi mentre portava in salvo la giornalista Giuliana Sgrena.
VOTO 7

Nel 2003 la coalizione guidata dagli USA entra in guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein. Il Paese viene occupato. Ogni giorno si verificano attentati contro i contingenti militari e sequestri di giornalisti e operatori umanitari. Come altri Stati della coalizione, l’Italia paga un prezzo molto alto in termini di vite umane. La resistenza irachena considera tutti gli occidentali nemici.

Questa l’introduzione che il regista ci offre con una didascalia chiara per capire in quale momento storico e geopolitico si inserisce questa storia vera molto drammatica, tra l’opera paziente di un importante agente italiano e le incontrollabili turbolenze in atto in quella terra. In questo modo, lo spettatore si sente proiettato pienamente e immediatamente nel clima difficile in cui sia i giornalisti sul campo che i servizi segreti operano in quel luogo e in quei giorni. Se ne occupa e dirige il film Alessandro Tonda, non nuovo ad argomenti delicati che trattano il tema della difficile convivenza tra i Paesi d’Occidente e i movimenti terroristici mediorientali: è suo, tra alcune serie firmate per la TV, l’interessante e agitato The Shift.

Essendo tutti al corrente della malaugurata fine della vicenda, è un film senza spoiler e senza il lieto fine come tutta la Nazione sperava e che vede il sacrificio di un uomo delle Istituzioni senza alcun intento di voler essere un film retorico, ma un meritato riconoscimento morale ad una persona per bene che vale come molto parziale ringraziamento al suo operato. Operato puntuale, il suo, lucido, prezioso, intelligente. Il regista sceglie di partire con quel fatidico e maledetto giorno del 4 marzo del 2005, quando atterra in terra irachena Nicola Calipari (Claudio Santamaria) con la valigetta dei dollari per il riscatto da consegnare ad un signore della guerra, un sunnita che poteva gestire la liberazione e si avvia con il fidato autista verso il luogo dell’appuntamento per la consegna della donna sequestrata, per fare però subito un salto all’indietro di 28 giorni e osservare quando la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco), giornale apertamente schierato a sinistra nella politica italiana, viene improvvisamente rapita e tenuta in ostaggio in attesa di trattative, o di una peggiore fine.

Calipari - generale di Polizia in servizio presso il SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) ora divenuto AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) – sta guidando con la famiglia a bordo dell’auto per recarsi alla tanto attesa settimana bianca quando, appena, partiti, riceve una telefonata per un problema urgentissimo: deve rientrare per gestire il rapimento appena avvenuto e di cui i Servizi hanno avuto notizia. La moglie Rosa Maria Villecco (Anna Ferzetti) è delusa ma rassegnata, ben conoscendo i compiti del marito, mentre i figli Silvia e Nicolò sono arrabbiati, anche perché non hanno la minima idea del lavoro del padre. Che torna immediatamente indietro e si reca nel gabinetto dei superiori per decidere come reagire e salvare la donna.

Subito si aprono due scenari che condizioneranno, da quel momento in poi, il modus operandi dal momento che Calipari è, come sempre, del parere di aprire un canale di dialogo con i rapitori tramite le varie conoscenze che ha sul luogo e le pedine che si muovono nel sottobosco iracheno. Questa strategia lo ha premiato già altre volte e la ritiene sempre efficace. Contro di lui si schiera subito il collega Giulio Carbonaro (Jerry Mastrodomenico) che è costantemente del parere opposto e schierato con gli USA. Per questi basterebbe avvisare la CIA, farla intervenire con la forza e risolvere, in un modo o nell’altro, la faccenda. Il che, secondo il nostro eroe, significherebbe sicuramente morti sul campo, col rischio di far perdere la vita alla persona che si dovrebbe salvare. La scelta del Capo è quella di Calipari ma purtroppo l’altro non si arrenderà e influirà non poco, fino alla fine, sullo svolgimento del delicato ma esperto lavoro del protagonista. Con il tragico finale che conosciamo.

Un lavoro di cesellatura, paziente, con tatto, disponibilità, toccando i tasti giusti e contattando le persone giuste, come Tiber (Massimiliano Rossi), un falso meccanico di Baghdad che funge da eccellente informatore ed esperto del clima territoriale. Tutto, ovviamente si rivela difficile su un terreno insidioso: un minimo errore e salta la trattativa. E la Sgrena rischia la vita. Calipari fa la spola tra Roma e la capitale irachena per tessere la preziosa tela di legami e contatti con le persone adeguate: sarà un signore della guerra in difficoltà per la preponderante presenza americana che cerca un passaporto ed una cifra consistente per fuggire all’estero. Tutto reperibile, purché Calipari possa riprendersi la prigioniera e riportarla in patria, dove il direttore del giornale Gabriele Polo (Sergio Romano) ed il compagno della giornalista, Pier Scolari (Alessandro Coccoli) sono in forte ansia.

Il film non vuole essere semplicemente un buon resoconto della lunga trattativa e dei movimenti dei Servizi e degli americani che, in ogni caso, sorvegliano, ma vuole e deve celebrare la bella persona che era Nicola Calipari. Ecco, principalmente era una persona per bene, un uomo educato, un signore, affezionato e amato marito, padre affettuoso, di mentalità aperta e democratica, difficile da riscontrare in altri casi: un alto ufficiale della Polizia con mentalità progressista che comprendeva i moti ribelli di un popolo oppresso dagli stranieri, in una patria invasa con un pretesto inventato dalla CIA, che non badava al pensiero politico di chi doveva salvare. Non come la Sgrena, ovviamente, che è una reporter della stampa di netta mentalità comunista come il suo giornale, dove è molto stimata per il lavoro che svolge.

Calipari, soprannominato “il Nibbio”, stava compiendo un abile compromesso con l’obiettivo di evitare ciò che era accaduto ad un altro giornalista e free lance della Croce Rossa, Enzo Baldoni, ucciso il 26 agosto dell’anno precedente pochi giorni dopo essere stato rapito nei pressi di Najaf da un gruppo estremista, i cui resti furono identificati solo anni dopo. Tuttavia, il suo impegno non basterà, con la conseguenza che il destino e l’incompetenza altrui lo consegneranno alla morte. In maniera eroica, parando con il corpo quello della donna appena messa nell’auto che li stava portando all’aeroporto che li doveva portare a casa.

“Nicola Calipari è l’esempio del servitore dello Stato, di colui che chiunque vorrebbe vedere nelle nostre istituzioni”, ha detto lo sceneggiatore Sandro Petraglia, spiegando che, alla moglie, quella definizione non piace. Col film, Petraglia e Alessandro Tonda hanno voluto porre l’accento su di un uomo raccontato troppo poco. Un uomo che, dietro la sua veste pubblica, era estremamente umano, altra dote nobile. “Il mio obiettivo era quello di far uscire il grande calore umano che Nicola aveva in famiglia e nel lavoro”, ha dichiarato Santamaria, definendo il personaggio “un uomo che metteva al centro di tutto la protezione della sacralità della vita, anche quando non si trovava ancora nei servizi segreti”, che, come raccontato dal film, aveva promesso ai familiari di lasciare i Servizi Segreti per tornare alla normale attività di militare. Complice la tecnica di ripresa piuttosto televisiva, lo spettatore è coinvolto da vicino sia nelle scene d’azione, sia nel contesto familiare e domestico del protagonista che trasmette con forza ed empatia la propria umanità dai primi fotogrammi sino al drammatico epilogo.

L’unico appunto che rivolgo alle scelte di sceneggiatura e regia è l’eccessiva enfasi rivolta alle vane promesse del personaggio prima di partire per l’ultima missione, quando promette più volte e in diverse occasioni di tornare alla vita di normale generale della Polizia di Stato. Alla figlia che intanto aveva intuito i compiti del padre, al figlio a cui aveva promesso di regalargli il cane desiderato, alla moglie stanca di vederlo sempre in pericolo. Questo aspetto quasi melodrammatico, che preannuncia il finale tragico, va perdonato perché umanamente comprensibile e perché fa il gioco della commemorazione, 20 anni esatti dopo i fatti, di un brav’uomo meritevole della considerazione che ebbe solo dopo. Interessante la scelta di escludere, quasi del tutto, la politica nazionale dalla trama del film, delegando la gestione del rapimento alla competenza e all’eroismo di pochi esponenti di vertice dei servizi segreti e alla loro profonda conoscenza dell’organizzazione dei gruppi terroristici iracheni. Coraggiosa la scelta di rappresentare con pochi tratti gli americani, che appaiono evidentemente non all’altezza di gestire un Paese complesso anche per i dissidi interni e che purtroppo contribuirono in maniera determinante al tragico finale.

Claudio Santamaria, adeguatamente aggiustato da trucco e parrucco, così simile all’originale, recita con grande passione e riesce a rendere molto bene l’idea del vero personaggio meritando gli apprezzamenti che ha ricevuto. Davvero un bel ruolo portato a termine con precisione e misura. Da Sonia Bergamasco arriva una buonissima interpretazione della Sgrena, ma il film è concentrato solo sull’eroe, giustamente. È lui che si celebra. Solo nel prefinale c’è una perfida e simpatica irriverenza all’allora Presidente del Consiglio, la cui battuta rientra nel personaggio che comunque lui si ricuciva.
Si muore, purtroppo, anche per il fuoco amico, come sempre.

Il film termina con un’altra didascalia come succede nelle pellicole storiche. Amaramente.
Giuliana Sgrena vive e lavora a Roma e continua a fare la giornalista.
Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha insignito “motu proprio” Nicola Calipari della medaglia d’oro al valor militare.
L’omicidio di Nicola Calipari è rimasto senza colpevoli.

Riconoscimenti
Nastro d’argento 2025
Nastro della legalità
Globo d’oro 2025
Candidatura al miglior film
Candidatura al miglior attore a Claudio Santamaria
Candidatura alla miglior attrice a Sonia Bergamasco
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