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Io sono ancora qui (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 26 ago
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 17 set

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Io sono ancora qui

(Ainda Estou Aqui) Brasile, Francia 2024 biografico 2h17’

 

Regia: Walter Salles

Soggetto: Marcelo Rubens Paiva (libro omonimo)

Sceneggiatura: Murilo Hauser, Heitor Lorega

Fotografia: Adrian Teijido

Montaggio: Affonso Gonçalves

Musiche: Warren Ellis

Scenografia: Carlos Conti

Costumi: Helena Byington, Cláudia Kopke

 

Fernanda Torres: Eunice Paiva

Fernanda Montenegro: Eunice Paiva da anziana

Selton Mello: Rubens Paiva

Guilherme Silveira: Marcelo Rubens Paiva

Antonio Saboia: Marcelo da adulto

Valentina Herszage: Veroca Paiva

Maria Manoella: Veroca da adulta

Luiza Kosovski: Eliana Paiva

Marjorie Estiano: Eliana da adulta

Bárbara Luz: Nalu Paiva

Gabriela Carneiro da Cunha: Nalu da adulta

Cora Mora: Maria Beatriz ‘Babiu’ Facciolla Paiva

Olívia Torres: Babiu da adulta

Dan Stulbach: Baby Bocayuva

Pri Helena: Maria José ‘Zezé’

Humberto Carrão: Felix

Thelmo Fernandes: Lino Machado

 

TRAMA: Eunice è una casalinga che si trova costretta a rivedere tutta la sua vita e la sua identità quando suo marito, Rubens Paiva, ex-deputato e attivista, viene arrestato e successivamente scompare.

 

VOTO 8


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Resilienza è un termine che a volte si usa a sproposito, questo film invece ne dà una dimostrazione chiara e potente, perché la protagonista Eunice, nel pieno dell’uragano che investe la sua felice famiglia, è costretta dalle drammatiche circostanze ad adeguarsi e dare prova di enorme forza d’animo, capacità di adattamento, tenacia e resistenza interiore, oltre che fisica, con il risultato di tenere uniti a sé e tra di loro i cinque figli e sopravvivere alla tragedia che li ha sconvolti. Il film di Walter Salles, già apprezzato autore di I diari della motocicletta del 2004 (che ripercorre il lungo e avventuroso viaggio intrapreso dal giovane Ernesto Guevara nel 1952 attraverso l’America Latina), mostra come la forza interiore e l’impegno civile di questa eroica donna abbiano resistito all’oppressione e al silenzio istituzionale ed è anche un ritratto intimo della capacità umana di non arrendersi, anche quando tutto sembra perduto.



La trama si svolge in un contesto storico molto difficile della vita brasiliana. La Storia ci racconta che la dittatura militare ebbe inizio con il colpo di Stato del 1964 guidato dalle Forze armate brasiliane con la destituzione del presidente democraticamente eletto João Goulart. La rivolta militare fu fomentata dai governatori di alcuni stati federali, appoggiata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America attraverso la sua ambasciata a Brasilia. La dittatura durò per quasi 21 anni e, nonostante le iniziali garanzie del contrario, il governo militare adottò nel 1967 una nuova più restrittiva Costituzione, soffocando la libertà di parola e l’opposizione politica. Principalmente, il regime adottò il nazionalismo e l’anticomunismo come linee guida. Questo spiega il motivo per cui quando un cittadino era sospettato di professare idee progressiste di sinistra era subito arrestato e sottoposto a duri interrogatori, se non a torture per estorcere nomi e notizie. Di molti di loro non si ebbe più traccia, né furono trovati i corpi, essendo stati fatti sparire, sepolti in fosse comuni, lanciati dagli aerei sull’oceano. Esattamente come la fine misteriosa dell’ingegnere marito della protagonista.



Nel film, infatti, nonostante i tumulti che scuotono Rio de Janeiro negli anni ‘70, la madre e casalinga Eunice Paiva si tiene ben lontana dalla politica. Ma quando il marito viene rapito dalle forze della dittatura militare, subisce una metamorfosi e diventa la più feroce oppositrice del regime totalitario che governa il paese. La vita di questa famiglia benestante procedeva tranquilla, tra il mitico soufflé che piaceva a tutti, i dischi di musica di moda in quegli anni, le cene con gli amici e i tanti giorni al sole della vicina spiaggia, dove le quattro ragazze (Veroca, Eliana, Nalu, Babiu) e il piccolo Marcelo trascorrevano le ore tra bagni e giochi con gli amici. Il sempre sorridente e disponibile papà Rubens era un ex deputato del Partito Laburista e al momento un ingegnere abbastanza impegnato, che segretamente era un attivista per il movimento che si opponeva al regime militare che aveva sconvolto la vita nazionale. Ma la sua attività non era una questione di azione armata, si limitava solo a ricevere e a consegnare alle famiglie interessate buste contenenti informazioni sui parenti arrestati dall’esercito come sospetti rivoltosi e di cui non si avevano più notizie. I cosiddetti desaparecidos.



La sera in cui i coniugi, che nel frattempo avevano mandato prudentemente a Londra la figlia maggiore Veroca che partecipava attivamente ai movimenti studenteschi contro la dittatura militare, si preparavano ad uscire per un invito dei loro amici, irrompe in casa un gruppo di squadristi che portano via Rubens, che non trascura di sorridere ancora una volta alla moglie e ai figli consapevole che forse non sarebbe più tornato. Anche Eunice e la figlia Eliana vengono sequestrate il giorno seguente e portate in caserma, per poi essere rilasciate dopo qualche duro giorno di cella durante i quali non viene data alcuna notizia dell’uomo. Caparbiamente - sarà il primo atto di una lunga serie di azioni legali che la donna adotterà, noncurante dei pericoli che dovrà correre - volendo conoscere la verità sulla sorte del marito, Eunice intraprende la sua coraggiosa lotta cercando allo stesso tempo di mantenere unita la famiglia nonostante le difficoltà economiche. Quando le viene riferito da un altro attivista che il marito è sicuramente morto e non potendo disporre del conto a lui intestato, vende qualche gioiello e la valuta in dollari americani che ha in casa, salda le pendenze con l’affezionata e triste domestica che licenzia, vende la grande e bella casa e si trasferisce con i figli ignari del destino paterno a San Paolo dove ci sono i nonni.



Da lì inizia una nuova vita, sempre combattendo per la difesa dei diritti umani in nome del marito: si rimette a studiare, si laurea in giurisprudenza e diventa un’avvocatessa per lottare meglio e più consapevolmente, fino a giungere ad un traguardo per lei importantissimo: triste da commuoversi, ma felice per l’ottenimento del legittimo certificato di morte di Rubens. Doveva essere triste, vero, ma è, in fondo, una vittoria legale e civile, umana e familiare, tanto da farsi fotografare sorridente dalla stampa anche internazionale. Perché, se ci si fa caso, la famiglia Paiva è sempre stata educata, cordiale e sorridente, disponibile con tutti, una parola per ognuno di loro e per gli amici, parenti ed estranei e a questo punto nulla cambia nella loro umanità.



Non è un film semplicemente biografico, basato sul libro che il piccolo Marcelo, divenuto uomo e scrittore, costretto su una sedia a rotelle a causa di un incidente che lo ha reso tetraplegico, ha scritto sulla storia del padre, mai più rivisto da quando era un ragazzino. No, è una storia disegnata. Disegnata sul viso di Eunice. Ogni ruga in più, ogni grado precoce di invecchiamento, ogni capello bianco, ogni grado ottico perso, ogni passo verso la vecchiaia, sono tutti segni della sofferenza trattenuta (mai mostrata ai figli a cui ha sempre preservato nei primi tempi la agghiacciante verità sul loro padre), del dolore che pareva sfiancarla ma che non la sfiniva mai, della amara realtà vissuta nel ricordo dell’uomo che l’amava, delle mille lotte per ottenere piccole ma continue vittorie contro la burocrazia e le bugie di Stato. Ma erano sempre passi avanti verso la verità ed il riconoscimento della reale Storia capitata alla sua famiglia e a quella delle migliaia di altre, sempre in attesa di conoscere che fine avessero fatto i loro congiunti. Se non è resilienza questa è il caso di cancellare il termine dai vocabolari.



Come succede a tanti di noi, questa lunga e quasi trentennale storia familiare è costellata da filmini e da scatole di fotografie, di ricordi ingialliti sulla carta lucida stampata, che riporta, a distanza di anni, i sorrisi di allora, delle feste di Natale al mare, delle cene in compagnia, della fedele Zezè che preparava colazioni e pasti per tutti, che custodiva amorevolmente i figli quando i genitori erano interrogati in caserma, che piangeva al loro addio. Foto e filmati sgranati che segnano i giorni, le ricorrenze, l’invecchiamento, come nel finale quando la famiglia, ancora più grande, 25 anni dopo l’inizio della tragedia, si riunisce per una festa ed Eunice, ormai malata e vecchia, è silenziosamente seduta su una sedia a rotelle, che guarda tristemente come è diventata bella, ancor più bella questa sua famiglia che è riuscita a far crescere nonostante tutto. Sembra insensibile (maledetto Alzheimer) ma gli occhi appannati sembrano capire tutto, tanto da sorridere ancora una volta al momento della foto ricordo, ancora una.



Confesso che finita la visione ero indeciso se scriverne o farne a meno, perché la domanda che mi assaliva era: ma di cosa si può parlare, cosa dire, come giudicare la piccola storia Paiva e le migliaia di storie come la loro? Che immane tragedia è la dittatura, per di più militare, ammesso che possa essere un’aggravante? Come commentare la disumanità e le atrocità che, grazie a Dio, il regista ci risparmia e ce le fa solo immaginare? Cosa scrivere dei desaparecidos brasiliani? E di quelli argentini? E dei bambini sottratti lì alle loro madri uccise dopo il parto per essere affidati a famiglie legate al regime? Ci si commuove alla visione del film, anche per lo stoicismo di questa forte Eunice, un monumento umano alla resistenza civile che ha protetto con ogni mezzo i suoi cinque figli. In ogni caso, durante la proiezione ho avuto i sentori di Roma (2018) di Alfonso Cuarón, ricordando le scene di amore familiare, dell’auto che entra ed esce dalla bella casa, della domestica che fa da tramite, dei ricordi in bianco e nero della bella vita che fu, delle sciagure personali e dalla voglia di tenere unita la famiglia.



Walter Salles - amico reale di Marcelo e che quindi conosceva bene la famiglia in questione - sceglie un racconto di trasformazione e rinascita per ricordare 21 anni di repressione militare e per invitare a non abbassare la guardia, perché la memoria è cosa fragile. E scegliendo una dimensione per così dire domestica ricorre a uno stile classico, asciutto, in sintonia con lo sguardo della coraggiosa protagonista che per decenni non indulge a facili autocommiserazioni e si affida a una straordinaria forza serena. Una famiglia come sineddoche di un’intera nazione, una storia in particolare in rappresentanza della Storia. Ed è tutto scalfito nelle espressioni di un’attrice enorme, Fernanda Torres, che ha il film scritto sul viso, dal primo all’ultimo istante (tranne da anziana, interpretata da sua madre Fernanda Montenegro, ecco spiegata la somiglianza). Questa artista è l’emblema del film, ha una potenza interpretativa che commuove, ha un’intensità espressiva che emoziona anche quando tace, ha saputo raccontare il film in prima persona come fosse la sua storia personale. Che ci siano state nel 2024 ottime attrici nei film premiati è cosa nota ma che lei non abbia avuto l’Oscar resta un’ingiustizia. È un’attrice che lascia basiti. Da applausi.



Guardiamo l’esplicativo poster: lui sorride, come sempre, gentile, un paio di figli anche (hanno imparato bene), lei è seriosa, quasi conscia di ciò che li attende, come una tempesta in arrivo su quel mare così tanto amato, dove la sua Eunice trova sempre il miglior modo per rilassarsi, dove nuotando si corruccia notando camion di militari che scorrono sul lungomare.



Riconoscimenti

Oscar 2025

Miglior film internazionale

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la miglior attrice a Fernanda Torres

Golden Globe 2025

Migliore attrice in un film drammatico a Fernanda Torres

Candidatura per il miglior film straniero

BAFTA 2025

Candidatura per il miglior film non in lingua inglese

Venezia 2024

Premio Osella per la migliore sceneggiatura

Green Drop Award

Premio SIGNIS

Goya 2025

Miglior film iberoamericano


La vera Eunice, con il figlio Marcelo
La vera Eunice, con il figlio Marcelo


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