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Roma (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 feb 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 18 ago 2024

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Roma

Messico/USA 2018 dramma biografico 2h15’


Regia: Alfonso Cuarón

Sceneggiatura: Alfonso Cuarón

Fotografia: Alfonso Cuarón

Montaggio: Alfonso Cuarón, Adam Gough

Scenografia: Eugenio Caballero

Costumi: Anna Terrazas


Yalitza Aparicio: Cleodegaria "Cleo" Gutiérrez

Marina de Tavira: Sofia

Daniela Demesa: Sofi

Latin Lover: professor Zovek

Nancy García García: Adela

Jorge Antonio Guerrero: Fermín

Diego Cortina Autrey: Toño

Carlos Peralta: Paco

Marco Graf: Pepe

Verónica García: sig.ra Teresa

Zarela Lizbeth Chinolla Arellano: dott.ssa Velez

Fernando Grediaga: Antonio

Andy Cortés: Ignacio

Nicolás Peréz Taylor Félix: Beto Pardo

Clementina Guadarrama: Benita


TRAMA: Città del Messico, anni Settanta. Un vivo ritratto del conflitto domestico e della gerarchia sociale in un momento di disordini politici, raccontato attraverso le vicende della domestica Cleo e della sua collaboratrice Adela, entrambi di discendenza mixteca, che lavorano per una piccola famiglia borghese nel quartiere Roma a Città del Messico. Sofia, madre di quattro figli, deve fare i conti con l’assenza del marito, mentre Cleo affronta una notizia devastante che rischia di distrarla dal prendersi cura dei bambini di Sofia, che lei ama come se fossero i propri.


Voto 8

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Capita a tutti noi nei momenti di ozio di avere a volte dei sussulti di nostalgia, di volare con la mente ai bei ricordi dell’adolescenza e ci capita pure che, se si ha anche una certa età, di rimpiangere maggiormente i giorni della giovinezza. Ma sono i ricordi della fanciullezza quelli che rintoccano più forte nel cuore, luogo/nonluogo ove si conservano i lineamenti dei genitori e dei nonni che ci hanno cresciuti. È in quei lampi di memoria che spesso vien voglia di aprire il cassetto o la scatola in cui conserviamo tanti pezzi di carta lucida su cui sono impressi visi, case, spiagge, sorrisi, luoghi visitati, parenti, genitori: sono le fotografie che oggi non vanno più di moda, perché oggi conserviamo tutto secondo i principî digitali. I nostri ricordi attuali sono in uno smartphone o un computer e le possiamo perfino ritoccare e migliorare, mentre quelle foto ingialliscono di pari passo con la nostra nostalgia.

In molti casi questa azione malinconica ha anche un effetto di pacificazione con il passato, come una ricollocazione psicologica degli avvenimenti lontani che abbiamo vissuto. Forse è stato proprio questo bisogno mentale che ha spinto l’uomo Alfonso Cuarón Orozco a riguardare con sguardo artistico il suo passato e in particolare un preciso periodo della sua vita di adolescente. Lui è un regista e lo ha fatto nella maniera a lui più congeniale. Come Cuarón stesso ha dichiarato: “Mentre stavo finendo le riprese del film precedente (che era Gravity, qui la mia recensione), mi ripromisi che il prossimo sarebbe stato qualcosa di più semplice e di più personale. Mi resi conto che infine era giunto il momento di tornare indietro e di fare un film in Messico, ma con tutte le risorse, tutti gli strumenti e tutte le tecniche che avevo acquisito nel corso degli anni." Che dire? Beato lui che fa il regista, e anche benissimo, e può permettersi di lasciare un’impronta così forte dei suoi ricordi.

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Per forza di cose ha scelto quindi di girare il film con un fulgente bianco e nero, tecnica che accentua sicuramente la sensazione di viaggiare nel passato, quando ricordiamo i nostri genitori ancora giovani e in forze, i giochi con i fratellini e le sorelline, le giostre, la voglia di gite semplici e delle sorprese belle. Ed è così che Cuarón si tuffa nei ricordi lontani che si condensano quasi tutti nel quartiere centrale della sua città natale: la Colonia Roma nel centro di Città del Messico. Conosciamo subito la sua grande famiglia composta da molte persone, perché oltre ai genitori ci sono quattro figli, una nonna e due cameriere, un nucleo molto compatto anche per il grande affetto che provano i ragazzini per Cleo, che più che una cameriera è la loro tata, la loro seconda mamma. Anzi in molti momenti del racconto i quattro bimbi sembrano perfino più attaccati a lei, non sanno farne a meno: li mette a letto, canta nenie per farli addormentare, prepara ogni cosa che loro desiderano, li coccola. Tutto ciò avviene in una grandissima casa, lucida e imponente, dove i ragazzi hanno tanto posto per i loro giochi ma soprattutto tanti spazi: il primo di questi che la macchina da presa di Cuarón ci offre è un lungo corridoio a cui si accede dal cancello dell’ingresso e che dà l’entrata in casa, un corridoio utilizzato per parcheggiare a stento la enorme Ford con cui viaggia il papà Antonio; dal piano terra molto spazioso con ingressi ad varie stanze parte una imponente scala che porta al piano superiore in cui ognuno ha la sua camera e poi ancora un paio scalette metalliche fanno giungere alla terrazza dove la cameriera Cleo stende i panni che lava. Tutto questo spazio dà la possibilità al regista di realizzare dei bellissimi piani sequenza, sia nel grande corridoio (tra l’altro a lungo inquadrato nell’incipit del film in cui le donne di servizio lavano con vigorose secchiate d’acqua il pavimento sempre sporco degli escrementi del cane di casa) sia quando ci vuole mostrare i movimenti di Cleo che sale al piano superiore unitamente ai movimenti della camera da presa, in un virtuosismo lineare e magistrale. Come anche le precise ed esaustive inquadrature sui campi lunghi che ci mostrano il polveroso centro di addestramento di arti marziali in cui Cleo va a cercare il padre della bambina che ha in grembo; oppure i lenti movimenti di camera nelle sequenze sulla spiaggia dove i bambini prima si divertono e poi rischiano la vita tra le alte onde, momento in cui la tata compie l’ennesimo gesto di generosità affettiva che contribuisce, se mai ne servisse, ad aumentare il legame tra lei e i bimbi. Osservando queste dimostrazioni di talento però mi viene il dubbio che stiamo assistendo ad una esibizione di bravura. Noto con sospetto che lo sguardo di Cuarón, che poi è ovviamente il nostro, è eccessivamente manieristico, accademico, pura ostentazione per rapirci. E devo dire contemporaneamente che ci riesce, eccome! (Poco cuore e molta testa, ha già detto qualche critico importante.)

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Il distacco apparente che salta un po’ agli occhi da parte della mamma Sofia verso i suoi figli si scopre pian piano che è dovuto alle preoccupazioni nate dal rapporto con il marito Antonio che si sta deteriorando sempre più e difatti con il pretesto di un seminario professionale in Canada lui si dà alla fuga. Ed è così che, mentre Sofia diventa sempre più nervosa e irascibile e si isola dai figli, subentra maggiormente l’influenza affettiva di Cleo. I ragazzi si attaccano a lei, la considerano essenziale: lei è molto più di una tata, è lei che sta facendo diventare grandi Toño, Sofi, Paco e Pepe. Ed è a lei che Cuarón dedica il film, è a lei che rivolge la memoria, è a lei che si rivolge adesso da adulto, è a lei che guarda ancora: alla sua carissima Liboria, detta semplicemente Libo, che nella sceneggiatura ha ribattezzato col nome di Cleo.



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(il regista con la vera tata Libo)



Quella donna minuta di corpo ma grande di cuore, ingenua e sfortunata nella sua maternità, piccola ma vigorosa, instancabile e paziente, è il vero cuore battente nella numerosa famiglia, in quella enorme casa. La sintesi perfetta la fanno due inquadrature (anche queste a mio parere alquanto artificiose ma bellissime, sia chiaro): quando si distende sulla terrazza in contrapposizione al piccolo (è lui? è Alfonso?) e fanno finta di essere morti colpiti nel gioco dei cowboy e quella finale meravigliosa fotografia ferma dell’abbraccio di mucchio sulla spiaggia dopo il pericolo scampato. Si abbracciano e si scambiano amore con il contatto, mamma e figli, ma il nucleo centrale di quella piramide è Cleo, sotto il peso fisico e metaforico di un’intera famiglia che è diventata con gli anni la sua.

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Fosse stato meno di testa e più spontaneo, questo film sarebbe stato meraviglioso. Invece è solo bello e commovente, così come è commovente la memoria dei nostri vecchi ricordi.


Riconoscimenti

2019 - Premio Oscar

Miglior regista

Miglior film straniero

Miglior fotografia

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

Candidatura per la migliore attrice protagonista a Yalitza Aparicio

Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Marina de Tavira

Candidatura per la miglior scenografia

Candidatura per il miglior montaggio sonoro

Candidatura per il miglior sonoro

2019 - Golden Globe

Miglior regista

Miglior film straniero

Candidatura per la migliore sceneggiatura


 
 
 

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