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K-PAX - Da un altro mondo (2001)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 28 set
  • Tempo di lettura: 2 min
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K-PAX - Da un altro mondo

(K-PAX) Germania, USA 2001 fantascienza/dramma 2h

 

Regia: Iain Softley

Soggetto: Gene Brewer (romanzo)

Sceneggiatura: Charles Leavitt

Fotografia: John Mathieson

Montaggio: Craig McKay

Musiche: Edward Shearmur

Scenografia: John Beard

Costumi: Louise Mingenbach

 

Kevin Spacey: Prot / Robert Porter

Jeff Bridges: dott. Mark Powell

Mary McCormack: Rachel Powell

Alfre Woodard: dott.ssa Claudia Villars

David Patrick Kelly: Howie

Saul Williams: Ernie

Peter Gerety: Sal

Conchata Ferrell: Betty McAllister

Celia Weston: Doris Archer

Ajay Naidu: dott. Chakraborty

Aaron Paul: Michael Powell

 

TRAMA: Il misterioso e mite Prot è caduto sulla Terra dal pianeta K-Pax, come si ostina a ripetere, oppure è riemerso da un passato traumatico? È quello che lo psichiatra Mark Powell vorrebbe scoprire.

 

VOTO 6


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Dopo aver affermato di essere un extraterrestre del pianeta K-PAX, a 1.000 anni luce di distanza nella costellazione chiamata Lira, Prot (Kevin Spacey) viene affidato all’Istituto Psichiatrico di Manhattan. Lì, lo psichiatra Mark Powell (Jeff Bridges) tenta di curarlo dai suoi apparenti deliri. Tuttavia, quest’uomo è incrollabile nella sua capacità di fornire risposte convincenti alle domande su se stesso, sul K-PAX e sulle sue civiltà.


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La sua visita medica non fa che rafforzare la sua storia, poiché può vedere la luce ultravioletta ed è completamente resistente agli effetti dei farmaci antipsicotici. Powell lo presenta a un gruppo di astrofisici che restano sbalorditi e confusi quando Prot mostra un livello di conoscenza molto dettagliato sul suo presunto sistema stellare che era sconosciuto a loro.


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È un film che si muove in maniera obliqua tra la logica e il fantasy schi-fi, puntando non tanto sulla narrazione ma nell’atmosfera sospesa che crea il regista: un equilibrio instabile tra la razionalità clinica e l’intuizione. Il protagonista, enigmatico e disarmante, agisce come un catalizzatore silenzioso, costringendo chi lo circonda a rivedere le proprie certezze, non con la forza dell’argomentazione ma con la semplicità di uno sguardo che sembra venire da altrove.



Il film è attraversato da una malinconia luminosa, come se ogni scena fosse filtrata da una coscienza più ampia, non necessariamente superiore, ma diversa. La regia evita il sensazionalismo, preferendo una compostezza che lascia spazio al dubbio e alla contemplazione. La colonna sonora accompagna senza invadere, suggerendo più che dichiarando, come un pensiero che si forma lentamente.



Kevin Spacey, nell’ambito di un buon cast, che è sempre un formidabile attore capace di esprimere ambiguità ed enigma, è l’interprete ideale per un personaggio tanto misterioso.

 


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