Kursk (2018)
- michemar

- 28 ago 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 ago

Kursk
Francia, Belgio, Lussemburgo, Romania, Canada, USA 2018 dramma storico 1h57’
Regia: Thomas Vinterberg
Soggetto: Robert Moore (A Time to Die)
Sceneggiatura: Robert Rodat
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: Valdís Óskarsdóttir
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Thierry Flamand
Costumi: Catherine Marchand
Matthias Schoenaerts: Mikhail Averin
Léa Seydoux: Tanya Averina
Colin Firth: commodore David Russell
Peter Simonischek: ammiraglio Vyacheslav Grudzinsky
August Diehl: Anton Markov
Max von Sydow: ammiraglio Vladimir Petrenko
Michael Nyqvist: Nesterov
Matthias Schweighöfer: Pavel Sonin
Gustaf Hammarsten: Mikhail Denisov
TRAMA: Nel 2000 il sottomarino russo K-141 Kursk va incontro a un disastro senza precedenti che la negligenza del governo non è in grado di gestire. Mentre i marinai lottano per la loro sopravvivenza, i familiari sono costretti a fronteggiare disperatamente gli ostacoli politici e burocratici, tentando l'impossibile per salvare i propri cari.
Voto 7

I fatti storici.
Il K-141 Kursk era un sottomarino a propulsione nucleare della Flotta del Nord della Russia entrato in servizio nel 1995 presso la base di Severomorsk, in grado di trasportare e lanciare missili a testata nucleare. Il suo dislocamento era di 10.700 tonnellate in superficie e 13.500 tonnellate in immersione, in cui l'equipaggio tipico era composto da 52 ufficiali e 55 marinai. Prima del suo naufragio era uno dei più moderni sottomarini in dotazione alla Voenno-morskoj flot. Il 12 agosto 2000 il sottomarino nucleare era impegnato nel Mare di Barents in un'esercitazione militare navale nella quale avrebbe dovuto lanciare dei siluri da esercitazione senza carica esplosiva. Alle 11:28 locali furono lanciati dei siluri di prova, ma subito dopo vi fu un'esplosione, presumibilmente di uno dei siluri del Kursk, all'interno o nei pressi del sottomarino. L'esplosione aveva una potenza compresa tra i 100 e i 250 kg di TNT; in conseguenza delle lesioni allo scafo dovute alla esplosione il sottomarino si adagiò sul fondo a 108 metri di profondità. Una seconda esplosione avvenne all'interno dello scafo 135 secondi dopo la prima, con una potenza esplosiva compresa tra le 3 e le 7 tonnellate di TNT. L'esplosione sollevò e poi fece ricadere sul sottomarino molti detriti. Dopo vari tentativi di salvataggio, tutti falliti, da parte dei russi, una nave speciale norvegese equipaggiata con un batiscafo inglese si agganciò con successo al sottomarino affondato, trovandolo tuttavia completamente allagato e senza alcun superstite. Il 19 agosto la nave Normand Pioneer con il batiscafo LR5 giunse sul luogo dell'incidente. I gruppi di soccorso riuscirono ad aprire il portellone posteriore, trovando i compartimenti interni allagati. L'incidente si era rivelato fatale per la maggior parte dell'equipaggio e solo 23 persone non perirono immediatamente. Essi si spostarono nel compartimento 9 attendendo i soccorsi ma perirono prima che i soccorsi potessero arrivare. La tragica situazione dei sopravvissuti venne alla luce grazie al ritrovamento di alcuni appunti scritti da Dmitrij Kolesnikov.

La sorpresa è che di una storia, appunto vera, di natura militare è andata a finire nelle mani di Thomas Vinterberg che fino ad allora si era sempre occupato di ben altri soggetti, perlomeno drammi che andavano a scavare nei comportamenti delle persone in situazioni scomode e sgradevoli. Alcune volte i suoi film hanno riguardato perfino storie intimistiche, quindi, in ogni caso, che indagavano nelle relazioni umane. Quello che gli aveva dato maggiore notorietà, successo e premi fu Il sospetto (leggi qui). Invece eccolo all’opera su un evento molto tragico realmente avvenuto, prima sommariamente esposto. Un film che è prima di tutto, anche se a primo sguardo può non sembrare, dedicato ai bambini e alla perdita dei loro papà. Più volte durante l’evolversi della trama capita infatti di udire la domanda sull’età in cui una persona aveva perso il genitore, che poi è proprio quello che succede ai 71 bambini che nel luttuoso incidente militare persero il padre a bordo del sommergibile. Soprattutto e sopra tutti, quello di Misha, il piccolo figlio di Mikhail Averin, che era a bordo del potente ma non perfetto dal punto di vista tecnico K-141 Kursk, ufficiale che aveva lasciato anche una vedova in attesa del loro secondo figlio, Tanya.

Come scrivere un film su un fatto di cui non è rimasto in vita alcun superstite? Lo sceneggiatore Robert Rodat si è preparato sulla base del libro scritto da un giornalista, Robert Moore, che pubblicò al proposito A Time to Die e con il supporto del commodoro David Russell, che guidava la flotta navale inglese che mise in atto il tentativo di salvataggio dei componenti dell'equipaggio perito. Il giornalista si era studiato in maniera scrupolosa ciò che si sapeva sull’evento, prendendo in esame le ultime ore dei marinai a bordo del Kursk e tutte le prove emerse sul caso. Era infatti il 10 agosto del 2000 quando il sottomarino, grande quanto due jumbo jet e più di due campi da calcio considerato l'orgoglio inaffondabile della Flotta russa del Nord, cominciò un'esercitazione navale con il coinvolgimento di 30 navi e altri due sottomarini. Due giorni dopo, due esplosioni interne, così forti da essere registrate dai sismografi dell'Alaska, spinsero il mezzo in fondo alle acque artiche del mare di Barents. Secondo le ricostruzioni ufficiali, almeno 23 dei 118 marinai a bordo sopravvissero alle esplosioni rimanendo nei successivi nove giorni bloccati in una piccola zona del sommergibile. I tentativi di salvataggio furono però controversi, si sollevarono molte polemiche soprattutto internazionali e ogni aiuto che proveniva dall'estero venne rifiutato dalla Russia, condannando per sempre il destino di chi era ancora in vita.


Quello che Thomas Vinterberg ha messo maggiormente in risalto è che, come spesso è successo nella Storia, il comando russo cercò fino all’ultimo di non far trapelare all’esterno e ai media nazionali e internazionali ciò che stava succedendo, nascondendo prima di tutto alcuni malfunzionamenti all’interno del mezzo navale (nel film la temperatura all’interno dell’espulsore dei missili aveva raggiunto punte troppo elevate per operare, tanto da far esplodere prima un missile e poi tutti gli altri) e poi la loro arretrata attrezzatura di soccorso che più volte tentò di attraccare sul fondo del mare il portello del sottomarino, rinunciando ogni volta per l’inadeguatezza del mezzo e delle batterie necessarie al suo funzionamento. La Nato più volte si fece avanti per intervenire con i loro mezzi molto più all’avanguardia, ma ogni volta il comando russo rifiutò per superbia e per non ammettere l’inferiorità tecnologica della loro Marina. E quando finalmente concesse l’intervento oramai era troppo tardi per i poveri marinai, che morirono lentamente per mancanza di cibo, ossigeno, con temperature siderali e con l’acqua che invadeva la parte del sottomarino in cui si erano rifugiati dopo le esplosioni. Alla storia tecnico-militare Vitenberg pone a fianco quella della bella famiglia del protagonista Mikhail Averin (il poderoso Matthias Schoenaerts) il quale aveva lasciato sulla terraferma la bella moglie Tanya incinta (come fai a nascondere la bellezza prorompente di Léa Seydoux nonostante la gravidanza e la leggera grassezza del suo personaggio?) e il figlio Misha, che nel finale assurge al compito morale di rifiutare di dare la mano all’ammiraglio russo, responsabile del rifiuto agli aiuti stranieri. Misha era appunto l’ennesimo bambino che perdeva il padre in tenera età per mansioni militari.

Film avvincente il giusto, nonostante il fatto che la vicenda sia nota e risaputa, che fece tanto scalpore ai suoi tempi, in quanto tutti i notiziari e i giornali ne parlavano, almeno dando le notizie che si poteva sapere, quindi falsate dalla propaganda del governo russo che vedeva Vladimir Putin al suo primo mandato da presidente della Repubblica. Il regista gioca a cambiare il rapporto d’aspetto dell’immagine (il cosiddetto aspect ratio) tra 1.66:1 e 2.39:1, a seconda dei momenti della trama, ma è un artificio che mi ha dato l’impressione di inutilità, incidendo per nulla sull’emotività e il coinvolgimento del film. Le scene alquanto claustrofobiche e sommerse dall’acqua all’interno del sommergibile sono realizzate in maniera soddisfacente e sufficientemente appassionanti. Ma ciò che risalta alla fine della visione è che al regista interessava far esaltare l’aspetto riguardante il gioco politico e di prestigio di un sistema governativo chiuso e autarchico, che nell’occasione ha portato alla morte l’intero e innocente equipaggio di un sottomarino, che in teoria doveva essere il vanto della Marina Russa.


Matthias Schoenaerts sa entrare in un tipo di ruolo a lui abbastanza congeniale, mentre Léa Seydoux, con il suo biondo capello, è adatta e brava ad interpretare una tipica donna russa. Chi davvero si fa notare ogni volta che viene inquadrato è l’eccellente Colin Firth, nei panni dell’ufficiale inglese della Nato David Russell incaricato di prestare i soccorsi adeguati se e quando richiesti: tutte le volte che compare con il suo british style catalizza l’attenzione e fornisce come sempre una bellissima prestazione. Mentre al compianto Max von Sydow spetta l’ingrato compito di vestire i panni dell’ammiraglio Vladimir Petrenko, un personaggio antipatico e indisponente che rifiutò per alcuni giorni (sicuramente anche su comando del Cremlino) ogni tipo di aiuto internazionale, tenendo conferenze stampa in cui praticamente non rivelava nulla e né veniva incontro alle ansie delle mogli dei prigionieri del sottofondo marino. Ciò che fa specie, invece, è sentire tutti i personaggi russi parlare in lingua inglese, proprio come quelli della coalizione militare occidentale. Ma tant’è: per il cinema internazionale va bene così.
Buon film, di buona tensione, la cui dolorosa vicenda meritava essere raccontata, perché avvincente, e chiarita, per commemorare la morte inutile di tanti uomini.





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