Un altro giro (2020)
- michemar

- 24 mag 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 3 ott 2022

Un altro giro
(Druk) Danimarca/Svezia/Olanda 2020 commedia drammatica 1h57’
Regia: Thomas Vinterberg
Sceneggiatura: Thomas Vinterberg, Tobias Lindholm
Fotografia: Sturla Brandth Grøvlen
Montaggio: Janus Billeskov Jansen, Anne Østerud
Scenografia: Sabine Hviid
Costumi: Ellen Lens, Manon Rasmussen
Mads Mikkelsen: Martin
Thomas Bo Larsen: Tommy
Magnus Millang: Nikolaj
Lars Ranthe: Peter
Maria Bonnevie: Anika
Helene Reingaard Neumann: Amalie
Susse Wold: preside
Magnus Sjørup: Jonas
TRAMA: C'è una teoria secondo cui dovremmo nascere con una quota di alcol nel sangue. Tale modesta percentuale aprirebbe la nostra mente al mondo che ci circonda, diminuendo i problemi e aumentando la creatività. Incoraggiati da tale presupposto, Martin e tre suoi amici, tutti annoiati insegnanti di scuola superiore, intraprendono un esperimento teso a mantenere un livello costante di alcol nel sangue durante l'arco della giornata lavorativa. I risultati in un primo momento sono positivi e il piccolo progetto si trasforma in breve in vero studio accademico. Tuttavia, non passerà molto tempo prima che porti a conseguenze inaspettate.
Voto 7,5

In una delle scene iniziali, il protagonista principale, il professore di storia di una classe di maturandi Martin, chiede alla moglie – con l’espressione neutra e insensibile che si trascina da chissà quanto tempo – “Anika, pensi che io sia diventato noioso?”. Da qualche tempo in classe non lo ascoltano, non lo guardano neanche, i figli lo trascurano perfino a tavola e lui si accorge che sta diventando invisibile agli altri, per cui il dubbio della domanda pare più che legittimo. È la china che sta prendendo la sua vita di uomo di mezza età, pari a quella degli altri tre amici per la pelle, altri tre professori della stessa scuola che mentono allegramente sulla propria situazione familiare, anche a se stessi non volendo ammettere i fallimenti che stanno ingrigendo le loro monotone esistenze da middle class. L’inefficacia delle lezioni di Martin è avvertita anche dagli stessi studenti che, segnalata la anomala situazione ai genitori, temono di arrivare agli esami di maturità non perfettamente preparati, motivo per il quale l’uomo viene convocato dall’assemblea dei familiari che gli chiedono spiegazioni, dove si presenta con aria assente, rassegnata, ma intimamente intimorita.

Ben presto però il regista Thomas Vinterberg sposta la nostra attenzione sul lato ludico-esistenziale-filosofico del film, partendo dalla tesi dello psichiatra norvegese Finn Skårderud, secondo cui l'uomo nasce con un deficit dello 0,05% di alcol nel sangue. Insufficienza presentata come un fatto negativo per cui sarebbe consigliabile se non necessario recuperare la perdita, come minimo col pareggiarla e possibilmente superarla, facendo migliorare il tenore della vita. Secondo questa teoria, con un tasso alcolemico così basso ci si ritrova pessimisti, improduttivi e via dicendo, e al contrario, con qualche goccetto bevuto durante la giornata si migliora l’umore, ci si sente più disponibili e si rende molto meglio sul lavoro. Basterebbero gli esempi anche dei grandi della letteratura e della musica, come Hemingway e Tchaikovsky che quando avevano bevuto qualche bicchierino si accorgevano di avere più coraggio e ispirazione. Quando i quattro decidono, un po’ per goliardia, un po’ speranzosi di vedere migliorate le loro aspettative, di mettere in pratica l’esperimento, i primi risultati, in effetti, li ottengono. Ne è la prova il modo in cui Martin si sente rapportare verso i suoi studenti, soprattutto quando li provoca facendo scegliere come loro leader virtuale uno tra i tre personaggi storici, presentati in maniera anonima (sicuramente uno dei momenti più divertenti del film): un poliomielitico, iperteso, fumatore incallito e bevitore di Martini cocktail; un obeso, cardiopatico, amante del whiskey e dei sigari; un uomo sano, astemio, animalista, non fumatore. Come c’era da attendersi, i giovani votano il terzo, apparentemente il più sano e il più attendibile come capo. Ebbene, il primo è Franklin D. Roosevelt, il secondo Winston Churchill e il terzo… Adolf Hitler! Risate in classe! Quindi, l’alcol, se assunto in maniera adeguata, pare che produca effetti benefici sull’intelletto e sul decisionismo positivo. Almeno, questo è il risultato che se ne può ricavare, tanto da spingere a ragione i quattro professori ad approfondire l’esperimento, aumentando la dose giornaliera, bevendo sempre di più e in diversi orari del giorno, sostituendo l’acqua per dissetarsi con ogni tipo di liquido dotato di molti gradi alcolici. Ma non ponendosi dei limiti la situazione può solo peggiorare, deteriorando i rapporti umani, sociali, professionali e soprattutto familiari, dopo una apparente e breve parentesi di miglioramento, dovuta solo all’euforia psicologia – ma anche fisica – che galvanizza il quartetto. Le conseguenze saranno deleterie e in un caso addirittura drammatica. Tra l’altro, il matrimonio e la vita familiare di Martin, che pareva rimettersi nei binari della serenità, subisce un tracollo irreparabile.

Una commedia, quindi, sugli effetti dell’alcolismo come piaga sociale iniziata da quattro persone per il gusto di un giocoso esperimento e per dare uno scossone al grigiore di una vita monotona senza più prospettive? No, in verità, Thomas Vinterberg – che pur sempre ha chiamato il film con Druk, a cui basta aggiungere un “n” per equipararlo all’”ubriaco” inglese - ci vuole parlare dei rapporti umani e sociali, ma soprattutto familiari quella terra felice per definizione che è la Danimarca, dove la vita in effetti è solo apparentemente felice e tutta la popolazione, sin da quando sono studenti, ha la consuetudine di affogare nel liquido graduato i dispiaceri e le delusioni, le difficoltà della vita e degli studi. È una disamina amara, spietata, persino triste, seppure narrata con risvolti simpatici, a volte anche molto divertenti, senz’altro disarmanti, con un tocco di grottesco e di esagerato, necessario per provocare lo spettatore, che poi è un’antica abitudine del regista danese. Non poche volte, nel passato il cineasta ha messo il dito nella piaga delle asprezze delle relazioni affettive e parentali: Le forze del destino, Festen - Festa in famiglia e La comune sono esempi di quello che può succedere nelle riunioni di famiglia, allorquando – sempre nei fumi dell’alcol – si smarriscono i limiti inibitori e vengono esternate verità mai dette. In vino veritas dice l’eterno detto. Poi, nel bellissimo Il sospetto (recensione), solo per una innocente calunnia di una bimba gelosa, il protagonista (il sempre presente Mads Mikkelsen) viene messo in dubbio perfino dalla sua donna, estrema dimostrazione di quanto non possano essere sicuri nemmeno i legami che paiono inscalfibili. In questo film sembra che solo il rapporto dei professori con gli studenti rimangano forti, ma che - lo sappiamo bene – durano finché si arriva al diploma e poi ognuno per la sua strada.

Non vorrei esagerare con i paragoni, ma a me questo film ha ricordato parecchio un parallelismo con il grande Marco Ferreri, che con la sua abbuffata pantagruelica che porta all’autodistruzione di un gruppo di amici autoreclusi in una villa affonda le sue unghie nell’ipocrisia della società e nell’eterna critica alla borghesia (Luis Buñuel docet), sempre presentata falsa e inaffidabile. Non è proprio la medesima cosa, ma più o meno è quello che succede ai quattro danesi, che in un modo o nell’altro imparano a proprie spese la lezione, persino con qualche risvolto tragico. Se lì c’era il cinismo del graffiante regista milanese, qui non manca la giusta cattiveria che Thomas Vinterberg non ha fatto mai mancare nelle sue opere (tralasciamo Via dalla pazza folla, inguardabile se lo consideriamo un suo prodotto). Il tono voluto dal regista spesso diviene umoristico e per certi versi scandaloso, visto l'argomento piuttosto serio, e risulta chiaro che lui cercava di realizzare un film che “avesse mille sfaccettature, che provocasse, divertisse, e spingesse a pensare, piangere e ridere. E che lanciasse spunti di riflessione per un pubblico che oramai vive in un mondo che, sebbene in apparenza sia sempre più puritano, nell'alcool affoga: si inizia a bere eccessivamente a un'età relativamente giovane” come lui stesso afferma. Il problema dell’alcolismo infatti non è solo del nord Europa, lo notiamo ogni tarda sera, in ogni movida notturna, nella nostrana cronaca cittadina giovanile.

Tramite la fotografia di Sturla Brandth Grøvlen, Vinterberg utilizza la macchina da presa a mano per stare addosso e sui visi dei personaggi, in particolar modo sul suo pupillo Mads Mikkelsen: un connubio vincente. La potenza recitativa dell’attore risiede nella sua spontanea facoltà di esprimere ogni sentimento e impulso intimo con il suo viso solo apparentemente immobile, perché gli basta un minimo movimento degli occhi o un millimetrico spostamento dell’angolo delle labbra e noi percepiamo il suo messaggio. Questa volta si è addirittura esibito all’inizio in una minima lacrimazione per esternare la depressione che lo affligge e nel finale in uno spericolato balletto liberatorio che non ti aspetti, nel tripudio dell’ultimo giro di birra e spumante per festeggiare con gli studenti l’addio alla scuola. Questo film è di Vinterberg ma è anche quello di Mads. Senza sottovalutare la prova dei bravissimi tre compagni di sbornie: Magnus Millang, Lars Ranthe e Thomas Bo Larsen, vecchia conoscenza del cinema danese. Film curioso e interessante, che merita di essere visto, ma a dir la verità mi aspettavo di più, non lo nascondo: il Premio Oscar è una presentazione importante. Il vero problema è che il parco dei film che nel 2021 hanno riempito la lista dei candidati agli Oscar aveva una qualità media non altissima rispetto agli altri anni. Mi sbilancio con un mezzo voto in più per la stima.

Una raccomandazione: questo film non andrebbe mostrato ai maturandi. Ma questa è solo una battuta, che si capisce vedendo il finale.
Premio Oscar 2021 miglior film in lingua straniera.














































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