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La battaglia di Algeri (1966)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 set
  • Tempo di lettura: 4 min
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La battaglia di Algeri

Italia, Algeria 1966 guerra 2h1’

 

Regia: Gillo Pontecorvo

Soggetto: Saadi Yacef

Sceneggiatura: Franco Solinas

Fotografia: Marcello Gatti

Montaggio: Mario Morra, Mario Serandrei

Musiche: Ennio Morricone, Gillo Pontecorvo

Scenografia: Sergio Canevari

Costumi: Giovanni Axerio

 

Brahim Haggiag: Ali La Pointe

Jean Martin: colonnello Philippe Mathieu

Yacef Saadi: Saari Kader

Tommaso Neri: capitano Dubois

Michéle Kerbash: Fathia

Samia Kerbash: ragazza

Ugo Paletti: capitano

Fusia El Kader: Halima

Franco Morici: maggiore dei Parà

Mohamed Ben Kassen: Omar Yacef

 

TRAMA: Alì La Pointe, un semplice ex galeotto fino al 1954, viene conquistato dagli ideali della rivoluzione anticoloniale. Tre anni dopo è a capo del sempre più attivo Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Ma nel 1957 Parigi invia i paracadutisti del colonnello Mathieu, la cui repressione ha il compito di smantellare la resistenza.

 

VOTO 8,5


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Di fronte alla brutalità della guerra, nessun ideale resta intatto. È questo il messaggio che emerge con forza da questo caposaldo del lavoro artistico di Gillo Pontecorvo, che attraverso la lente del neorealismo italiano e una fotografia in bianco e nero che acuisce le sequenze, racconta il conflitto tra il Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN) e le forze coloniali francesi. Un film che, pur radicato in un contesto storico preciso, parla con voce universale e inquietante al contemporaneo. Bisogna considerare che, si narra, nel 2004 il governo statunitense, tramite il Pentagono, organizzò proiezioni riservate del film per i propri funzionari, all’indomani dell’invasione dell’Iraq. L’obiettivo? Mostrare come si possa vincere una battaglia contro il terrorismo e perdere la guerra delle idee. La battaglia di Algeri non è solo un documento storico: è un monito.



Ciò che fa anche impressione è che è una narrazione senza eroi e il regista evita ogni tentazione di agiografia. Pur mostrando una certa simpatia per la causa algerina, il regista si astiene dal demonizzare i francesi. La sua regia, asciutta e impersonale, si rifà allo stile del cinegiornale dei tempi, conferendo al film un tono documentaristico che ne amplifica la potenza. La scelta di non approfondire i retroscena dei personaggi, né di costruire archi narrativi tradizionali, contribuisce a mantenere il focus sulla collettività e sulle dinamiche del conflitto.



Si osserva come Ali La Pointe, interpretato dal dilettante Brahim Haggiag, incarna la rabbia e la determinazione dei ribelli. Al suo fianco, Saari Kader (Saadi Yacef, figura reale e autore delle memorie da cui è tratta la sceneggiatura) rappresenta la strategia e la riflessione. Sul fronte opposto, il tenente colonnello Mathieu (il noto Jean Martin, unico attore professionista del cast, ferreo, imperturbabile) guida la repressione con lucidità militare, incarnando una figura composta da vari ufficiali francesi realmente esistiti. Il film si apre nel 1954, nel cuore della casbah di Algeri e si chiude nel 1957 con la distruzione dell’ultimo vertice del FLN. Ma la storia non finisce lì: la resistenza, seppur temporaneamente soppressa, tornerà a farsi sentire, portando all’indipendenza dell’Algeria nel 1962. Pontecorvo, girando solo pochi anni dopo, riesce a catturare l’autenticità dei luoghi e delle emozioni, senza dover ricorrere a ricostruzioni artificiose. Chiamiamolo neorealismo algerino.



Tra le scene più potenti, quella delle tre donne arabe che, travestite da europee, piazzano bombe in luoghi pubblici. I loro sguardi, colmi di esitazione e consapevolezza, raccontano più di mille parole. È in questi momenti che il film, pur mantenendo una prospettiva distaccata, raggiunge un’intensità emotiva rara. Tutti questi attori dilettanti presi dalla strada danno maggiore credibilità a questa sorta di neorealismo nordafricano.



Acclamato dalla critica internazionale e definito straordinario, Leone d’Oro e candidato a premi prestigiosi, fu inizialmente vietato in Francia (brutto segnale), dove la sua uscita fu ritardata per anni. Alcuni lo accusarono di aver ispirato tattiche di guerriglia urbana adottate da gruppi come le Pantere Nere e l’IRA. Ma il film non offre soluzioni né giustificazioni: pone domande scomode, lasciando allo spettatore il compito di riflettere. Le scene di tortura, per esempio, seppur contenute rispetto agli standard odierni, restano disturbanti. Una fiamma ossidrica accesa sul petto di un prigioniero, elettrodi sulle orecchie: immagini che non si dimenticano. Mathieu, il comandante francese, ammette che forse la Francia non dovrebbe essere in Algeria, ma aggiunge che, se deve restarci, certe azioni sono inevitabili. È crudamente reale, è il prezzo disumano della guerra.



Il regista, tramite questo ottimo lavoro, non cerca di rispondere alla domanda se il fine giustifichi i mezzi, piuttosto mostra che ogni guerra, anche quella combattuta per una causa giusta, produce vittime innocenti. Uomini e donne che non torneranno a casa, semplicemente perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. E nel XXI secolo è un argomento disumanamente attuale. In questa consapevolezza, nella sua capacità di trascendere il tempo e lo spazio, il film di Gillo Pontecorvo, autore anche di altri film su argomenti simili e scomodi (Ogro, Queimada) si rivela non solo un’opera cinematografica, ma un epitaffio per tutte le guerre. E proprio in questa universalità risiede la sua forza più profonda.

Tristemente è così.


Puro cinema rivoluzionario, film tra i più politici di sempre, sebbene ci si pongano tante domande - come capita da parte dei giornalisti verso il colonnello - ma ognuno degli spettatori deve cercarsi le risposte che crede giuste. Un film in cui le esperienze degli attori non professionisti si fondono con la finzione.

Un popolo e la sua auto determinazione, com'è giusto che sia, mentre la musica di Morricone e Pontecorvo sembra echeggiare solenne nei momenti topici.

Grandissimo film!



Riconoscimenti

Oscar 1967

Candidatura per miglior film straniero

Oscar 1969

Candidatura per migliore regia

Candidatura per miglior sceneggiatura originale

Festival di Venezia 1966

Leone d’Oro

 


Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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