La fiera delle illusioni - Nightmare Alley (2021)
- michemar

- 24 mar 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 18 feb 2024

La fiera delle illusioni - Nightmare Alley
(Nightmare Alley) USA/Messico/Canada 2021 thriller drammatico 2h30’
Regia: Guillermo del Toro
Soggetto: William Lindsay Gresham (romanzo)
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Kim Morgan
Fotografia: Dan Laustsen
Montaggio: Cam McLauchlin
Musiche: Nathan Johnson
Scenografia: Tamara Deverell
Costumi: Luis Sequeira
Bradley Cooper: Stanton "Stan" Carlisle
Cate Blanchett: Lilith Ritter
Toni Collette: Zeena Krumbein
Willem Dafoe: Clem Hoately
Richard Jenkins: Ezra Grindle
Rooney Mara: Molly
Ron Perlman: Bruno
David Strathairn: Pete Krumbein
Mary Steenburgen: Mrs. Kimball
Peter MacNeill: Mr. Kimball
Clifton Collins Jr.: Jack
Tim Blake Nelson: Barny Boss
Trama: Il giovane e ambizioso giostraio Stanton Carlisle ha la straordinaria capacità di manipolare le persone ricorrendo all'uso di poche parole ben scelte. La sua esistenza avrà una svolta inaspettata quando incontrerà la psichiatra Lilith Ritter, ancor più pericolosa e affamata di denaro di lui.
Voto 7,5

“Siamo tutti Blob, tranne noi mostri.” Spesso si ripresenta così la mitica rubrica TV che si rifà nel titolo ad un altrettanto mitico film degli anni ’60. “Noi mostri.” Che poi, sono l’oggetto principale del cinema di Guillermo del Toro, il quale navigando tra generi affini come il fantasy, il soft horror, la fantascienza d’azione, tra laboratori di entomologi e caverne ove rifugiarsi, insomma scorrendo il non corposo elenco dei suoi lungometraggi, mette frequentemente in scena figure spaventose che mettono timore però solo agli spettatori, dato che non sono mai veramente cattivi. Il motivo principale è che solitamente il suo mostro non è perfido come potrebbe far pensare il suo aspetto esteriore. Chi, per esempio, non ha avuto paura nell’immaginare chissà quale nefandezza sarebbe capace di commettere Hellboy, il Fauno del labirinto o, come abbiamo visto di recente, l’uomo anfibio di La forma dell'acqua - The Shape of Water? Eppure, si dimostrano dolci e quieti fino ad intenerire per la loro sensibilità, molto più comprensibile da parte dell’animo delle persone più semplici, come appunto sono Ofelia Vidal o Elisa Esposito.

Stanton Carlisle, per tutti Stan, è un giovanottone di bell’aspetto ma trasandato e sporco, sicuramente con un cattivo odore, non uno straccione ma quasi, che vediamo nella prima sequenza dare a fuoco la sua casa dopo aver sepolto sotto le assi del pavimento quello che pare sia un cadavere. Si allontana quindi dal luogo solitario con apparente calma accendendo una delle mille sigarette che gli vedremo tra le labbra e si reca come se nulla sia successo nel grande luna park che si è piazzato nella zona. Osservando qualche spettacolo e mescolandosi tra la folla divertita e incuriosita, accetta un lavoro temporaneo per smantellare la tenda di uno dei più spaventosi spettacoli mostrati ai clienti, quello dell’uomo-mostro (toh, chi si rivede!), gestito da Clem Hoately, un giostraio senza scrupoli.

Stan è talmente bisognoso di fare soldi che si adatta ad ogni circostanza e accetta qualsiasi tipo di incarico, anche se con qualche rischio borderline nei confronti della legalità. Si ambienta presto a quel nuovo mondo, cosa che gli viene sempre facile, e stringe amicizia con una donna che in quel mondo circense fa la chiaroveggente: è Zeena, che ha un marito alcolizzato, Pete, che sarebbe una persona furba e in gamba nell’arte degli spettacoli itineranti, ma ormai è rovinato dai liquori. Stan è dotato di un intuito e di una intelligenza superiore alla media, certamente superiore a quelli che lo circondano e impara prestissimo i trucchi di quei mestieri, in special modo quello di far credere alla gente – di ogni grado di istruzione, ricchi e poveri, in spettacoli da luna park o in night club – di possedere straordinari poteri mentali. Si concentra, bendato, e sa indovinare particolari segretissimi degli individui che ignari si prestano al suo gioco. Ha imparato alla svelta tutti i trucchi dei cosiddetti chiromanti, chiaroveggenti, indovini, sensitivi e via dicendo. Ma è solo e semplicemente una storia di trucchi furbi e spiegabili.


Un trampolino di lancio, il danaro che comincia ad affluire, i gonzi che non mancano mai, spesso per debolezza personale, per dolori sofferti, per perdite mai cicatrizzate, soprattutto nel giro della gente ricca che crede che con i soldi si possa riavere anche l’impossibile. Il gioco si fa sempre più difficile ma Stan, con l’aiuto di Molly, la bella ragazza che ha tolto dal palcoscenico di Bruno, l’uomo sedicente più forte del mondo, scala la montagna della notorietà e della ricchezza sempre più avidamente, senza mai accontentarsi di ciò che ha ottenuto. La fama, l’agiatezza e l’accumulo dei soldi non lo fermano più. Fin quando il destino, durante un’esibizione, lo fa incontrare con la femme fatale che gli può far cambiare la vita, Lilith Ritter, una psicoterapeuta che ne sa una più del diavolo.

Il grande luna park - che la gente frequenta per distrarsi dalle difficoltà della vita e dalla miseria, che con un quarto di dollaro più vedere le cose più immonde e più curiose della terra – è un agglomerato di giostrai e giocolieri e imbonitori che nella fantasia popolare sono persone strane, quasi dei mostri, dalla vita zingaresca e transumante, il cui cattivo odore Guillermo del Toro fa giungere fino al di fuori dello schermo. Sorridono in maniera affabile ma finta, solo per attirare clienti. Ma sono davvero dei mostri? In verità, ci dice il regista messicano, quella è povera gente che si arrabatta per sbarcare il lunario in un mondo inospitale che devono continuamente attraversare, una tappa dietro l’altra. Solo per sopravvivere. Perché nel tempo libero sono tutti amici, non fraterni, ma si rispettano pur con qualche dispetto o litigio. Ognuno ha il suo carattere e la necessità li conduce anche a maltrattare gli animali o le persone handicappate, purché facciano spettacolo e incuriosiscano la clientela. Ma fuori da questo mondo burlesco?

I mostri sono fuori. Quelli veri. Quelli che non hanno pietà, che sfruttano la pesante assenza di un caro che è venuto meno, di chi, in buona fede, è disposto a tutto pur di avere notizie del figlio perito in guerra o della figlia di cui ha causato la morte obbligandola ad abortire. I sensi di colpa profonda di persone in pena diventano occasioni di facili guadagni puntando sulla loro credulità: non è mostruoso tutto ciò? Specialmente quando colui che si crede il più furbo di tutti viene manipolato e sfruttato nella medesima misura da un’altra persona che in realtà è ancor più scaltra. Tra l’ambientazione buia e gotica del luna park e quella più luminosa delle ville abitate dai gonzi che Stan raggira non c’è molta differenza di fotografia, che è cupa e carica di toni, dominati dal marrone scuro e da macchie del verde già abbondantemente utilizzato dal regista nel film precedente, perfino il biondo della Lilith dalle rosse labbra seducenti risalta forte sullo schermo.

È quindi lungo il tragitto che percorre Stanton Carlisle, dalla scura sera in cui seppelliva il padre con tutto il suo passato per girare pagina e dirigersi verso una nuova vita chiamata avventura sino allo strattagemma finale ai danni di Ezra Grindle, a cui era stato presentato come un medium infallibile: quella notte doveva essere la svolta decisiva, il colpo magistrale che lo avrebbe sistemato una volta per tutte, aiutato dalla buona Molly mai decisamente favorevole alle sue losche attività. E, in mezzo, spettacoli, avventurose esibizioni, una donna scaltra, abiti di lusso, sorrisi seducenti sotto baffetti curatissimi di un uomo decisamente affascinante. O che perlomeno credeva di essere. Un uomo che aveva capito a prima visita in quel luna park ciò che la gente desidera vedere o credere sia vero: lui ha perfettamente intuito come avere successo e si è costruito un futuro immediato fatto di castelli di carta dalle fondamenta inesistenti, fatto di espedienti, di artifici, di sotterfugi. Obiettivamente va però detto che Stan è un uomo talentuoso, perché per realizzare ciò che aveva in mente, e così speditamente, a ritmo studiato, in continua progressione, ci vogliono doti naturali, bisogna essere geniali e quando scovava la persona adatta per evocare un figlio defunto o un fratello scomparso ecco che scattava la molla dell’ingegno, a maggior ragione per la personale esperienza sepolta e bruciata una notte lontana. Indubbiamente è una persona che sapeva studiare lo spettatore, che la sua abilità sapeva trasformare in cliente potenziale.

L’obiettivo di del Toro è proprio lì: il mettere in scena, da parte del protagonista, una sorta di show per soddisfare quel che il pubblico vuole con l’assoluta sordità della propria coscienza, l’amoralità, il suo sfruttare avidissimo. Sembra l’attuale TV che ammorba il nuovo secolo con i talkshow acchiappautenti. Per questo motivo e per lo stile della narrazione, il film è un nerissimo noir, un thriller morboso, un’opera sulla maniacalità che abita un individuo che non mostra mai scrupoli o crisi di coscienza: se ci si fa caso, non guarda mai la donna, di cui si dichiara innamorato, con lo sguardo di un innamorato, non le fa mai un gesto affettuoso, non una parola d’amore: se lo fa è perché gli serve sul momento, come succede quando la costringe nell’ultimo atto di quella commedia che è tutta la sua vita. Un narcisista che si specchia nelle prodezze che architetta. Per lui la vita è una giostra su cui divertirsi, come quella con i cavallini su cui convince l’innocente e candida Molly a seguirlo. Un’altra favola nera, un’altra storia di mostri, di un freak. Rifacendo con il medesimo titolo il film di Edmund Goulding del 1947, tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham, Guillermo del Toro è partito dall’idea di uno dei suoi più fedeli attori, Ron Perlman, con cui stava vedendo molti anni fa Il figlio di Giuda (Elmer Gantry) del 1960 - con Burt Lancaster, un piazzista che vive di stenti e piccole truffe, film diretto da Richard Brook - e lui disse che c’era un personaggio simile a questo che avrebbe voluto interpretare. L’attore si riferiva ovviamente a Stanton. L’idea era rimasta ed oggi eccolo qui.


Uno dei punti di forza di questo film è l’interpretazione maiuscola di Bradley Cooper, degna dei migliori attori degli anni ’40: sembra di rivedere un divo di quegli anni, curatissimo anche se vestito da barbone, con il ciuffo che gli si gira sulla fronte come un “tirabaci”, baffetti in perfetto ordine, sguardo penetrante, sveglio, che strega. Un gaglioffo che si fa odiare o amare, disprezzare o ammirare, da andarci a letto o da uccidere. Che la bravura degli sceneggiatori (regista e moglie Kim Morgan) costruisce come un personaggio di cui si possa capire il percorso anche senza approvarne le scelte. A far chiarezza sul discorso di fondo e sulle intenzioni reali, è lo stesso regista che spiega: “Ogni noir rappresenta l’epoca in cui è stato realizzato: il disincanto del dopoguerra con Robert Mitchum e il disincanto del post Vietnam con Elliott Gould. Questo mio film parla di un momento di enorme ansia per il genere umano. Un momento in cui le basi della dialettica tra verità e bugia si stanno disintegrando e in cui vediamo e leggiamo solo le cose che confermano ciò in cui già crediamo. La politica populista, la fame di sempre più click, più follower, più soldi, più fama. Quello che sento, come narratore di storie, è che per molti versi l’apocalisse è già avvenuta e noi stiamo solo rimettendoci in pari. Non ho grande ottimismo per il genere umano. Come dico sempre, per me i mostri più spaventosi sono gli umani e questo è il mio tentativo di ribadirlo in un modo più controllato, austero ed elegante di quanto abbia mai fatto finora.” Non è ciò che scrivo nella mia introduzione?

In buona sostanza, è un film d’altri tempi girato con l’occhio moderno e come piace al regista, quindi come una favola nera, diretto con la solita maestria e disponendo di un cast davvero eccellente. Bradley Cooper è strepitoso, ammaliante nella sua delinquenza crescente, fascinoso seducente che viene sedotto, in un film che lo mette alla prova con un personaggio non semplice, che poteva misurare le sue qualità, e ne esce trionfante: bravo! Rooney Mara è forse l’attrice più indicata per il personaggio di Molly e se la cava alla perfezione. Cate Blanchett è così seducente che non si mangia solo Stan ma anche noi tutti spettatori: un gran bel personaggio che lei interpreta da urlo. Toni Collette, Willem Dafoe, David Strathairn, Ron Perlman (poteva mancare?) sono tutti all’altezza ma la vera sorpresa è Richard Jenkins, nei panni dell’ultima preda del famelico protagonista, un personaggio che gli ha richiesto una bianca barba che lo nasconde e si fa fatica a riconoscerlo. Un personaggio forte, ma indebolito delle colpe (quale miglior terreno per l’imbroglione?) che in primo momento cade nel tranello ma nel momento topico reagisce, anche a causa dell’eccessiva ed improvvida sicurezza che anima Stan. Un parco attori di prim’ordine per un film che lascia stupiti, che fa riflettere sui tempi che viviamo anche perché la stirpe dei furbi affabulatori è antica e continua a prosperare.
E allora, dove sono i mostri?
Riconoscimenti
2022 – Premio Oscar
Candidatura per il miglior film
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per i migliori costumi
Candidatura per la migliore scenografia




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