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La mia Africa (1985)



La mia Africa

(Out of Africa) USA/UK 1985 dramma 2h41’

 

Regia: Sydney Pollack

Soggetto: dagli scritti di Karen Blixen, libri di Isak Dinesen, Errol Trzebibnski, Judith Thurman

Sceneggiatura: Kurt Luedtke

Fotografia: David Watkin

Montaggio: Fredric Steinkamp, William Steinkamp, Pembroke J. Herring, Sheldon Kahn

Musiche: John Barry

Scenografia: Stephen B. Grimes

Costumi: Milena Canonero

 

Meryl Streep: Karen Blixen

Robert Redford: Denys Finch-Hatton

Klaus Maria Brandauer: Bror von Blixen - Finecke

Michael Kitchen: Reginald Berkeley Cole

Malick Bowens: Farah

Joseph Thiaka: Kamante

Stephen Kinyanjui: capo Kinanjui

Michael Gough: Baron Delamere

Suzanna Hamilton: Felicity

Rachel Kempson: Lady Belfield

Graham Crowden: Lord Belfield

Leslie Phillips: sir Joseph

Shane Rimmer: Belknap

 

TRAMA: Karen arriva in Kenya nel 1914 per ritrovarvi il barone von Blixen, da lei sposato senza amore. Durante le lunghe assenze del marito, fa amicizia con Denys Finch-Hatton, un cacciatore di elefanti. Quando il barone le trasmette la sifilide, Karen rientra in Europa per curarsi. Poi tornerà nel continente africano.

 

Voto 7



Guardando questo film qualche decennio dopo la sua uscita si potrebbe avere l’impressione che l’entusiasmo suscitato a suo tempo era alquanto esagerato. Però attenzione: non c’è dubbio che questa sia una festa per gli occhi e per le orecchie. L’abbinamento della lussureggiante colonna sonora di John Barry con la poetica fotografia di David Watkin vale il prezzo del biglietto. Così come la storia, basata sulle memorie di Isak Dinesen (il nome d’arte di Karen Blixen), merita solo elogi. Inoltre, non c’è niente di sbagliato: la regia di Sydney Pollack è discretamente competente e la recitazione di Meryl Streep e Robert Redford è di prim’ordine. Ma la storia è pigra e risulta poco più di un ordinario melodramma che ribolle senza mai raggiungere l’ebollizione. A dire il vero, durante le quasi tre ore di durata del film, si viene conquistati più dalla scenografia e dal commento musicale che dai personaggi. Eppure, in gran parte a causa dell’emozione coinvolgente dell’insieme, la pellicola è diventata il film per eccellenza e di prestigio per quella stagione e l’Academy lo ha trattato come tale.



Sydney Pollack utilizza lo stile che avevamo riscontrato nei film di David Lean, con l’aggiunta dello sguardo bucolico di Terrence Malick come modello, e a tanti anni di distanza pare evidente come in un primo momento, per la lunghezza e il tormento che comprendeva, il film pareva essere assegnato alla direzione proprio di Lean. La differenza principale tra questo film e il meglio del regista londinese (come accadeva in Lawrence d’Arabia) è a proposito della profondità e dell’ampiezza. Lean aveva il gran pregio di non perdere mai di vista i personaggi: Pollack, invece, si limita all’essenziale: parla di due personaggi, del loro amore reciproco e del luogo in cui vivono, e non molto altro. Sebbene la storia progredisca attraverso la Prima guerra mondiale, il trattamento del conflitto è superficiale ed al massimo è materiale di sfondo. In altre parole, è come se i suoi personaggi principali siano isolati dal resto del mondo e da ciò che vi accade. È vero che siamo in piena Africa e tutto pare lontanissimo, però loro sono occidentali e si avverte l’impressione, anche se distratti dalla relazione, che siano al di fuori del tempo e dello spazio, in qualche piccolo angolo del mondo non toccato dalla marcia del progresso umano e dalle questioni belliche.



La sceneggiatura, meticolosamente studiata, si basa sulle storie vere di Karen Blixen (Meryl Streep) che ha vissuto in una piantagione di caffè in Kenya a partire dal 1913, appena sposata con il suo migliore amico, il barone Bror von Blixen (Klaus Maria Brandauer). Mentre era lì, ha gestito la fattoria, che era sempre sull’orlo della bancarotta, ha divorziato da suo marito dopo numerosi casi di infedeltà da parte sua e si è impegnata in una storia d’amore a lungo termine con l’avventuriero Denys Finch-Hatton (Robert Redford). Dopo il fallimento della piantagione nel 1931, tornò nella sua nativa Danimarca, dove divenne un’autrice di fama mondiale (uno dei suoi libri più noti fu Il pranzo di Babette, su cui si basa l’omonimo film). La trama si concentra sul periodo tra il 1913 e il 1931, con particolare enfasi sul rapporto tra Karen e Denys. L’approccio di Pollack alla storia d’amore è sobrio e intellettuale. Mentre i suoi attori sono al top del loro potenziale e i loro personaggi sono ben resi, non si avverte mai la passione che lo spettatore crede di veder realizzata, forse perché la semplice e naturale emotività umana si perde nella grandezza o nelle pretese di quella grandezza cercata.



Ciò che si fa veramente amare è l’interpretazione che Meryl Streep e Robert Redford riescono a fornire, da par loro, ed è di questa reale esibizione recitativa, oltre al panorama e alle musiche, che si resta incantati. Senza dimenticare quale intesa ci sia sempre stata tra l’attore e il regista, quanti film hanno orchestrato assieme. Oltre al valente, ottimamente scelto, Klaus Maria Brandauer e ad altri caratteristi di riconosciuta esperienza, impossibile non far cenno di quella che è forse la maggiore protagonista del film: l’Africa e la sua imponente bellezza, a cominciare dalle mandrie della fauna locale fotografate da terra (vedi il safari) o dall’alto quando i due volano con l’aereo di Denys. Chi contribuisce poi al successo definitivo è il musicista John Barry, che, si può affermare, sposta gli equilibri sui giudizi e sulla emozione che quelle note fanno provare. Consapevole del potere di tali sequenze, Pollack si permette di indugiare su questi aspetti senza la fretta di tornare all’interazione tra Karen e Denys, che discutono continuamente di quel loro rapporto che resta mai veramente compiuto.



Quella relazione è così incompiuta che la scena che suscita il maggior erotismo resta quella in cui Denys lava i capelli di Karen, e su come questo momento apparentemente innocente sia carico di sensualità. La sequenza è ben girata ed è probabilmente l’unico momento durante il quale a Meryl Streep è permesso di apparire attraente e trasmette innegabilmente il senso di intimità più profondo tra i personaggi. La sequenza fa anche ciò che ogni regista sogna di realizzare: creare il collegamento emotivo tra i personaggi ed il pubblico. Siamo lì con loro in quel momento, non li guardiamo distanti ma con loro.



Bravissimi gli attori, grandi i pregi del lavoro del cast tecnico, la regia è comunque all’altezza e il film venne riconosciuto come il migliore e pertanto premiato: ancora oggi emoziona e appassiona. In fondo, era l’obiettivo dei produttori.



Riconoscimenti

1986 - Premio Oscar

Miglior film

Miglior regista

Miglior sceneggiatura non originale

Migliore fotografia

Migliore scenografia

Miglior sonoro

Miglior colonna sonora

Candidatura per la miglior attrice a Meryl Streep

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Klaus Maria Brandauer

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior montaggio

1986 - Golden Globe

Miglior film drammatico

Miglior attore non protagonista a Klaus Maria Brandauer

Miglior colonna sonora

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per la miglior attrice in un film drammatico a Meryl Streep

Candidatura per la miglior sceneggiatura

1987 - Premio BAFTA

Migliore sceneggiatura non originale

Migliore fotografia

Miglior sonoro

Candidatura per la miglior attrice protagonista a Meryl Streep

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Klaus Maria Brandauer

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per la miglior colonna sonora



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