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Lezioni di persiano (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 ago 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

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Lezioni di persiano

(Persian Lessons) Russia/Germania/Bielorussia 2020 dramma 2h7’


Regia: Vadim Perelman

Soggetto: Wolfgang Kohlhaase

Sceneggiatura: Ilja Zofin

Fotografia: Vladislav Opelyants

Montaggio: Vessela Martschewski

Musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine

Scenografia: Fred Burle


Nahuel Pérez Biscayart: Gilles

Lars Eidinger: Klaus Koch

Jonas Nay: Max

David Schütter: Paul

Alexander Beyer: comandante del campo

Andreas Hofer: von Dewitz

Leonie Benesch: Elsa


TRAMA: Nella Francia occupata del 1942, Gilles viene arrestato dalle SS insieme ad altri ebrei e mandato in un campo di concentramento in Germania. Riesce per poco a evitare la morte giurando di essere persiano ma non ebreo. Viene quindi scelto per insegnare il farsi ad un ufficiale del campo, un uomo che sogna di aprire un ristorante in Iran una volta finita la guerra. Il particolare rapporto tra i due uomini finisce però con lo scatenare la gelosia di altri prigionieri e ufficiali.


Voto 6,5

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Sul tragico tema della Shoah, il cinema se ne è occupato spesso anche in chiave satirica, cercando di distruggere il Male tramite la risata ironica e sbeffeggiante. Tanti sono gli esempi, molti dei quali senz’altro memorabili. Non erano queste le intenzioni anche di Roberto Benigni?

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Ci prova pure Vadim Perelman, un regista ucraino di origini ebree naturalizzato canadese, che con una produzione bielorussa firma un film che crea una situazione paradossale, a metà strada tra il drammatico e il surreale comico, in un campo di concentramento, dove sappiamo bene che i prigionieri cercavano giustamente di salvare la pelle con ogni espediente. In che maniera questa volta? Inventandosi letteralmente una lingua! Per salvare la vita. Immaginarla, crearla di sana pianta, e poi pericolosamente cercando di ricordarla bene, perché ogni errore, ogni passo falso poteva rivelarsi fatale.

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Gilles è un ebreo belga che, catturato dai nazisti nella Francia occupata, sfugge all’esecuzione sommaria, gridando di non esserlo, dice “Sono persiano” urla. Ed ecco allora il colpo di fortuna: il comandante capo delle cucine ha un sogno abbastanza curioso per il dopoguerra e cioè quello di trasferirsi a Teheran per aprire un ristorante. Il guaio è che non conosce la lingua e questa coincidenza la vuole sfruttare. Figuriamoci Gilles! Che però non la conosce neanche lui. Come approfittare dell’occasione fornita dal destino?

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Basandosi su un racconto di Wolfgang Kohlhaase, il regista adegua il racconto tragicomico in un romanzo più facile, popolare, tra inganni, paure, attimi di orrore e situazioni paradossali. Perfino con le difficoltà dell’ufficiale nei confronti dei colleghi, perché – come visto in situazioni simili – nasce quel tipo di rapporto anomalo e di attrazione tra carnefice e vittima.


 
 
 

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