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Lo squalo (1975)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 15 ago 2022
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 10 set

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Lo squalo

(Jaws) USA 1975 thriller 2h4’


Regia: Steven Spielberg

Soggetto: Peter Benchley

Sceneggiatura: Peter Benchley, Carl Gottlieb

Fotografia: Bill Butler

Montaggio: Verna Fields

Musiche: John Williams

Scenografia: Joe Alves

Costumi: Louise Clark, Robert Ellsworth, Irwin Rose


Roy Scheider: Martin Brody

Robert Shaw: Quint

Richard Dreyfuss: Matt Hooper

Lorraine Gary: Ellen Brody

Murray Hamilton: Larry Vaughn

Carl Gottlieb: Ben Meadows

Jeffrey Kramer: Leonard Hendricks

Susan Backlinie: Christine Watkins

Peter Benchley: intervistatore


TRAMA: La cittadina di Amity, situata su un'isoletta dell’oceano Atlantico, deve al turismo la sua prosperità. Una sera, una ragazza viene dilaniata da uno squalo enorme. Davanti alla denuncia del fatto, lo sceriffo Martin vorrebbe far sospendere le balneazioni, ma si trova di fronte l'opposizione del sindaco, preoccupato per gli inconvenienti economici di una tale decisione. Il mostro però colpisce ancora. Martin organizza una squadra con l'anziano pescatore Quint e con l'oceanologo Matt Hooper.


Voto 9


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Per tutta la sua carriera, si trattasse delle avventure dei mostri di Jurassik Park o del dramma sull'olocausto di Schindler's List, Steven Spielberg è rimasto fedele alla trasposizione di romanzi sul grande schermo e nel suo primo film di successo, un adattamento del thriller di Peter Benchley, questo Jaws, ha forse raggiunto il picco più alto della sua bravura. Con questo esempio di pulp fiction su uno squalo killer che terrorizza la costa est di Amity Island, Spielberg realizzò il primo grande film evento estivo. La pubblicità creò il passaparola prima ancora che il film uscisse e, quando arrivò nelle sale, il pubblico si mise in coda e lo andrò a vedere più di una volta.


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Una delle molte doti del film è il cast. Roy Scheider è perfetto nel ruolo del poliziotto di Amity, Martin Brody, che capisce per primo che i brandelli umani ritrovati sulla spiaggia sono una buona ragione per tenere i bagnanti lontani dall'acqua, ma che non riesce a convincere il sindaco della città. Fortunatamente ha dalla sua l'esperto Matt Hooper (che bravo Richard Dreyfuss!) e il vecchio lupo di mare Quint (un formidabile Robert Shaw). Tre uomini contro un tritacarne acquatico, con un finale che ricorda quello del Capitano Achab contro Moby Dick, in un film che non perde la sua tensione neanche la decima volta che si vede.


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Spielberg sostiene che, a causa del suo film, vi è un'intera generazione che prima di mettere i piedi nell'acqua ci pensa due volte. Giocando con il nostro timore dell'ignoto, egli costruisce la tensione mostrandoci lo squalo poco alla volta, al ritmo dell’implacabile colonna sonora di John Williams, in parte per tenerci sulle spine e in parte perché sa che lo squalo di gomma utilizzato nel film meno non si guarda da vicino e più può apparire reale.


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La destrezza hitchcockiana del regista (notoriamente ammiratore e amico del grande autore di gialli) è chiaramente all'opera in questo film che, grazie alla sceneggiatura di Carl Gottlieb, resta uno dei thriller più spaventosi mai girati. Senza mai dimenticare che il suo talento per il thriller lo aveva già dimostrato due anni prima con il teso e bellissimo Duel.


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A parte ciò ritengo necessario, a beneficio di chi non conosce la genesi del film e le peripezie della produzione e del backstage che paiono un libro di avventure, data anche la giovane età del regista riportare qui ciò che ho “studiato”, da cui ricavato quanto segue.

 

Ilaria Feole scrive così su FilmTV e lo riassumo.

“Era un pene. Un grosso pene con i denti” sintetizza Wendy Benchley, vedova di Peter, l’autore del romanzo, soggetto del film, ricordando la prima copertina con cui il bestseller fu pubblicato, nel 1974; solo alla seconda edizione in paperback fu coinvolto l’illustratore newyorkese Roger Kastel, autore del celeberrimo dipinto divenuto poi la locandina del film. La suggestione fallica del primo disegno, con lo squalo “eretto” che punta verso una fanciulla nuda, era ora mitigata dal clamoroso set di fauci (quelle del titolo originale, Jaws) che rendeva il predatore assai più temibile di un pene. E, in fondo, più che un film sulla paura di un pescione fallico, è una letterale sfida a chi “ce l’ha più lungo” tra uomo e animale, e soprattutto tra uomo e uomo, nella rivalità elettrica tra il lupo di mare Quint e lo scienziato Hooper, dinamica che, tra l’altro, si alimentava quotidianamente del sano astio reciproco tra gli attori Robert Shaw e Richard Dreyfuss, sul set. A Spielberg, a dire il vero, poco importava che lo squalo fosse un simbolo fallico, una metafora o l’incarnazione di una fobia: lui non aveva paura del pescecane, aveva solo paura di essere licenziato. Anche per questo, scaramanticamente, aveva battezzato lo squalo meccanico Bruce, lo stesso nome del suo avvocato dell’epoca. Sul set non era così facile capire il regista mentre la troupe e gli attori stavano a mollo nelle acque di Martha’s Vineyard con i megafoni del set che almeno una volta al giorno mandavano l’avviso “Lo squalo non funziona, lo squalo non funziona!”. Perché il povero Bruce si rivelò un meccanismo molto più complesso e delicato di quanto il visionario Spielberg avesse immaginato: realistico e terrificante, il gigantesco pupazzo finiva però spesso per ribaltarsi a coda in su, allungando a dismisura i tempi delle riprese. La vulgata vuole che proprio il malfunzionamento costrinse il giovane regista a rinunciare a inquadrare lo squalo in molte sequenze che suggeriscono la presenza del famelico predatore senza mostrarlo, e cosa è più spaventoso di ciò che non riusciamo a vedere?


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Se non è inquadrato, lo squalo può potenzialmente essere ovunque, seguendo una logica del tutto irrazionale e imprevedibile di attacco (proprio come l’imperterrito e altrettanto incomprensibile camion di Duel, che Spielberg stesso paragona al suo squalo) che spinge lo spettatore a temere ogni increspatura di quell’acqua apparentemente immota dove si affollano i turisti dell’immaginaria isola di Amity. Il regista ridusse al minimo il girato in “vasca” per restare concretamente al largo (era il primo film nella storia a essere girato per metà in mare, e proprio per questo risultò assai più dispendioso di quanto preventivato). Il direttore della fotografia, Bill Butler, che veniva dal set di La conversazione di Coppola, utilizzò una apposita water box per piazzare la macchina da presa a pelo d’acqua e ottenere le terrificanti presunte soggettive dello squalo verso le ignare membra dei bagnanti. Il mare non è amico delle produzioni hollywoodiane, e quando finalmente dagli altoparlanti si sentì un miracoloso “Lo squalo funziona!” non passò molto tempo prima che ad avere problemi fosse l’Orca, la mitica barca di Quint su cui si svolge l’atto finale del film: quando cominciò ad affondare, Richard Dreyfuss ricorda che la troupe cercava freneticamente di mettere in salvo lui e gli altri interpreti, mentre il tecnico del suono John Carter portava all’asciutto l’impianto audio al grido di “Fanculo gli attori, salviamo il reparto sonoro! “


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Tornando alla lettura del film, nel 1975, un giovane Steven Spielberg, appena ventottenne, cambiava per sempre il volto del cinema con questo film che, pur partendo da un romanzo popolare di Peter Benchley, si trasforma in un’epopea visiva, un racconto mitico che fonde thriller, western e allegoria politica. La sequenza d’apertura è già leggenda: una ragazza nuota di notte, la soggettiva del predatore ci avverte, ma lo squalo non si vede. Spielberg, in una mossa hitchcockiana, lascia che siano la musica di John Williams e l’oscurità a costruire la tensione. È il cinema che suggerisce, non mostra. E proprio in questo, il regista dimostra di aver assimilato la lezione di John Ford: l’uso del paesaggio e del non detto per raccontare l’anima. È il primo vero blockbuster, capace di incassi record e di fondare un nuovo modello produttivo hollywoodiano: un incasso stratosferico battuto solo due anni dopo da Guerre stellari. Ma è anche molto di più: è una riflessione sull’ordine sociale minacciato, sulla paura ancestrale, sulla costruzione di un gruppo umano che affronta il male.


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Quint, Hooper e Brody sono archetipi: il marinaio, lo scienziato, il poliziotto. Le loro dinamiche ricordano il cinema di Howard Hawks, mentre il personaggio di Quint, interpretato da Robert Shaw (in un ruolo leggendario), richiama il western classico, con echi dei grandi western d’una volta. Diceva di amarlo Fidel Castro, secondo il quale si trattava di una metafora del capitalismo, ma è soprattutto un grande romanzo americano trasformato in cinema. Ci sono Herman Melville e John Ford, appunto, o comunque il western con le sue tipologie. Una comunità minacciata, un consiglio cittadino che deve decidere come difendersi, un “mercenario” pronto a risolvere la situazione a modo suo. Anzi, si potrebbe andare oltre e affermare che Quint è un marinaio pirata! Non è menzionato nei crediti ufficiali, ma la mano di John Milius c’è e si sente. Eccome si sente!


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Poi, è anche una parabola biblica: lo squalo come Leviatano, incarnazione della paura infantile, del buio, dell’ignoto. Spielberg lo collega idealmente al camion del su accennato Duel, che è, a pensarci bene, un altro mostro senza volto. E proprio da quell’esordio nasce la fiducia della produzione: l’autore del libro Peter Benchley, impressionato, spinge per affidare la regia al giovane Spielberg, preferendolo a veterani come John Sturges! A tanti anni dall’uscita, resta un’opera perfetta. Un film analogico che sembra arrivare dal futuro, capace di fondere tensione, ironia e profondità emotiva. Un racconto epico che, come scrive il critico Rinaldo Censi, trova il suo cuore nella scena notturna in barca in cui si comportano come commilitoni in libera uscita: tre uomini, tre cicatrici, una storia condivisa. E un odio cieco, quello di Quint, nato dal trauma dell’Indianapolis, come racconta con un sorriso sarcastico. Un uomo che si porta dietro Hiroshima e il pescecane. E lo racconta alla sua maniera.

 

Siamo oltre ad un film qualsiasi, non è solo cinema: è mito!


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Riconoscimenti

Oscar 1976

Miglior montaggio

Miglior sonoro

Miglior colonna sonora

Candidatura miglior film

1976 - Golden Globe

Miglior colonna sonora

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura migliore regia

Candidatura migliore sceneggiatura



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