Piccolo corpo (2021)
- michemar

- 13 lug
- Tempo di lettura: 5 min

Piccolo corpo
Italia, Francia, Slovenia 2021 dramma 1h29’
Regia: Laura Samani
Sceneggiatura: Laura Samani, Marco Borromei, Elisa Dondi
Fotografia: Mitja Licen
Montaggio: Chiara Dainese
Musiche: Fredrika Stahl
Scenografia: Rachele Meliadò
Costumi: Loredana Buscemi
Celeste Cescutti: Agata
Ondina Quadri: Lince
Marco Geromin: il saggio Ignac
Giacomina Dereani: la brigantessa Lia
Anna Pia Bernardis: l’eremita del santuario
Angelo Mattiussi: l’operaio del carro
Luca Sera: il prete dell’isola
Teresa Cappellari: la curatrice Marla
Marzia Corinna Mainardis: la curatrice Corinna
Marisa Rupil: la curatrice Vanda
Ivo Ban: capo della miniera
Denis Corbatto: Mattia, marito di Agata
Cristina Chizzola: madre di Lince
TRAMA: Agata perde la sua bambina appena dopo il parto. Il battesimo non può essere fatto e l'anima della bambina è destinata al Limbo. Agata però viene a sapere che sulle montagne del nord pare ci sia un santuario dove è possibile resuscitare i bambini per un tempo limitato ma sufficiente a battezzarli. Agata si mette in viaggio con il corpo della figlia nascosto in una scatola. Durante il percorso incontra Lince, un ragazzo enigmatico, che conosce bene i luoghi e che le offre il suo aiuto, ma chiedendo in cambio il contenuto della scatola.
Voto 7,5

In una piccola isola del nord est italiano, in un inverno agli inizi del Novecento, la giovane Agata partorisce una bimba morta. La tradizione cattolica dice che, in assenza di respiro, la bambina non può essere battezzata. La sua anima è condannata al Limbo, senza nome e senza pace. Ma una voce arriva alle orecchie di Agata: sulle lontane montagne del nord pare ci sia un luogo dove i bambini vengono riportati in vita il tempo di un respiro, quello necessario per poter battezzarli. Agata lascia segretamente l'isola e intraprende un viaggio pericoloso attaccata a questa speranza, con il piccolo corpo della figlia nascosto in una scatola, ma non conosce la strada e non ha mai visto la neve in vita sua.
Appena iniziato il percorso che però non conosce, la giovane donna incontra Lince, un personaggio selvatico e curioso, ma che soprattutto sembra un maschio oppure no, di certo è solitario: dice, dopo averla interrogata sui motivi per cui è nel bosco e dove mai vada, che conosce bene il territorio e saprebbe indicarle la strada e le offre il suo aiuto chiedendo come ricompensa la misteriosa scatola. Nonostante la diffidenza reciproca e dopo la promessa (chiaramente falsa) di Agata di dividerne il contenuto mai rivelato, inizia un'avventurosa marcia forzata, faticosa e difficoltosa, resa maggiormente ardua dalle asperità del luogo: boschi, ripide salite, assenza di cibo e acqua, stanchezza indicibile. Marcia in cui la mancanza di fiducia della mamma mancata verso quello sconosciuto rende più stanchevole anche dal punto di vista mentale, ma per fortuna il coraggio indomito di Agata dettato dalla assoluta volontà di raggiungere lo scopo prefissato, la sua necessità di affidarsi all’esperienza di Lince e l'amicizia che inevitabilmente nasce, permettono a entrambi di avvicinarsi l’una all’altro.
Quando giungeranno, dopo diversi giorni e dopo aver percorso il tunnel di una pericolosissima miniera – a quanto pare stregata per le donne, che se fossero entrate non sarebbero più uscite vive, come racconta la nera leggenda in merito –, nella località sperduta della chiesa in cui vive la donna preposta a fare il miracolo dell’attimo di vita per il battesimo, avranno compiuto un’impresa come quella dei grandi esploratori. Agata stessa è quasi incredula per quello che ha fatto ma non ha il tempo di gioire: deve finire il suo lavoro e far battezzare la piccola per farla andare uscire dal Limbo eterno. Tutto ciò può sembrare il cuore del film e forse lo è ma quello che conta davvero e che fa apprezzare il bellissimo esordio di Laura Samani è il personaggio di Agata e della sua personalità tenace e volitiva, legata a credenze e religione; quindi, apparentemente antiquate e superate della sua gente, ma anche ribelle. Aveva tanto atteso con gioia e trepidazione l’arrivo della bimba e la notizia del corpicino senza vita appena messa al mondo l’aveva distrutta e nello stesso tempo dato la forza fisica e mentale per affrontare il proibitivo viaggio. A nulla era valsa l’opposizione del marito Mattia, come quello dei parenti e delle donne che l’avevano accompagnata in riva al mare in una processione propiziatoria dedicata alla Vergine Maria. Il loro è un piccolo villaggio di poveri abitanti che sopravvivono con il poco della pesca e si affidano nelle mani della Divina Provvidenza. L’arrivo della piccola sarebbe stato salutato come una bella novità in una vita magra e sacrificata. Adesso, l’unico scopo vitale è quello di portare l’anima della bambina in Paradiso.
Data anche la difficoltà e le asperità dei luoghi da percorrere, diventa essenziale e senza alternative l’utilizzo, da parte della regista, della cinepresa a spalla, che sballottola vicinissima ai volti dei tanti personaggi che abitano la storia. I primi piani di Agata sono dominanti, con le sue folte sopracciglia e gli occhi determinati, con il sorriso che sfiorisce dopo la tragedia, con la ferrea volontà di portare a termine il suo progetto disegnato sul tondo viso che guarda sempre avanti. Non si gira mai indietro, infatti, ha davanti a sé solo la direzione del nord, lì, lontano dove si ergono le erte montagne sulle quali, vicino ad un lago ormai ghiacciato dall’inverno, c’è la chiesa dove compiere il destino della figlioletta morta. Il film è qui, sul viaggio, sulla resistenza fisica che ha pure dei limiti, che quando viene meno la fa crollare, insanguinata tra le gambe non avendo mai avuta la necessaria assistenza dopo il parto. È qui, in questi difficilissimi frangenti che si rivela determinante la presenza di Lince, che scopriremo meglio come persona nel momento di maggiore difficoltà, quando chiede aiuto alla mamma che abita tra quelle montagne. È qui che questo personaggio misterioso si rivela decisivo e importante. È qui che il film, che fino a quel momento era sembrato avventuroso e arcaico nelle abitudini dei personaggi, prende una piega onirica e l’acqua gelida del lago diventa il contenitore di un nuovo limbo. Un limbo amniotico che accoglie e non restituisce nulla.

Il finale è idilliaco e segna la fine della fatica, finale che porta all’unione eterna tra madre e figlia, che celebra il legame indissolubile della natura della carne che si perpetua nella carne. Inutile e sprecato dire ancora una volta che solo una donna poteva avere la mano giusta per un film di questo tipo: è sbagliato perché è scontato, perché nessun uomo sarebbe in grado di immaginare una maternità come questa e un carattere come quello di Agata. Oltre alla considerazione che bisogna necessariamente essere nati nei luoghi friulani della marina per capire le antiche tradizioni locali, per poter fotografare con le giuste tonalità e profondità quei paesaggi nudi e acquatici, piatti come un mare calmo che può dare cibo, lavoro ma anche disgrazie. E ci vuole coraggio a girare un film del genere, per chi lo scrive e lo gira, per chi lo finanzia e crede nel progetto.

Film che si fa guardare incuriositi e ammirati. Ammirati per la regia e per i due personaggi centrali, perché Celeste Cescutti (Agata) e Ondina Quadri (Lince) sono bravissime. E se la prima è la protagonista, la seconda non si dimentica, in ogni momento è capace di impadronirsi dello schermo.
E che esordio per la triestina Laura Samani!

Riconoscimenti
David di Donatello 2022
Migliore regista esordiente
















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