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Ronin (1998)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 20 set
  • Tempo di lettura: 3 min
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Ronin

UK, USA 1998 thriller 2h2’

 

Regia: John Frankenheimer

Sceneggiatura: J.D. Zeik, Richard Weisz (alias di David Mamet)

Fotografia: Robert Fraisse

Montaggio: Tony Gibbs

Musiche: Elia Cmiral

Scenografia: Michael Z. Hanan

Costumi: May Routh

 

Robert De Niro: Sam

Jean Reno: Vincent

Natascha McElhone: Deirdre

Stellan Skarsgård: Gregor

Sean Bean: Spence

Skipp Sudduth: Larry

Michael Lonsdale: Jean-Pierre

Jonathan Pryce: Seamus O’Rourke

Féodor Atkine: Mikhi

Katarina Witt: Nataša Kirilova

 

TRAMA: Un ex agente dei servizi segreti statunitensi va alla ricerca di una misteriosa valigetta contesa da russi e irlandesi.

 

VOTO 7


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Cinque uomini, privi di contatti tra loro ed esperti in armi, spionaggio e operazioni segrete, rimasti senza lavoro dopo il processo di distensione seguito alla fine della guerra fredda, si incontrano in un vecchio magazzino situato nel cuore di Parigi. I cinque sono stati assoldati per la loro esperienza passata: Sam (Robert De Niro) è esperto di armamenti e strategie militari, Larry (Skipp Sudduth) è un abilissimo pilota, Spence (Sean Bean) è uno specialista in armi di ogni tipo, Gregor (Stellan Skarsgård) è competente nei sistemi elettronici che una volta formavano il blocco sovietico, Vincent (Jean Reno) si occupa del coordinamento dell’operazione. C’è poi una donna, Deirdre (Natascha McElhone), l’unica ad avere un contatto con i mandanti. L’obiettivo è rubare una valigetta protetta da sofisticati sistemi di sicurezza.



In un’epoca in cui il cinema d’azione sembrava ormai dominato da effetti digitali e montaggi frenetici, questo film si impone come un ritorno al rigore artigianale, alla tensione costruita sul dettaglio, alla fisicità del pericolo. John Frankenheimer, veterano del thriller politico e del cinema muscolare, firma un’opera che è al tempo stesso un omaggio al noir europeo e una riflessione post guerra fredda sull’identità e la lealtà.



Il titolo richiama i samurai senza padrone e i protagonisti, ex agenti segreti, mercenari, specialisti, sono proprio questo: uomini sradicati, professionisti del rischio, legati solo al proprio codice. La trama ruota attorno a una misteriosa valigetta, ma il vero motore narrativo è il sospetto: ogni alleanza è provvisoria, ogni gesto può nascondere un tradimento. In questo gioco di specchi, Robert De Niro e Jean Reno incarnano con sobrietà e intensità due figure complementari: il cinico analista e il leale combattente.



Il grande John Frankenheimer, al suo penultimo lavoro, dirige con mano ferma, evitando ogni compiacimento. Gli inseguimenti automobilistici, girati tra le strade di Parigi e Nizza con stunt reali e cinepresa incollata al cofano, sono tra i più memorabili del genere: non spettacolo, ma tensione pura, dove ogni curva è una scelta tecnica di alto livello. La regia privilegia la chiarezza spaziale, il montaggio è asciutto, la fotografia opaca evoca un’Europa stanca, segnata dal disincanto.



Ma non è solo azione. È anche una meditazione sul passato che non si può raccontare, sull’onore che sopravvive al fallimento delle ideologie. I personaggi non hanno biografie, solo competenze e ferite. E proprio in questa sottrazione, in questo silenzio carico di significato, il film trova la sua forza.


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Thriller d’azione di grande fattura degno della firma del suo autore: John Frankenheimer. Location di effetto, inseguimenti da antologia come piacciono a lui, girate secondo la filosofia tipica del grande regista, ovvero rigorosamente dal vivo, a velocità reale e sul luogo, escludendo così l’intervento delle tecniche digitali e della postproduzione a favore di un complesso lavoro degli stuntmen e del montaggio. Ottimo cast al servizio di un regista che ricorderemo sempre.

 


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