Sacco e Vanzetti (1971)
- michemar

- 28 set
- Tempo di lettura: 4 min

Sacco e Vanzetti
Italia, Francia 1971 dramma biografico 2h5’
Regia: Giuliano Montaldo
Sceneggiatura: Fabrizio Onofri, Giuliano Montaldo
Fotografia: Silvano Ippoliti
Montaggio: Nino Baragli
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Aurelio Crugnola
Costumi: Enrico Sabbatini
Gian Maria Volonté: Bartolomeo Vanzetti
Riccardo Cucciolla: Nicola Sacco
Cyril Cusack: Frederick Katzmann
Rosanna Fratello: Rosa Sacco
Geoffrey Keen: giudice Webster Thayer
Milo O’Shea: avvocato Fred Moore
William Prince: avvocato William Thompson
Claude Mann: Eddie
Armenia Balducci: Virginia Vanzetti
TRAMA: La storia di due anarchici che accusati e ingiustamente processati per omicidio quando la motivazione reale era quella delle loro convinzioni politiche.
VOTO 8

Purtroppo, la vicenda storica è tristemente nota. Nel 1920, negli Stati Uniti, a seguito di un attentato dinamitardo attribuito al movimento anarchico ma mai rivendicato, vengono rastrellati numerosi italiani. Sacco e Vanzetti sono trattenuti con l’accusa di rapina a mano armata e omicidio. Il processo, pur evidenziando la loro innocenza, mette in mostra al contempo la volontà delle autorità statunitensi di compiere un gesto di rappresaglia politica, condannando a morte in maniera esemplare i due anarchici italiani. A nulla serviranno le numerose mobilitazioni della comunità locale, non solo quella italiana, e i numerosi comitati di liberazione. Vanzetti inoltrerà invano domanda di grazia, pentendosi successivamente, e lodando il coraggio di Sacco, che non piegandosi alla richiesta di clemenza, dà invece piena testimonianza della propria innocenza. I due verranno condannati alla sedia elettrica nel 1927.

Ci sono film che non si guardano soltanto: si attraversano e ci fermano per riflettere con il cuore triste. Il film di Giuliano Montaldo, che è quasi una dedica appassionata, è uno di questi. Non è un’opera che si limita a raccontare, ma che interroga, ferisce, e infine lascia un segno molto forte. Il regista non costruisce un dramma storico: scolpisce una lapide che vibra ancora, come se il tempo non avesse mai avuto il coraggio di chiudere davvero quella ferita.

La regia è misurata e controllata (mai farsi travolgere, i grandi registi lo sanno bene), ma non neutra. Ogni inquadratura è un atto di rispetto, ogni silenzio un grido trattenuto. Montaldo non cerca il pathos facile, non indulge nel melodramma: preferisce la compostezza, la dignità, la lentezza che permette allo spettatore di ascoltare davvero. E in quell’ascolto, si insinua il dolore.

La livida fotografia di Silvano Ippoliti sembra trattenere la luce come si trattiene il fiato davanti all’ingiustizia. I volti non sono mai semplici volti: sono maschere di resistenza, di paura, di speranza che si consuma. La musica - quella voce di Joan Baez che si fa preghiera - non accompagna, ma suona solenne, commovente: un inno contro le ingiustizie. Non c’è retorica, non c’è compiacimento. C’è solo una domanda che si fa sempre più urgente: cosa resta, quando la verità non basta? Non serve offrire risposte, le sappiamo e se mancano ci tocca cercarle. È più che un film: è un atto morale.

La perla contenuta nel contenitore del film è la superba interpretazione dell’emozionante Riccardo Cucciolla nel ruolo di Sacco e soprattutto dello stratosferico Gian Maria Volontè, di cui ci si aspettava tanto ma mai che potesse rendere il suo Vanzetti memorabile. La sua arringa finale è nella storia del cinema italiano, è un discorso morale oltre che politico, è un grido che raggiunge qualunque animo umano. Commovente come raramente succede in un film.

Montaldo firma un’opera che non si consuma con la visione, ma che continua a vivere nel pensiero, nel dubbio, nella coscienza. È cinema che non teme di essere scomodo, perché sa che la memoria non è mai comoda. E forse, proprio per questo, è necessario. E se qualcuno dice o scrive che si tratta una vicenda di cattiva giustizia dice il falso per ignoranza o malafede, è fuori pista: è un duplice omicidio di Stato, voluto e deciso per dare una lezione e spaventare.

In appendice un ricordo del buon Montaldo, persona di grande senso artistico, che amava snocciolare aneddoti. L’affetto e la stima che aveva per Gian Maria Volontè erano infiniti e lui raccontava spesso storie che spiegavano l’impegno totale che l’attore ci metteva ogni volta, in ogni film. Come quella volta in cui, girando Giordano Bruno, mentre di notte il regista e la moglie dormivano in albergo, lui fece irruzione urlando: “Ma come, domani mattina mi brucerete e voi dormite tranquillamente?”. Poi crollò su un divano e si addormentò.
E non solo.

Mentre girava questo film (e l’aneddoto viene a fagiolo), Montaldo si accorse che, nella sequenza del celebre discorso, una delle due guardie che stavano accanto all’attore piangeva. Fermò tutto e quella comparsa gli bisbigliò: “A dotto’, me scusi, ma ‘sto Volontè me commuove davero!”
In una frase genuina l’essenza del film e della triste storia di due grandi uomini semplici, sinceri, coraggiosi ma soprattutto coerenti, cosa non facile.

Breve estratto dell'arringa:
“Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.”
Bartolomeo Vanzetti
Riconoscimenti
Cannes 1971
Premio per la miglior interpretazione maschile a Riccardo Cucciolla
Nastro d’Argento 1972
Miglior attore protagonista Riccardo Cucciolla
Miglior attrice esordiente Rosanna Fratello
Miglior colonna sonora




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