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Shorta (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 giu 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 24 ott

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Shorta

Danimarca 2020 azione/poliziesco 1h48’


Regia: Frederik Louis Hviid, Anders Ølholm

Sceneggiatura: Frederik Louis Hviid, Anders Ølholm

Fotografia: Jacob Møller

Montaggio: Anders Albjerg Kristiansen

Musiche: Martin Dirkov

Scenografia: Gustav Pontoppidan

Costumi: Sarah Thaning


Jacob Lohmann: Mike Andersen

Simon Sears: Jens Høyer

Arian Kashef: Osman

Tarek Zayat: Amos Al-Shami

Issa Khattab: Iza

Özlem Saglanmak: Abia


TRAMA: Jens e Mike, due poliziotti, sono di pattuglia nel ghetto di Svalegården dopo la notizia della morte del diciannovenne Talib Beh Hassi. Ciò che è accaduto mentre il ragazzo era in custodia da parte della polizia rimane un mistero ma ben presto nel quartiere salgono rabbia e tensione, miste a un forte desiderio di vendetta. I due agenti si ritroveranno così a dover lottare con le unghie e con i denti per trovare una via di uscita e salvare la loro pelle.


Voto 7


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Il 25 maggio del 2020 la polizia americana ferma George Floyd e un agente, tenendolo schiacciato al collo, lo soffoca sollevando violente reazioni del popolo nero. Si stenterà a credere, ma quando il duo registico danese Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm avevano iniziato a scrivere la sceneggiatura di questo film adrenalinico nel 2015 i drammatici fatti americani erano ancora lontani nel tempo. La trama inizia infatti proprio con un avvenimento identico: la polizia danese blocca un ragazzo di origine araba ritenuto pericoloso e, almeno stando ai primi notiziari, lo uccide soffocandolo proprio nella stessa maniera, scatenando una serie di feroci proteste dei tanti ragazzi magrebini della città. Siccome il responsabile della stazione della polizia, quel giorno, teme il comportamento degli agenti più rissosi e violenti, decide di affiancare uno di questi, Mike, con un altro più quieto e riflessivo, Jens, a cui viene affidato il compito di tenerlo a bada affinché gli episodi non si ripetano.


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Dopo il primo impatto interlocutorio tra i due, dove risulta evidente la differenza dei caratteri, i poliziotti decidono di fare un giro di perlustrazione nel ghetto arabo di Svalegården (in realtà è un luogo di fantasia, non precisamente localizzato nel territorio della nazione baltica), una sorta di banlieue formata da un vasto agglomerato di palazzoni collegati da lunghi e bui corridoi, piazze, locali e negozi di vario genere, totalmente abitato da famiglie immigrate dal Nordafrica. Come è intuibile, è una zona estremamente pericolosa dati gli avvenimenti appena successi e la loro decisione appare chiaramente avventata. Mike ha l’espressione di sfida e non ha paura di addentrarsi nel ghetto, mentre Jens, serioso e preoccupato, riflette sul suo compito di moderatore. Ed infatti, appena provocati dai giovani che li osservano tra quelle strade, inizia la sfida, un po’ psicologica e tanto fisica. Tensione, provocazione, intimidazione, da entrambi i fronti, mentre la radio di bordo continua a chiamare rinforzi in diverse parti della città, dove gli irrequieti facinorosi assaltano truppe di polizia. Alla prima occasione, i due agenti sono costretti a fermare Amos, un ragazzo magrebino che li ha provocati: dopo un faticoso inseguimento, viene ammanettato e caricato nell’auto per essere portato nella stazione di polizia, ma uscire da quel grande ghetto inizierà a diventare più che un’impresa, ma un compito quasi impossibile. Le bande locali li inseguono, anzi meglio, li braccano come animali che non trovano una tana ove rifugiarsi. Da inseguitori Mike e Jens si ritrovano inseguiti.


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Svalegården è un dedalo di viuzze, affacci, barriere, cortili, corridoi, e a volte i tre – Amos è sempre ammanettato - sono allo scoperto, altre volte sono protetti da bassi soffitti ma ad ogni angolo spuntano gli avversari pronti a colpire con sassi, molotov, pugni. Dal volto dei due agenti la sicurezza è sparita, maggiormente perché, una volta lanciato l’allarme e chiesto aiuti, capiscono che sono e rimarranno abbandonati al loro destino e alla loro esperienza. Troppe sono in città le pattuglie in difficoltà e nessuno può dar loro una mano per venirne fuori sani e salvi. La tensione è alle stelle ed inevitabilmente esplode il dissidio tra i due in uniforme per le diverse opinioni sui fatti e sulle scelte. Tra Jens e Amos, che non è fondamentalmente un cattivo ragazzo, nasce un’intesa che dà fastidio all’altro e la lite si trasforma in rissa. Scegliendo strade diverse, sempre prigionieri del ghetto, avranno due destini differenti.


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Shorta (polizia in arabo) è odiatissima anche dagli abitanti che, paradossalmente, non si sentono protetti né dalle bande né dagli agenti, come carne innocente che vive nella terra di mezzo, con la consapevolezza che la vita tranquilla non l’hanno trovata neanche lontano dalla miseria dei paesi che hanno lasciato tanti anni prima. Ma se sono spaventati dalla violenza dei rivoltosi, lo sono ancora di più dalla prepotenza della shorta, che spesso prima abusa e poi scappa via. Ciò che avevamo visto nel bellissimo Les Misérables di Ladj Ly (recensione) sembra ripetersi ma se lì la polizia era in forze e spadroneggiava pericolosamente tra le banlieues parigine, qui i due sono troppo soli e la salvezza diventa pian piano un miraggio. Sembra di essere tornati ai film degli assalti alle stazioni di polizia di carpenteriana memoria, con la sola differenza che la caccia è all’aperto, al massimo nei sotterranei dei condominî, ma la rabbia feroce che anima i rivoltosi è la stessa. E fa paura, anche ai coraggiosi poliziotti. Ancora un omaggio cinefilo i due registi lo dedicano ad un film di uguale ambientazione, L’odio di Mathieu Kassovitz, quando su uno sfondo si nota un murale raffigurante un uomo che cade accompagnato dalla frase "jusqu'ici tout va bien" ("finora, tutto bene"), come diceva in quel film il personaggio di Vincent Cassel.


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Non c’è un attimo di sosta, non ci si riposa un momento, soprattutto per i due che vedono arrivare il buio della notte e la situazione non è mai migliorata, al massimo va peggiorando con lo spaventoso silenzio che si avverte in alcuni minuti, con le moto rombanti degli aggressori che piombano all’improvviso. È una trappola che sa di gabbia, di morte, di luogo senza uscita, lontano dagli aiuti (im)possibili. Un’atmosfera fatta di tensione tangibile, con la sensazione di un allarme costante e la mente vacilla come il fisico. L’errore di fondo è stato quello di pensare di poter entrare nel ghetto e poterne uscire a piacimento. Invece Mike il violento e Jens il calmo sono ostaggi di un mondo che evidentemente non conoscevano bene ed ora ne pagano il prezzo.


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I due attori Jacob Lohmann e Simon Sears, che interpretano i due poliziotti, hanno affrontato un lungo campo di addestramento con il consulente tecnico Dennis Petersen prima dell'inizio delle riprese, sono molto bravi e recitano con vigore e presenza fisica notevoli, mentre i due registi Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm, aiutati dall’ottimo montaggio di Anders Albjerg Kristiansen, hanno piantato una bandiera nel loro esordio nel lungo che sventola forte, che sicuramente vedremo ancora, la stoffa c’è. E il film pure!


Presentato a Venezia, ha riscosso 11 premi e 24 candidature internazionali.



 
 
 

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