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Sotto corte marziale (2002)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 ott
  • Tempo di lettura: 3 min
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Sotto corte marziale

(Hart’s War) USA 2002 dramma carcerario/guerra 2h5’

 

Regia: Gregory Hoblit

Soggetto: John Katzenbach (romanzo)

Sceneggiatura: Billy Ray, Terry George

Fotografia: Alar Kivilo

Montaggio: David Rosenbloom

Musiche: Rachel Portman

Scenografia: Lilly Kilvert

Costumi: Elisabetta Beraldo

 

Bruce Willis: colonnello William A. McNamara

Colin Farrell: tenente Thomas W. Hart

Terrence Howard: tenente Lincoln A. Scott

Cole Hauser: sergente Vic W. Bedford

Marcel Iureș: colonnello Werner Visser

Linus Roache: capitano Peter A. Ross

Vicellous Reon Shannon: tenente Lamar T. Archer

Sam Jaeger: capitano R.G. Risk

Scott Michael Campbell: caporale Joe S. Cromin

Joe Spano: colonnello J.M Lange

Sebastian Tillinger: soldato Bert D. Codman

Rick Ravanello: maggiore Joe Clary

Sam Worthington: caporale B.J. “Depot” Guidry

 

TRAMA: Uno studente di giurisprudenza, tenente durante la Seconda Guerra Mondiale, viene catturato e gli viene chiesto di difendere un prigioniero di guerra nero accusato falsamente di omicidio.

 

VOTO 6


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1944: Tommy W. Hart (Colin Farrell), giovane tenente figlio di un senatore, arriva in un campo di prigionia con l’onta di aver svelato ai tedeschi, sotto tortura, l’ubicazione di alcuni importanti depositi di armi nelle Ardenne. Dopo l’omicidio di un soldato americano cinico e razzista, del quale viene incolpato un militare nero del campo, il tenente Lincoln A. Scott (Terrence Howard), Hart ottiene di svolgere un regolare processo: la sua diventa ben presto una lotta contro i pregiudizi dei suoi commilitoni e soprattutto contro il colonnello McNamara (Bruce Willis), presidente dell’improvvisata corte marziale. Ben presto, però, Hart scopre che le cose non sono così semplici, e che il processo (il cui esito pare scontato sin dall’inizio, con la condanna del soldato di colore) serve solo a nascondere un progetto di evasione collettiva.


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Gregory Hoblit è di nuovo alle prese con un legal thriller che, ambientato in un campo di prigionia tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, intreccia il genere bellico con quello giudiziario, raccontando la storia di un giovane ufficiale americano catturato dai nazisti e coinvolto in un processo militare interno tra prigionieri. Il colonnello McNamara, figura autoritaria e ambigua, guida le dinamiche del campo con rigore e segreti.


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Fuor di dubbio che la sceneggiatura sia ben costruita, con dialoghi incisivi e una trama che si sviluppa con ritmo e coinvolgimento, almeno fino ad un certo punto, ed è anche certo che il regista Gregory Hoblit, noto per Schegge di paura e Frequency - Il futuro è in ascolto e capace di mantenere la tensione, è meno brillante rispetto ai suoi lavori precedenti. Il film è apprezzabile per la fotografia ed il montaggio curato, che contribuiscono a creare un’atmosfera claustrofobica e carica di sospetto.



Dal punto di vista delle interpretazioni, Colin Farrell merita consensi per la sua prova intensa e nello stesso tempo misurata, dimostrando una maturità attoriale oltre il suo consueto ruolo da bad boy. Bruce Willis, pur mantenendo il suo carisma, mantiene un atteggiamento più contenuto, lasciando spazio al giovane protagonista. Terrence Howard, nel ruolo del tenente afroamericano accusato ingiustamente, offre una performance toccante che aggiunge profondità al tema razziale, che è centrale nella narrazione.


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Tratto da un romanzo dello scrittore John Katzenbach, pur non essendo un capolavoro, riesce a comunicare un messaggio morale chiaro, affrontando temi come l’onore, il sacrificio e la giustizia in tempo di guerra. Resta perciò un film dignitoso e coinvolgente, con buoni momenti di tensione ben orchestrati e un cast solido, anche se non privo di cliché del genere. Ha il pregio di partire molto bene attirando non poco l’attenzione, poi purtroppo subentra il difetto di un calo di tenuta e qualche momento molto meno coinvolgente, con dialoghi retorici e colpi di scena telefonati. In compenso c’è il colpo di scena finale.

Siamo ancora una volta davanti ad un war movie dell’America che si autocelebra.

 


 
 
 

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