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Steve (2025)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 6 ott
  • Tempo di lettura: 7 min
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Steve

Irlanda, UK 2025 dramma 1h33’

 

Regia: Tim Mielants

Soggetto: Max Porter (romanzo “Shy”)

Sceneggiatura: Max Porter

Fotografia: Robrecht Heyvaert

Montaggio: Valérie Deseine

Musiche: Geoff Barrow, Ben Salisbury

Scenografia: Paki Smith

Costumi: Alison McCosh

 

Cillian Murphy: Steve

Tracey Ullman: Amanda

Jay Lycurgo: Shy

Priyanga Burford: Kamila

Emily Watson: Jenny

Luke Ayres: Jamie

Little Simz: Shola

Joshua J Parker: Riley

Tut Nyuot: Tarone

Marcus Garvey: Geoff

Ben Lloyd-Hughes: Julian

Douggie McMeekin: Andy

Araloyin Oshunremi: Benny

Roger Allam: Hugh

Joshua Barry: Ash

Ahmed Ismail: Nabz

Charles Beaven: Henry Harvey

Leanne Everitt: Helen

Archie Fisher: Cal

Lois Haidar: Holly

Shelley Longworth: Sarah

Tom Moya: Paul

Tilly Walker: Claire

 

TRAMA: Le ventiquattro ore più cruciali nella vita di Steve, preside di una scuola in cui vengono spediti gli studenti a cui viene offerta un’ultima possibilità di rigare dritto prima di essere definitivamente espulsi dal sistema. Steve lotta con tutto se stesso per cercare di tenere a bada i suoi studenti, ma al contempo è lui stesso alle prese con una stabilità mentale che peggiora di giorno in giorno.

 

VOTO 7


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Normalmente, nella società in cui viviamo, chi si occupa dei giovani “interrotti”? chi se ne preoccupa, chi fa il possibile per recuperarli e non perderli definitivamente? I giovani di questo istituto-scuola sono un gruppo di ragazzi che ci appaiono irrecuperabili, sbandati, irrefrenabili, impossibili da tenere a bada. Forse è inutile. Eppure, se la società li lascia sono persi per sempre, diventano mine vaganti che possono far male a loro stessi e agli altri, sia dal punto di vista fisico che quello psicologico. Ma chi si preoccupa per far comprendere loro che una vita è possibile? No, lo Stato mai, solo sparuti volontari oppure professionisti malpagati prendono a cuore il loro stato e li vedono come “persone” che hanno bisogno, che seguendoli danno loro un barlume di speranza, anche momentaneo.


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Da un romanzo di Max Porter dal titolo del nome di uno dei ragazzi, Shy, scrittore che ne stila anche la sceneggiatura (nessuno avrebbe potuto adattare il testo allo schermo meglio di lui), l’apprezzato regista belga Tim Mielants trae un drammatico racconto che dura 24 ore vibranti e fibrillanti, che non conosce neanche un solo secondo di pausa, portandoci la tragica esistenza del giovane del titolo del libro ma ponendo in primo piano e aggiudicandogli il titolo del film, il sofferto direttore dell’istituto Steve, un magnifico, splendido Cillian Murphy, per la seconda volta consecutiva nel cast dopo Piccole cose come queste. Con la cinepresa puntata addosso a chi non ha più scampo e a chi non ha ancora mollato, non nervosa ma scattante per stare alla pari con il ritmo incessante degli avvenimenti e dei movimenti dei personaggi.


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L’istituto è abitato da un nutrito gruppo di adolescenti ai margini della società affetti da seri problemi mentali: violenza, sofferenza intima, depressione, passato familiare da dimenticare ma che non si riesce a mettere da parte, traumi vecchi e recenti, genitori che non hanno aiutato, almeno a sufficienza. Giovani con difficoltà sociali e comportamentali. Una gamma completa che li stravolge e li mette in continua rivalità. Ma fin quando sono lì, i più che volenterosi insegnanti non fanno un passo indietro e lottano quotidianamente per aiutarli e proteggerli dai coinquilini ed a se stessi: Steve, in primo luogo, che spinge ed esorta gli altri a non mollare, ma anche l’ottima e paziente Amanda (Tracey Ullman), suo braccio destro e la neoassunta Schola (Little Simz) sempre in dubbio nella necessità di sentirsi all’altezza del difficile compito. Loro, assieme agli altri, con anche la psicologa Jenny (Emily Watson) sono sempre lì, pronti ad accorrere al bisogno, in aula a tentare di tener buoni gli allievi ed insegnare qualcosa che li distragga, li tenga buoni e interessati e che magari completi la loro cultura, che ormai hanno messo da parte da troppo tempo. Ma basta una qualsiasi situazione per scatenare risse, per far scoppiare la scintilla del litigio o per vanificare tutti gli sforzi fatti fino ad allora.


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Due notizie sconvolgono il giorno in esame: l’arrivo di una troupe televisiva che deve realizzare un servizio sulla scuola e la ferale notizia che lo Stato ha deciso di non garantire più le sovvenzioni necessarie per sopravvivere. La prima porta uno scompiglio invasivo ed invadente, la seconda getta nello sconforto Steve e la fidata Amanda: che fine faranno adesso i ragazzi? E loro, che hanno dedicato ogni minuto della loro esistenza alla tenuta psichica e all’assistenza, cosa faranno non più pagati dopo essersi annientati nel tremendo compito? Chi li aiuterà, ora? Dove andranno? Sembra che il mondo civile non ascolti, non sia interessato. La TV che è arrivata per i corridoi e le aule, vede, registra, ma porterà a conoscenza del pubblico quello che avviene? L’occhio delle telecamere registra ma non raccoglie l’essenza, trasmetteranno ma non “vede” nulla, saranno solo filmati per riempire un palinsesto.


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I ragazzi hanno bisogno di essere salvati ma il preside Steve non è da meno: ha una famiglia ma a casa, lui vive praticamente nell’edificio posto nella campagna della Cornovaglia dove affoga nell’alcol e nella disperazione personale tutta la sua esistenza tormentata. Un sopravvissuto come quegli altri che assiste. Come Shy (Jay Lycurgo), turbato dalla violenza che abita in sé e che ha indotto i genitori a rifiutarlo, stanchi di trovarselo in casa in quella maniera. Lui vorrebbe essere migliore ma non ce la fa da solo a superare i disagi ed il ricordo delle parole della madre che lo ha espulso dalla sua vita. Intanto, è difficile capire chi stia peggio tra Steve e Shy. L’unica differenza è che il primo è adulto e maturo ed è cosciente di stare a rovinarsi la vita con l’alcol e qualche sostanza più forte; mentre l’altro è affetto dal disturbo che lo sta conducendo ad una decisione drastica e definitiva: ecco perché ha raccolto nella sua camera tanti sassi con cui riempire lo zaino, che appesantito così lo può tenere sul fondo del fiume vicino.


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Se è Shy il personaggio del libro, Steve lo è del film: è un uomo che trasporta dentro un peso esistenziale enorme, è un uomo stanco, che però trova sempre la forza, con le unghie e con i denti, di non far crollare l’ultimo rifugio di questi ragazzi abbandonati da tutti, parenti e società. Il suo lavoro non è solo una missione, ma anche un modo per restare a galla lui stesso, non solo loro. Ed allora eccolo intervenire per gestire le crisi nelle aule, frenare le sedie che volano, gli insegnanti che si arrendono, ed infine quella maledetta troupe televisiva che trasforma la scuola in uno spettacolo da fruire come un programma qualsiasi mentre loro si consumano. Il suo fallimento e quello di chi ha bisogno di lui viaggiano di pari passo, scendono e risalgono la china, quando ha le crisi non riesce neanche ad avere il tempo per guardarsi dentro, che succede qualcosa e si deve mettere da parte per servire alla sua missione. Anzi, magari fosse solo missione: è disperazione.


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Shy è in fuga da se stesso, Steve è prigioniero. E quando il primo sparisce di notte, il secondo sa che lo deve cercare disperatamente, perché salvare lui vuol dire salvarsi, dare un senso all’esistenza. Due la scene più drammatiche, ammesso che si possa fare una selezione: quando Steve scende nello scantinato dove ha nascosto le bottiglie a lui care e ha finalmente il momento per scaricare la tensione con un urlo liberatorio, e quando Shy scende lentamente nel guado del fiume con lo zaino in spalla, conscio, come nei tanti momenti di lucidità che lo attraversano, di ciò che sta facendo, convinto che sia la soluzione migliore per tutti. Perché nessuno, tranne l’amico e insegnante Steve, che adesso non gli basta più, lo può aiutare ad uscirne. Il caos emotivo in cui vive non gli ha permesso di stare al mondo. Non vorrebbe farlo, amerebbe vivere, ma come una persona normale, come gli altri che sono fuori dalla scuola, ed invece, con l’animo in pena, si avvia verso il centro del letto del fiume. Steve ne uscirà pieno di fango e stremato, ma non trionfante come un qualsiasi salvatore, piuttosto come una delle mille cose che fa solitamente per tenere assieme la baracca ignorata dallo Stato. Lui urla mentre Amanda si rompe nel pianto. Immaginando la loro sconfitta che però non è la loro ma di chi dovrebbe sentire il dovere di intervenire e fornire maggiori aiuti, sovvenzioni, infrastrutture, insegnanti di sostegno. Dando fiducia in quell’immane lavoro


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Cosa ne sarà il mattino seguente nessuno lo sa, neanche il film ce lo dirà mai, perché è un’opera piena di domande senza risposte e di perplessità senza soluzioni. Come lo stesso istituto al collasso in cui lavora gente che ha sempre dato un valore a quei giovani, dove fanno da padrona la fragilità, quella di chi insegna e di chi reagisce rabbiosamente per non scomparire, e la disperazione che è madre della violenza. Il regista e lo sceneggiatore non danno risposte perché il film stesso è una domanda: chi aiuta normalmente questa gente, cosa succede quando tutti mollano? A proposito di valore, un’altra breve sequenza memorabile è quando Steve descrive il carattere di alcuni di loro: lì emerge quanto ha avuto modo di studiarli e di conoscerli a fondo e quanta stima ha di ognuno, tutti soggetti per lui recuperabili o perlomeno da poterci convivere pur con i loro disturbi. Lui li ha accettati dal primo istante.


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Sotto la regia di Tim Mielants si svolge un film duro, difficile, che sicuramente alcuni molleranno a metà, ma che invece dovrebbe essere visto per capire un problema esistente, che il regista ci sbatte in faccia con grande efficacia. Cattura tutta la tensione del racconto di Porter con cruda immediatezza, alternando filmati in stile reale (completi di interviste) a scorci intimi di momenti privati. Scoppiano litigi, il personale si dibatte e si commettono errori, mentre Steve si aggrappa alla convinzione che tutto andrà bene. Lo aiuta un cast di tanti personaggi, tra cui Tracey Ullman che si rivela eccellente, Jay Lycurgo che è una rivelazione per chi non ho conosce, e Cillian Murphy che smette di meravigliarci per la sua bravura. Aveva vinto l’Oscar con il suo Oppenheimer ma superlativo lo è sempre e nell’occasione si supera.

Un film shock.

 


 
 
 

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