The Missing (2003)
- michemar

- 8 set
- Tempo di lettura: 3 min

The Missing
USA 2003 western 2h17’
Regia: Ron Howard
Soggetto: Thomas Eidson (The last ride)
Sceneggiatura: Ken Kaufman
Fotografia: Salvatore Totino
Montaggio: Daniel P. Hanley, Mike Hill, Ron Vignone
Musiche: James Horner
Scenografia: Guy Barnes
Costumi: Julie Weiss
Cate Blanchett: Maggie Gilkeson
Tommy Lee Jones: Samuel Jones
Eric Schweig: Club Foot El Brujo / Pesh-Chidin
Evan Rachel Wood: Lilly Gilkeson
Jenna Boyd: Dot Gilkeson
Aaron Eckhart: Brake Baldwin
Val Kilmer: ten. Jim Ducharme
Sergio Calderón: Emiliano
Ray McKinnon: Russell J. Wittick
Max Perlich: Isaac Edgerly
Clint Howard: sceriffo
Elisabeth Moss: Anne
TRAMA: Nel 1885 nel New Mexico, una donna di frontiera stringe un’alleanza difficile con il padre, che non vedeva da anni, quando sua figlia viene rapita da un Apache brujo.
VOTO 6,5

Maggie Gilkeson vive con le due figlie, Lilly (Evan Rachel Wood) e Dot (Jenna Boyd), in un ranch del New Mexico. Un giorno arriva alla fattoria un indiano che ben presto si rivela essere suo padre, Samuel Jones (Tommy Lee Jones), che aveva abbandonato la famiglia anni prima per seguire la vita degli Apaches e che Maggie non ha mai perdonato. Ma quando Lilly viene rapita da un gruppo di efferati assassini, guidati da Pesh Chidin, uno stregone psicopatico, l’unica persona in grado di aiutare Maggie sembra essere proprio l’odiato padre.
Nel panorama cinematografico di questo primo ventennio, Ron Howard si impone con un’opera sorprendente, capace di fondere il linguaggio classico del western con una profonda introspezione emotiva e una vena mistica che lo rende particolare nel suo genere, andando oltre i canoni del western classico. Ambientato nel selvaggio sud-ovest degli Stati Uniti, il film racconta la storia di una donna costretta a collaborare con il padre, un uomo che l’aveva abbandonata decenni prima, per ritrovare la figlia rapita da una banda composta da disertori e indiani. Il ritorno del padre, segnato da un passato vissuto tra i nativi e da un’aura quasi spettrale, introduce nel racconto elementi di spiritualità e sciamanesimo che arricchiscono la narrazione senza mai scadere nel caricaturale.
Le scenografie sono un vero e proprio viaggio visivo: dalle distese innevate alle praterie verdi, fino ai canyon rocciosi, ogni luogo sembra rispecchiare lo stato d’animo dei protagonisti. Il paesaggio, duro e inospitale, diventa metafora della lotta interiore dei personaggi, costretti a confrontarsi con il dolore, la perdita e la possibilità di redenzione.
Tommy Lee Jones offre una performance intensa e misurata, incarnando un uomo segnato dal tempo e dalle scelte, che non cerca perdono ma una forma di riconciliazione. Cate Blanchett, invece, dà vita a un personaggio complesso e ferito, ma anche determinato e resiliente. La sua testardaggine e il suo coraggio diventano il motore emotivo del film, costringendo il padre a non arrendersi.
È un’opera che soffia come un vento gelido, portando con sé grazia e durezza. Un western umano, spirituale, epico e commovente, che grazie alla regia di Ron Howard (che indubbiamente ama il cinema epico) e alla forza del suo cast eccellente. L’imperiosa e coraggiosa donna è la magistrale Cate Blanchett, qui in coppia con il riflessivo e saggio personaggio di Tommy Lee Jones.
Western sui generis in verità, mescolato con il thriller che a mio parere diventa predominante, pur in uno scenario da bianchi e pellerossa cattivi (oh, questa non mi è nuova). La storia è impiantata su classici personaggi della frontiera: una donna abbandonata dal marito in una piccola fattoria assediata dai pericoli del luogo e con due figlie, un misterioso individuo mezzo bianco e mezzo indiano, lo stregone pellerossa nei panni dell’immancabile villain, un gruppo di sbandati dell’esercito che si unisce ad alcuni indiani per compiere rapimenti di giovani ragazze.


























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