22 luglio (2018)
- michemar

- 11 giu 2020
- Tempo di lettura: 6 min

22 luglio
(22 July) Norvegia/Islanda/USA 2018 dramma storico 2h23’
Regia: Paul Greengrass
Soggetto: Åsne Seierstad (One of Us. Uno di noi - La storia di Anders Breivik)
Sceneggiatura: Paul Greengrass
Fotografia: Pål Ulvik Rokseth
Montaggio: William Goldenberg
Musiche: Sune Martin
Scenografia: Liv Ask
Costumi: Margrét Einarsdóttir
Anders Danielsen Lie: Anders Breivik
Jonas Strand Gravli: Viljar Hanssen
Jon Øigarden: Geir Lippestad
Isak Bakli Aglen: Torje Hanssen
Seda Witt: Lara
Maria Bock: Christin Kristoffersen
Thorbjørn Harr: Sveinn Are Hanssen
Monica Borg Fure: Monica Bøsei
Ola G. Furuseth: Prime Minister Jens Stoltenberg
TRAMA: La vera storia delle conseguenze causate dall'atroce attacco terroristico che colpì la Norvegia. Il 22 luglio 2011, 77 persone sono morte a causa di un duplice attentato per mano di un estremista di destra: l'esplosione di un'autobomba nel centro di Oslo e una sparatoria in un campus giovanile organizzato dal Partito Laburista Norvegese. Attraverso gli occhi e le emozioni di uno dei superstiti, si racconta il superamento del trauma e la normalizzazione del paese dopo l'attentato.
Voto 7

RIFERIMENTI STORICI
La data del 22 luglio 2011 è tristemente legata ad un doppio attentato terroristico che causò complessivamente 77 vittime in Norvegia e centinaia di feriti. Il primo attacco consistette nell'esplosione di un'autobomba col bagagliaio imbottito di esplosivo nel centro di Oslo, precisamente nel quartiere Regjeringskvartalet (ove si trovano i palazzi del governo norvegese), avvenuta alle ore 15 e 25. L'automobile era stata parcheggiata di fronte al palazzo ospitante l'ufficio del primo ministro norvegese Jens Stoltenberg. Il secondo attacco avvenne meno di due ore dopo sull'isola di Utøya ove era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Un uomo vestito con una strana uniforme simile a quella della polizia e provvisto di documenti falsi giunse sull'isola e aprì il fuoco sui tantissimi giovani presenti, di età dai 10 ai 20 anni. Fu l'atto più violento mai avvenuto in Norvegia dalla fine della seconda guerra mondiale.
Il responsabile degli attentati, Anders Behring Breivik, trentaduenne norvegese simpatizzante dell'estrema destra, fu arrestato in flagranza su quell’isola. Rinviato a giudizio, fu processato e in tribunale affermò di avere compiuto gli atti per mandare un "messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista" e per fermare "una decostruzione della cultura norvegese per via dell'immigrazione in massa dei musulmani". Riconosciuto unico responsabile e sostanzialmente sano di mente, Breivik fu condannato a ventuno anni di carcere (pena massima dell'ordinamento norvegese), prorogabili di altri cinque per un numero indefinito di volte qualora, a pena scontata, fosse ancora ritenuto socialmente pericoloso.

IL FILM
La scia evidente che lascia l’utilizzo delle armi sia in tempo di guerra che di pace è, oltre evidentemente ai morti, la testimonianza dei reduci, persone che devono sopravvivere con le ferite materiali, spesso gravissime, e con quelle psicologiche che non poche volte sono le più difficili da superare. È ciò che succede al giovane Viljar che fu soccorso pochi minuti dopo il terribile massacro sull’isola di Utøya in cui l’invasato Breivik aveva sparato in maniera spaventosamente glaciale e premeditata sui tantissimi ragazze e ragazzi, parecchi dei quali adolescenti, inseguendoli per il bosco o sulla spiaggia della piccola isola. Viljar, colpito da ben sei colpi dal fucile automatico d’assalto del terrorista, era rimasto miracolosamente vivo nonostante le gravissime ferite riportate, perfino con un proiettile che gli era entrato nell’occhio ed era uscito dalla parte posteriore del cranio. La lunga guarigione e la lenta convalescenza dopo gli interventi chirurgici necessari, assieme alla faticosa rieducazione fisica, furono una durissima prova mentale oltre che del corpo. Ma è la prima quella che gli lasciò le cicatrici più difficili da sopportare, come è facile immaginare. Il trauma era pesantissimo e il ricordare, riparlare, dare testimonianza, rivedere in tribunale il responsabile di tali efferati omicidi non fu facile, tutt’altro.

Paul Greengrass, regista sempre dedito agli eventi storici traumatici, è stato spinto lungo la carriera dall’intento ambizioso realizzare opere in cui il respiro da action cerchi un equilibrio con un posizionamento etico, con la necessità di fare memoria per la massa: un tentativo in altre parole di produrre spettacolo conservando la complessità dei fatti messi in scena. Sono suoi Bloody Sunday (la domenica di sangue dell’Irlanda del Nord), United ’93 (il volo dirottato l’11 settembre maledetto), Green Zone (le false armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq) e recentemente con Captain Phillips (il dirottamento di una nave commerciale ad opera di pirati somali). Ed ora eccoci con un’altra tragedia. Il regista divide in tre parti il film: prima la cronaca fredda e quasi documentaristica dell’azione eseguita dal giovane esaltato neonazista e suprematista, poi le vicissitudini cliniche e psicologiche del sopravvissuto Viljar, ed infine il processo nel tribunale di Oslo, raccapricciante come tutto il resto, perché il colpevole mai pentito continuò imperterrito a proclamare la giustezza della sua azione per fermare la deriva multiculturale che vedeva realizzarsi in Norvegia, così come in tutta Europa. Un esaltato sempre lucido, che preferì ammettere con fermezza le sue idee e la nobiltà delle azioni sue e di chi lo avrebbe seguito piuttosto che passare per malato mentale per ottenere una pena più leggera.

Viene dedicata la opportuna attenzione alla descrizione dei vari personaggi, raccontati al fine di spiegarne il carattere, la psicologia, le reazioni intime a seconda dei momenti tragici e dei pochi di serenità. Si viene così a conoscere meglio i due giovani così diversi di idee politiche (Viljar Hanssen e Anders Behring Breivik) e l’educazione ricevuta dalla famiglia: il primo, figlio di genitori progressisti e democratici di spirito e pratica attiva (la mamma è sindaco del paesino innevato e ghiacciato dove abitano); il secondo, unigenito di una coppia presto separata e con una mamma forse problematica, cresciuto nel mito della razza pura, appartenente ai Cavalieri Templari. La mamma sindaco, impegnata socialmente e donna coraggiosa, dal forte carattere, che cerca le strade migliori per aiutare il figlio così pesantemente colpito dalla sciagura, ma che non abbandona la fermezza delle idee politiche. L’amica di Viljar, Lara, che, sopravvissuta alla strage, cerca anche se a fatica di essere vicina moralmente all’amico sconvolto. Il bel personaggio dell’avvocato difensore scelto sorprendentemente dall’imputato, Geir Lippestad, il quale si sente in dovere (altamente civico) di dare il massimo di sé per difendere l’indifendibile Breivik e le studia tutte per mitigargli la pena, non perché sia d’accordo con lui (anzi!) ma perché ne avverte la responsabilità giuridica e civile. Perché la Costituzione lo prevede. E quando il processo termina ne sarà lieto, oltre che soddisfatto di aver assolto ad un preciso compito dettatogli dalla coscienza.
Breivik: Lo rifarei, se potessi.
Lippestad: Non ha vinto, Anders. Ha fallito.
Breivik: Altri finiranno quel che io ho iniziato.
Lippestad: Batteremo anche loro. I miei figli e i loro figli. Vi batteranno.
Di ognuno, perfino del fratellino del protagonista positivo, che soffre per essere stato messo da parte anche se lui era presente alla strage. Di tutti insomma Greengrass cerca di descriverne le caratteristiche e riuscendovi pure, molto positivamente.

Qualche critica è stata mossa alla piattezza della narrazione, cosa ho potuto riscontrare però solo in alcuni frangenti, dove forse la sceneggiatura non ha molto aiutato e la recitazione di qualcuno non è stata il massimo. Il regista ha scelto, per i motivi che sono spiegati dopo, attori non famosi e del luogo e tra questi appunto è proprio per esempio l’interprete di Lara che non è stata, diciamo, esaltante: la immobilità espressiva di Seda Witt ha contribuito non poco alla poca emotività che sicuramente era richiesta in maggiore misura e qualche altro attore non ha aiutato all’impresa. Di certo, se ci fossero stati attori di prim’ordine i risultati sarebbero stati migliori, a cominciare proprio da uno degli attori protagonisti, Jonas Strand Gravli, che non mi è sembrato all’altezza. Al contrario del gelido Anders Danielsen Lie, il perfetto neonazi protagonista. La mano della regia doveva avere più peso, ma evidentemente voleva essere distaccata dalla sufficiente drammaticità fredda degli avvenimenti, tragici già per conto loro.
Il film è partecipativo, non ci si accorge neanche della non breve durata, tocca l’animo dello spettatore e lo scuote, perché gli avvenimenti sono davvero drammatici e purtroppo realmente accaduti. Indubbiamente Paul Greengrass riesce quasi sempre ad impressionare e non è sempre merito o colpa sua, ma dei fatti che racconta e che sa narrare come un film d’azione.

Paul Greengrass: Ritenevo fosse essenziale mostrare il processo a Breivik in tutte le sue fasi. Le regole, le leggi di una democrazia sono i mezzi con cui l’umanità può contrastare l’irrazionalità con la razionalità: il processo è un esercizio della ragione, un lavoro di comprensione per andare a fondo di un evento e farne emergere un senso. Dare a Breivik la possibilità di parlare, di esprimere quelle idee era importante affinché qualcun altro le combattesse e confutasse. Quando ciò avviene, ci troviamo di fronte a un luminoso momento di democrazia. E sentiamo chiaramente che Breivik è stato sconfitto. Gli attori? Per me era vitale girare in Norvegia, con norvegesi. Ho scoperto persone di grande talento e serietà, consapevoli del valore dell’operazione e dell’importanza di raccontare questa tragedia in maniera dignitosa, oggettiva e al contempo umanista.
Il dopo è descritto nei titoli di coda:
Viljar studia legge in un’università norvegese ed intende perseguire la carriera politica.
Geir Lippestad continua ad esercitare la professione di avvocato a Oslo.
Jens Stoltenberg è rimasto Primo Ministro della Norvegia fino al 2013. Oggi è Segretario Generale della NATO.
Anders Behring Breivik sta scontando la pena in isolamento nel carcere di Skien, 150 km a sud di Oslo.






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