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La ballata di un piccolo giocatore (2025)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 21 ore fa
  • Tempo di lettura: 7 min
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La ballata di un piccolo giocatore

(Ballad of a Small Player) UK, Germania 2025 thriller psicologico 1h41’

 

Regia: Edward Berger

Soggetto: Lawrence Osborne (romanzo)

Sceneggiatura: Rowan Joffe

Fotografia: James Friend

Montaggio: Nick Emerson

Musiche: Volker Bertelmann

Scenografia: Jonathan Houlding

Costumi: Lisy Christl

 

Colin Farrell: Lord Doyle / Brendan Thomas Reilly

Fala Chen: Dao Ming

Tilda Swinton: Cynthia Blithe / Betty Grayson

Deanie Ip: la nonna

Alex Jennings: Adrian Lippett

Anthony Wong: Alfred Da Souza

 

TRAMA: Un giocatore d’azzardo abituato a grosse puntate, decide di nascondersi a Macao, ma anche lì il suo passato e i suoi creditori lo raggiungono e gli chiedono di pagare il conto. Lungo la strada incontra un’anima gemella che potrebbe essere la chiave della sua salvezza.

 

VOTO 6,5


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Dopo la notevole affermazione con Niente di nuovo sul fronte occidentale (che gli son valsi 4 Oscar e 6 BAFTA) e la conferma con Conclave (1 Oscar, 1 Golden Globe e 4 BAFTA), Edward Berger si rituffa nel thriller psicologico (sì, quel modo di raccontare la Seconda Guerra Mondiale è a suo modo tragedia e thriller psicologico) con un racconto tratto dal romanzo omonimo di Lawrence Osborne, con una trama senz’altro meno roboante e di minore portata internazionale ma di altrettanto fragore mentale allorché sconvolge psicologicamente un furfantello atteggiatosi a grande giocatore di baccarà. Lo stile è pressoché identico, perlomeno dal punto di vista artistico, portandosi buona parte del cast tecnico che gli ha permesso di affermarsi in campo mondiale: troviamo infatti, da quei due film, lo stesso direttore della fotografia James Friend, il montatore Nick Emerson, il musicista Volker Bertelmann, lo scenografo Jonathan Houlding e la costumista Lisy Christl, i cui segni si ritrovano specialmente nel vigoroso commento musicale e nell’uso di alcuni strumenti d’orchestra e nei colori carichi che lampeggiano per le strade e gli skyline di Macao.


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Difatti, si tratta di una storia, un thriller psicologico ambientato nella vibrante e decadente città marina, che racconta la discesa nell’abisso di Lord Doyle, un uomo in fuga da sé stesso e dal suo passato. Questi (Colin Farrell), un ex avvocato britannico travolto da uno scandalo finanziario, si rifugia lì sotto falso nome, essendo Brendan Thomas Reilly la sua vera identità, e presentandosi quindi con un titolo nobiliare abusivo. L’uomo non cerca redenzione, ma l’oblio, perché in fuga. Vive tra hotel di lusso e casinò, immerso in un’esistenza fatta di alcol, baccarà e illusioni di grandezza. Il suo obiettivo non è vincere, ma galleggiare nel debito, come se il rischio fosse l’unico modo per sentirsi vivo. È anche adrenalina. Macao, con i suoi neon, i templi taoisti e i quartieri notturni, non è solo uno sfondo: è un personaggio a sé, seducente e ostile, che riflette la psiche frammentata del protagonista. In questo labirinto di luci e ombre, Doyle incontra Dao Ming (la bellissima Fala Chen), una misteriosa impiegata del casinò che nasconde un passato doloroso. Tra i due nasce un legame ambiguo, fatto di silenzi, sguardi e una complicità che sfiora l’amore, che resta sospeso.


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A complicare la situazione arriva Cynthia Blithe (Tilda Swinton), un’investigatrice privata che indaga su Doyle, anch’ella sotto falso nome (Betty Grayson). La sua presenza, nonostante voglia passare inosservata, introduce una tensione costante, mentre il protagonista cerca di sfuggire non solo ai creditori, ma anche alla propria identità. Il film si sviluppa come una spirale: ogni scelta di Doyle lo avvicina al baratro, ogni puntata al tavolo è una metafora della sua vita. Nel frattempo, la Festa degli Spiriti Affamati, che si avvicina nel calendario locale, diventa un simbolo potente: i fantasmi del passato tornano a reclamare ciò che è stato perso. In questo contesto, Doyle riceve una proposta da Dao Ming: abbandonare tutto e iniziare una nuova vita. Ma il confine tra salvezza e dannazione è sottile e il film non offre risposte facili. Ed allora ecco il Nostro in crisi tra due tentazioni: quella di imparare la lezione della donna da cui non vuole più staccarsi e quindi svincolarsi del vizio del gioco e chiudere con il passato per un nuovo futuro, o giocarsi tutto, ma proprio tutto, compreso la colossale vincita di una serata più che magica, motivo per il quale tutti i casinò della città lo hanno espulso. Pare fosse addirittura ispirato e protetto da un fantasma apparso nelle telecamere di sorveglianza. Giunto a questo punto, che fa, si gioca tutto il denaro stipato nelle valige e o la va o la spacca? perdere perciò tutto felicemente (a volta si ha la sensazione che per lui sia uguale…) o sfondare il muro dell’impossibile e pagare il debito milionario?


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È - come si intuisce - una storia di dipendenza, identità e solitudine, tanta solitudine. Dove la dipendenza dal gioco d’azzardo diventa una metafora esistenziale, un’enorme buca ove ricadere puntualmente in un ripetitivo itinerario quotidiano: risvegliarsi mezzo sbronzo, evitare il direttore dell’albergo dove risiede in un appartamento extra lusso con un saldo di quasi 400.000 dollari mai saldati, precipitarsi ad un tavolo con i guanti che lui afferma siano di marca pregiata e che invece sono roba da mercatini cinesi (paradigma della sua vita), perdere puntualmente le poche centinaia di moneta locale o dollari appena avuti in prestito, ripromettendosi che la volta successiva incenerirà qualsiasi banco o avversario, a cominciare da quella vecchia imbellettata multimiliardaria detta la nonna che ha sempre un 9 in mano e che ridacchia ogni volta che scopre le sue due carte. Ed ora, per giunta, ha notato quella strana donna inglese tutta ricci rossi ed occhiali che l’ha fotografato: cosa vuole e chi è? La inchioda nei bagni: è Cynthia Blithe, così almeno si presenta, che - smascherata finalmente - in qualità di detective privata è incaricata di sollecitarlo a saldare i suoi ingenti debiti verso alcuni creditori inglesi, pena la denuncia alla polizia e l’estradizione per essere processato. È la parte più brillante e divertente del film, con un duetto di dialoghi minacciosi e menzogneri, una con il perfetto accento british, l’altro con la forte cadenza irlandese.


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Fortuna vuole che gli si avvicini quell’angelo, Dao Ming, che normalmente presta danaro ai giocatori incalliti e squattrinati come lui. Anche lei è un’anima in pena, anche lei, stranamente, vive come tanti altri abitanti in un quartiere popolare come una poveraccia e nessuno che le faccia una carezza. Questa è la figura più angelica e misteriosa dell’intero film. Se la detective inglese è spiritata e surreale nella sua perseveranza, la macaense è dolce, sensuale e generosa. Doyle si ritrova un numero segreto scritto da lei sulla mano: che mistero è? Quando scopre a cosa serve inizia il gran finale pirotecnico: due sacchi di banconote, vincita stratosferica e saldo dei debiti. Ora, all’orizzonte vede solo l’amore con la donna che l’ha salvato, anche dalla ludopatia: cambierà vita, ma con Dao Ming. Ma dov’è?


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Quest’uomo è egli stesso la personificazione dell’ambiguità. Ha un passato che vuole dimenticare - anche perché assai scomodo - che si materializza, purtroppo per lui illudendosi irrintracciabile, con Cynthia, ed ha un presente sfuggente che vuol far diventare futuro con Dao Ming. La sua doppiezza si sta sgretolando per merito dell’influsso che riceve da quest’ultima e con lei vuole chiudere con la vita sballata che conduce, ma la Macao che lo tiene avvolto pare una madre che non vuole privarsi del figlio e solo il colpo finale lo potrà liberare dall’incubo chiamato baccarà. Purtroppo, se non ritrova la donna dei sogni ha paura che rimarrà in quel ventre materno senza mai riuscire ad evadere da una vita da prigioniero. Ha accontentato, con una donazione degna di una corruzione, la donna inglese e quindi ha chiuso i conti col passato, ma se non trova la compagna per il progetto futuro i fuochi pirotecnici della Festa degli Spiriti Affamati rappresenteranno la sua muraglia cinese invalicabile.


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La regia di Edward Berger e la fotografia di James Friend trasformano ogni scena in un quadro onirico, mentre la sceneggiatura di Rowan Joffé scava nelle ossessioni umane con eleganza e profondità. Eppure, ciò non basta al regista per sapersi ripetere. Dopo quei due exploit su citati, questo e senza dubbio un passo indietro, è come una pietra miliare su cui sostare per riprendere fiato. Il regista e la sua squadra hanno saputo costruire una bella casa ma non l’hanno arredata a dovere, nonostante che i pochi personaggi importanti della storia siano ottimi padroni di casa, per cui, alla fin dei conti, risulta un’opera decente e seducente ma non ai livelli che ci si poteva attendere. Un po’ come il protagonista, che, in pratica, non aveva un obiettivo ben dichiarato, non tanto agli altri, quanto a se stesso, ed allora ci si chiede dove in realtà il regista volesse condurci. Non importa se il libro di Lawrence Osborne avesse o non avesse lo stesso problema, il film è un’altra opera e il regista deve condurlo dove ritiene giusto, e se alla fine si resta soddisfatti a metà, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Come per esempio le scarse relazioni tra i tanti piccoli personaggi di contorno.


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A metà strada tra un giovane Laurence Olivier coi baffetti e un Pasqualino Settebellezze fanfarone e millantatore, la prova nel noir psicologico di Colin Farrell è straordinaria: sudato, spiritato, sfiduciato, fintamente euforico, sempre sopra le righe in tutti i sensi, prossimo all’infarto, tiene il film in piedi dal primo all’ultimo istante, con ogni tipo di stato d’animo possibile. Inarcando le sue celebri sopracciglia e spostando gli occhietti furbi e vispi di qua e di là per annusare l’aria che lo circonda. Sparando atteggiamenti per non rivelare la sua reale condizione di fallito, finzione che va sempre a vuoto perché tutti sanno bene quanto lui possa valere, cioè 0. Basta la sua interpretazione per poter vedere il film, mentre Tilda Swinton fa la Swinton al 100%, magnetica e spigolosa, e Fala Chen è come una bondgirl di cui ci ricorderemo per un pezzo in un personaggio fantomatico.


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Nonostante che la sceneggiatura avrebbe dovuto approfondire non pochi personaggi e argomenti, il film merita la visione almeno per la performance di Colin Farrell e per il fascino di Macao, che domina tra la tradizione cinese, le architetture storico-portoghesi e il cristallo e l’acciaio della Cina moderna dei grattacieli, degli hotel lussuosi e i casinò, terra in cui la gente va per pescare e viene pescata.

 


 
 
 

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