A House of Dynamite (2025)
- michemar 
- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 8 min

A House of Dynamite
USA 2025 thriller politico 1h52’
Regia: Kathryn Bigelow
Sceneggiatura: Noah Oppenheim
Fotografia: Barry Ackroyd
Montaggio: Kirk Baxter
Musiche: Volker Bertelmann
Scenografia: Jeremy Hindle
Costumi: Sarah Edwards
Idris Elba: il Presidente
Rebecca Ferguson: comandante Olivia Walker
Gabriel Basso: consigliere Jake Baerington
Jared Harris: Segretario alla Difesa Reid Baker
Tracy Letts: generale Anthony Brady
Anthony Ramos: maggiore Daniel González
Moses Ingram: Cathy Rogers
Jonah Hauer-King: tenente Robert Reeves
Greta Lee: Anna Park
Jason Clarke: ammiraglio Mark Miller
Malachi Beasley: sottocapo William Davis
Brian Tee: Ken Cho
Brittany O’Grady: Lily Baerington
Gbenga Akinnagbe: generale Steven Kyle
Willa Fitzgerald: Abby Jansing
Renée Elise Goldsberry: First Lady
Sam Vartholomeos: capitano Will Kagan
Kyle Allen: capitano John Zimmer
Kaitlyn Dever: Caroline Baker
Neal Bledsoe: Ben Walker
Nicholas E. Monterosso: Liam Walker
John Zdrojewski: maggiore Dan Stevens
Caleb Eberhardt: colonnello Greg Marshall
TRAMA: I radar della base militare di Fort Greely, in Alaska, rilevano un missile nucleare che, lanciato da qualche parte nell’Oceano Pacifico, entro 19 minuti colpirà Chicago, uccidendo più di 10 milioni di persone: senza alcuna idea su chi sia stato a lanciarlo, il Presidente e il suo entourage devono sfruttare il poco tempo rimasto a disposizione per tentare di abbattere il missile, per poi decidere se e dove rispondere al fuoco.
VOTO 8,5

Alla fine della guerra fredda, le potenze mondiali concordarono che il mondo sarebbe stato migliore con meno armi nucleari. Quell’epoca è terminata. Questa la premessa, mentre una musica ottenebrante come un incubo ci introduce alle prime immagini della base del 49° Battaglione di Difesa Missilistica di Fort Greely, Alaska.


Otto anni dopo Detroit, Kathryn Bigelow torna al cinema con un film presentato a Venezia 82. La regista, prima donna premio Oscar della storia del cinema con The Hurt Locker e autrice del teso Zero Dark Thirty, sceglie di affrontare con immutato talento l’impensabile: la logica del terrore nucleare e la casa piena di esplosivi che abitiamo tutti senza rendercene conto. Non un disaster movie, ma un thriller politico che trasforma il silenzio e l’attesa in materia incandescente per il cinema. La premessa è semplice e terrificante: un missile non rivendicato viene lanciato contro gli Stati Uniti. La corsa contro il tempo per capire chi sia il responsabile e come reagire si trasforma in un gioco al massacro psicologico. Bigelow ha spiegato: “Viviamo in una casa piena di dinamite. Volevo esplorare la follia di un mondo che rischia l’annientamento e che continua a chiamarlo difesa”. Il metodo narrativo che la regista sceglie è quello dei vari punti vista soggettivi di tre reparti militari, dirigenziali e politici, dividendo il film in altrettanti tronconi intitolati: L’inclinazione si appiattisce, Colpire un proiettile con un proiettile, Una casa imbottita di dinamite.


È un giorno come tanti nella vita dei funzionari, soldati, ufficiali e delle più alte cariche istituzionali degli Stati Uniti. C’è chi ha appena litigato con la propria fidanzata, chi sta per sposarsi, chi deve partorire a breve, chi è preoccupata per una febbre del figlio, chi ha la moglie in Africa per proteggere gli elefanti. Per ognuno di loro è l’inizio di una normale giornata di lavoro, con la sicurezza della nazione posta al livello ordinario e rassicurante dal sistema di difesa chiamato DEFCON (DEFense readiness CONdition). Poi accade l’imprevisto, succede di tutto, siamo ad un passo del conflitto nucleare e bisogna prendere una decisione. Una decisione talmente pesante che il Presidente tarda a prenderla. E che la Bigelow non ci rivelerà.

In effetti, pare proprio un giorno come tutti gli altri, con i problemi personali, familiari e professionali (e che professioni!) come tutti gli altri giorni. In quella mattina, il capitano Olivia Walker (Rebecca Ferguson) dà il cambio alla precedente squadra di guardia nella Situation Room (WHSR) della Casa Bianca e della FEMA (Federal Emergency Management Agency), l’agenzia interna voluta dal presidente Carter in piena Guerra fredda per gestire emergenze estreme. Durante il briefing sul turnover, la squadra di guardia entrante viene informata di un’imminente esercitazione dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, nonostante le recenti tensioni, le attività sospette in Iran e nei suoi delegati e l’insolito silenzio della Corea del Nord dopo un recente test di missili balistici. Più tardi quella mattina, il radar in banda X con base in mare rileva un missile balistico intercontinentale (ICBM) non identificato in volo sopra l’Oceano Pacifico nord-occidentale, a est delle Isole Curili, tra il Giappone e la Russia. Inizialmente si presume che si tratti di un test missilistico di routine della Corea del Nord, ma questa convinzione cambia quando il missile entra in un’orbita più bassa, con la nuova traiettoria che suggerisce l’impatto nell’area metropolitana di Chicago entro i prossimi venti minuti. L’inclinazione si appiattisce.

Come previsto, scattano febbrili le riunioni ai diversi livelli mentre il Presidente è ad una manifestazione sportiva giovanile, la consorte in una spedizione africana per la protezione degli elefanti, e molti esperti – ognuno nel suo campo – sono sparsi per le vie della città per vari motivi e i collegamenti tecnologici e telefonici vengono utilizzati affannosamente per sentire i pareri e dedurre ipotesi. Ma principalmente una domanda: chi è la potenza nucleare che ha preso questa grave decisione? E può essere stato causato da un errore? Intanto, dalla nuova inclinazione viene dedotto che la traiettoria viaggia verso tre probabili obiettivi americani, tre città popolose, di cui la più probabile è Chicago, con una perdita calcolabile di 10 milioni di persone morte: tempo 18 minuti e ci sarà l’impatto. Questo vuol dire che ci sono a disposizione solo pochissimi minuti per decidere come difendersi e come rispondere nel caso sia effettivamente un attacco. Dalla Cina? Dalla Corea del Nord? Dalla Russia, che prontamente smentisce? Bisogna agire prontamente per intercettare il missile nemico con uno proprio e reagire, che vorrebbe dire scatenare una vera e inattesa guerra mondiale a colpi di missili nucleari. Intanto viene lanciato il primo intercettatore che ha a bordo due ordigni che possono (possono…) colpire l’oggetto in arrivo: ma con quale probabilità di successo? È come colpire un proiettile con un proiettile. E difatti il primo lo manca, gettando tutti nel panico ed il secondo non riesce neanche a partire: missione mancata in pieno! E i minuti trascorrono inesorabili.

La prima parte si svolge quasi interamente nella Situation Room, la seconda al telefono tra le strade della capitale e i reparti della Casa Bianca che consultano Jake Baerington (Gabriel Basso), giovane vice consigliere per la sicurezza nazionale, intrappolato tra la diplomazia e l’urgenza, mentre a Fort Greely, dove gli americani tengono sotto controllo lo spazio aereo e gestiscono i lanci dei missili, lo sconforto è grande per il fallimento dell’operazione, tanto da indurre il maggiore Daniel González (Anthony Ramos) al crollo psicofisico. Ora la regista ci porta, ricominciando la narrazione – dal primo all’ultimo istante - nelle alte sfere politiche, fino a raggiungere il Segretario alla Difesa Reid Baker (Jared Harris) ed il Presidente (Idris Elba), uomo a cui spetta ovviamente la decisione finale: lui interpella e ascolta tutti perché sa che la scelta sarà determinante per il futuro della nazione ma anche dell’intero mondo. Pieno di dubbi, come un uomo normale, indeciso, consapevole dell’importanza della decisione. Un uomo molto umano, lontano dalla retorica muscolare non solo di tanto cinema catastrofico, ma anche dalla figura dell’attuale presidente USA reale che, proprio durante l’uscita del film, ama mostrare la potenza del suo potere: questo leader è vulnerabile, isolato, costretto a convivere con la consapevolezza che ogni decisione può trascinare l’umanità nel baratro. Lui non vuol salvare il mondo ma cerca solo di non distruggerlo.


Tutti e tre i capitoli finiscono a pochissimo della conclusione della traiettoria balistica e tutti e tre non ci dicono come va a finire, come neanche la decisione del Presidente. Per un semplice motivo: a che serve saperlo o raccontarlo? Non è un film di guerra ma un monito, un avvertimento, una presa di coscienza, un allarme all’umanità. Da molti anni gli stati hanno riempito i depositi di così tante armi potenti che potrebbero distruggere la terra in pochi minuti e se qualcuno dei capi di governo decidesse per il peggio scatenerebbe una reazione a catena che nessuno riuscirebbe più a fermare. Non è film di guerra anche perché si svolge in larghissima parte dentro stanze chiuse, tra persone che parlano al telefono, con auricolari e davanti agli schermi dei computer, nei quali quello che un tempo avremmo definito il campo di battaglia è quasi del tutto assente. Fa impressione come la Bigelow fa coincidere temporalmente lo spirito educativo della visita in una palestra di allieve di basket dove il Presidente impartisce lezioni di sportività ed educazione civica, la missione ecologica della First Lady che visita il Kenya con lo scopo di svegliare l’attenzione contro l’estinzione degli elefanti, e assieme la celebrazione storica della 162.a Ricostruzione della famosa Battaglia di Gettysburg, dove si trova e viene contattata l’esperta Ana Park (Greta Lee), l'ufficiale dell'intelligence nazionale della NSA per la Corea del Nord; e di contro lo scenario di guerra distruttiva a cui assistiamo agghiacciati e sgomentati. Da una parte attività commemorative o benefiche, dall’altra l’ecatombe. Non è fantapolitica ma una reale eventualità a cui potremmo assistere e che potremmo subire.


La macchina da presa a mano aumenta la tensione muovendosi nervosamente simile ai concitati minuti; la regia di Kathryn Bigelow è di una precisione pari alle mani di un chirurgo e prosciuga la scrittura da qualunque epica: la regista non delude mai; la sceneggiatura di Noah Oppenheim riadatta all’oggi i moduli di A prova di errore (uno dei capolavori di Sidney Lumet, il disaster movie d’autore più prossimo a questo); i colori della fotografia di Barry Ackroyd sono lividi, desaturati e profondamente espressivi, capaci di amplificare la tensione e il senso di isolamento; la musica di Volker Bertelmann la si avverte viscerale, ansiogena e profondamente immersiva, capace di incarnare la paranoia e la tensione del film sin dalle prime note: tutte queste doti costruiscono un film senza un attimo di pausa nonostante ricominci altre due volte, ma ripetendo l’angoscia e l’inquietudine puntualmente, costringendo lo spettatore alla scomodità come in un horror. La regista è una maestra in questo campo ed ancora una volta (vedi l’adrenalinico The Hurt Locker ed il lungo finale di Zero Dark Thirty) ci inchioda alla visione. Merita solo applausi. La scena in cui il Segretario alla Difesa Reid Baker compie il suo gesto facendoci sobbalzare è solo la ciliegina amarissima sulla torta catastrofica e prelude alla lunga telefonata del Presidente sull’elicottero, quando Idris Elba interpreta magnificamente la posizione di un uomo nella maggiore difficoltà e mostra tutta la giustificabile indecisione del suo importante personaggio.


Se tutti gli attori compongono un’orchestra perfetta diretta dalla maestra Bigelow, in un cast nutritissimo di ottimi attori emerge la notevole performance di Rebecca Ferguson, paragonabile alla indimenticabile Maya di Jessica Chastain: ogni gesto, ogni sguardo, ogni passo è l’immagine dell’immaginabile. Bravissima! Intanto, la Bigelow non cerca il climax, non offre una via d’uscita, non un eroe a cui aggrapparsi. Il suo è un film claustrofobico e ragionato, fatto di sigle militari, silenzi carichi e decisioni che pesano come l’estinzione. È un’opera che guarda all’interno, non all’esterno. Il nemico non è identificato. Il vero antagonista è il sistema: una macchina costruita per prevenire l’annientamento e che, paradossalmente, può provocarlo. La regista costruisce il panico senza mostrarlo: nessuna città distrutta, nessun fungo atomico. Tutto è nel “prima”: la procedura, il dubbio, il ritardo. È la suspense di chi sa che qualcosa potrebbe accadere, ma non quando o se.



“È come se avessimo costruito una casa imbottita di dinamite. Con tutte queste bombe, tutti questi piani. Le pareti sono pronte ad esplodere, ma noi continuiamo a viverci.” Così dice il Presidente sull’elicottero dove tutti attendono LA decisione, perché se dà l’OK è la fine di tutti, se rifiuta, come dice il suo assistente tenente Robert Reeves (Jonah Hauer-King) che lo accompagna con le carte della planimetria eventualmente da colpire, “Se non agiamo capiscono che possono farla franca.”
Qualcuno di noi è in grado, si prende la responsabilità di dare una risposta al posto del Presidente?
Film bellissimo, agghiacciante, terrificante.






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