Alla vita (2022)
- michemar

- 30 nov 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 7 giu

Alla vita
(Tu choisiras la vie) Italia, Francia 2022 dramma 1h39’
Regia: Stéphane Freiss
Sceneggiatura: Stéphane Freiss, Audrey Gordon, Caroline Deruas-Garrel
Fotografia: Michele Paradisi
Montaggio: Aline Hervé, Shervin Zinouzi
Musiche: Giovanni Mirabassi
Scenografia: Isabella Angelini
Costumi: Florence Emir
Riccardo Scamarcio: Elio DeAngelis
Lou de Laâge: Esther Zelnik
Pierre-Henry Salfati: Aaron Zelnik
Astrid Meloni: Silvia
Nicola Rignanese: Andrea
Coraly Zahonero: Rivka
Anna Sigalevitch: Rachel
Natacha Krief: Tsipporah
Jérémie Galiana: Ariel
Anaël Guez: Ronnit
Max Huriguen: Ilan
Haïm Vital Salfati: Yehuda
Liv Del Estal: Carla
Fiorenza Tessari: Elena Rubini
Luigi Diberti: Yaacov
TRAMA: La venticinquenne Esther ha sempre vissuto in una comunità ebraica ortodossa del sud della Francia, molto chiusa, e sta cercando di liberarsi dalle catene religiose. Elio, invece, ha lasciato la fattoria di suo padre nel sud Italia per frequentare la scuola d'arte a Roma, ma poi è tornato a casa alla morte del padre e da allora ha continuato le tradizioni agricole della sua famiglia. La passione generata dal loro incontro spingerà entrambi a liberarsi dai legami familiari.
Voto 6,5

Ogni estate gli Zelnik, una famiglia ebrea ultraortodossa di Aix-Le-Bains, passano un paio di settimane nel Sud Italia nella proprietà che Elio De Angelis ha ereditato dal padre. La famiglia si reca lì tutti gli anni, invariabilmente, per raccogliere cedri, frutti che, secondo un’antica leggenda, Dio aveva sparso in questa regione, che però devono possedere i precisi requisiti richiesti dalla loro rigida religione: devono obbligatoriamente essere perfetti frutti kosher, cioè con le caratteristiche che corrispondono alle regole alimentari stabilite nella Torah per essere consumati dal popolo ebraico. A ospitare i numerosi componenti nella sua tenuta è appunto Elio, un gallerista virtuale, un appassionato dell’arte (colleziona opere solo nella mente) che ha dovuto invece iniziare ad occuparsi dell’azienda agraria dopo la morte improvvisa del padre e che proprio per questo è stato lasciato dalla moglie che ha preferito vivere a Roma con le due figlie.

In questa terra brulla e arsa dal sole dove i francesi selezionano con severità frutti da portar via avverrà l’incontro tra Elio ed Esther Zelnik, ventiseienne ormai stanca delle costrizioni imposte dalla sua religione. Bloccata tra l’affetto per i parenti e il desiderio di emanciparsi, Esther sta tentando di abbandonare la dottrina ultraortodossa perché avverte il peso delle regole, delle limitazioni di comportamento invidiando le amiche che invece vanno a cinema, nei bar, frequentano i ragazzi, mentre lei è costretta a rinunciare a tutto. È talmente alto il bisogno di affrancarsi che prega. Prega il suo Dio affinché la lasci libera, che non la faccia sentire in colpa per l’indipendenza e la libertà che vuole raggiungere. Non sentendosi realizzata, vuole spezzare queste catene morali e familiari per volare via, ma non trova né la forza né il coraggio di dichiarare la sua crisi spirituale alla famiglia e soprattutto al padre a cui vuole molto bene. Un giorno, poco prima del ritorno a casa a Aix-les-Bains in treno, così come sono tutti arrivati, sapendo tra l’altro di essere stata destinata dai genitori a dover sposare un giovane della comunità presente anch’egli in quella campagna (il che le aumenta l’intento di ribellione), decide di scrivere una lettera al padre per evitare la pena di dovergli riferire tutto di persona e non vederlo soffrire. Ad aumentare il desiderio di vivere una vita più consona alle sue esigenze contribuisce il sottile e progressivo rapporto che è nel frattempo nato con il padrone di casa: Elio, che ormai vive da uomo single, nasconde a fatica e con estrema discrezione l’attrazione che prova per la giovane ragazza, la quale apprezza la simpatia che riceve e corrisponde limitandosi a sguardi silenziosi ed eloquenti. Il gioco di chat con cui vengono a contato, pur se in presenza fisica, li avvicina ancor di più mentalmente ma nello stesso tempo una citazione di Camus rivela quanto sia più importante per un essere umano restare con i piedi per terra e non sbandare.

È un diario intimo, è un dramma personale, quello della bella Esther, davanti alla scelta della vita e quindi difficile da risolvere se non con caparbietà e con la perdita del proprio passato e del presente, per affrontare un futuro incerto ma attrattivo e libero. Che poi sarebbe il vero problema esistenziale di ognuno di noi quando si trova nel momento più importante della vita: scegliere non è mai facile ma quando ci si trova al bivio tra la via tracciata dalla famiglia e dalla tradizione e quella che si desidera e che è distante (e di molto) dall’altra ogni passo sbagliato condiziona totalmente e negativamente il futuro. Ma la giovane non è bloccata da quel timore, piuttosto tentenna per la delusione che arrecherebbe alla famiglia ma è allettata dall’idea di liberarsi dai vincoli religiosi che giudica mutilanti per la vita che sogna, regole troppo rigide e limitanti che già disattende nella accogliente masseria ogni volta che si reca nell’appartamento di Elio per usufruire del computer, ben sapendo che, secondo le regole, ad una donna non sposata è vietato entrare da sola nella stanza di un uomo. Piccole trasgressioni che gusta come primi passi verso quella emancipazione di cui avverte un bisogno estremo. La fede religiosa richiede abnegazione, fedeltà ai principi su cui è fondata, rinunce, sacrifici, il tutto condito e praticato con gioia. Invece, Esther si sente in gabbia e vuole evadere per sorridere, per non indossare le calze anche d’estate, per scegliere l’abbigliamento più consono alla sua mentalità, di andare a ballare, di gioire con le amicizie maschili e femminili.

Buona parte del film è imperniato sulla giovane donna e le sue problematiche incertezze. Perché di questo si tratta, non di certezze. L’esordio nel lungometraggio dell’attore francese Stéphane Freiss alla regia riguarda principalmente lei e il suo bel viso imbronciato, per la parte restante il tempo è dedicato a Elio, che di storie tese nella sua esistenza ne ha già tante: doveva rivedere le figlie con il passaggio della ex moglie dalla masseria andando in vacanza in Puglia ma per mancanza di tempo non gliele ha portate, l’azienda che gestisce ha sei problemi finanziari e, nonostante abbia consistenti offerte di acquisto di parte dei terreni lasciati ormai incolti, rifiuta ogni transazione per restare fedele agli insegnamenti e alla eredità morale del padre. È tentato dalla fresca bellezza e dalla intesa psicologica che si è instaurata tra lui e l’ospite ma per rispetto verso il capostipite suo cliente e della correttezza che deve mantenere (potrebbe perderlo per sempre come acquirente degli amati cedri) rifiuta le tentazioni e si chiude in un cortese silenzio. Tranne un delicato, intenso, spericolato sfiorarsi di mani.

La ragazza vuole ribellarsi ai costumi ma è legata dalle circostanze esterne; l’uomo è libero di prendere qualsiasi tipo di decisione ma declina per ragioni intime. Due comportamenti opposti di destini che si sono incrociati forse vanamente? No, vanamente mai, perché si impara sempre dagli altri, pur se al minimo. Val la pena far la guerra al proprio ambiente per cambiare? E precisamente cosa, poi? Gli altri è impossibile: se stessi? Ai due risponde appunto Camus: “Essere diversi vuol dire, forse, avere il coraggio di essere se stessi”.
Sarà proprio attraverso il rapporto con Elio che Esther riuscirà a capire l’importanza della libertà e intraprendere la sua strada e, allo stesso modo, grazie a lei, Elio riuscirà a trovare la pace che aveva perso da tempo e sedersi quietamente sulla sedia che sul poggio si affaccia sul mare azzurro con la vista che riempiva il cuore e l’esistenza del padre, con lui ragazzino.


Stéphane Freiss si concentra sul viso e le espressioni meditabonde, sullo sguardo degli occhi malinconici di Esther ricevendo come ricompensa una pregevole interpretazione di Lou de Laâge, attrice la cui carriera è costellata di partecipazioni a diversi film, tra cui il bel L’attesa di Piero Messina e soprattutto Agnus Dei di Anne Fontaine (che faceva parte della cinquina degli Oscar per la Francia), ma che deve ancora avere l’occasione giusta per l’affermazione definitiva. Qui è indubbiamente brava e concentrata, molto nel personaggio della vera protagonista, anche se nel poster e nelle schede il suo nome viene appena dopo quello del partner. È lei il personaggio principale, anche se la presenza di Riccardo Scamarcio richiama più attenzione, essendo indubbiamente uno degli attori italiani di maggiore richiamo. In questa occasione l’attore sa che deve fare sfoggio delle sue abilità di seduttore anche se nel caso specifico trattenuto, quando solitamente gli tocca fare il tombeur de femmes. Il ruolo che veste è quello di uomo pacato, riservato e riflessivo, anche a causa delle esperienze vissute, e non si lascia sopraffare dalla voglia di rifarsi la vita con una preda in quel momento debole, di cui era facile approfittare. Anzi, è lui che suggerisce la giusta decisione da prendere a Esther.
Film senz’altro da sufficienza, non eclatante, non paragonabile a quello di un’altra ribelle alla religione ebraica tipo Unorthodox (la miniserie con la straordinaria Shira Haas, piccola mina vagante del cinema mondiale), ma comunque un buon film, che deve molto all’attrice di Bordeaux, qui molto brava.






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