Babygirl (2024)
- michemar
- 2 giorni fa
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Babygirl
Olanda, USA 2024 dramma / thriller erotico 1h54’
Regia: Halina Reijn
Sceneggiatura: Halina Reijn
Fotografia: Jasper Wolf
Montaggio: Matthew Hannam
Musiche: Cristóbal Tapia de Veer
Scenografia: Stephen H. Carter
Costumi: Kurt and Bart
Nicole Kidman: Romy Mathis
Harris Dickinson: Samuel
Antonio Banderas: Jacob Mathis
Sophie Wilde: Esme
Esther McGregor: Isabel Mathis
Vaughan Reilly: Nora Mathis
Gaite Jansen: Hedda / Scarlett
Izabel Mar: Anna
Victor Slezak: Missel
Anoop Desai: Robert
Bartley Booz: Tom
Maxwell Whittington-Cooper: Josh
Leslie Silva: Hazel
TRAMA: La potente amministratrice delegata di una grande azienda mette a repentaglio la propria carriera e la propria famiglia quando inizia una torrida relazione con il giovane stagista che ha da poco cominciato a lavorare nella sua impresa.
VOTO 5,5

Halina Reijn, regista olandese al suo terzo film dopo una carriera da attrice senza grandi acuti e con un’esperienza con Paul Verhoeven (questo film avrebbe potuto girarlo lui), prova con questo lavoro ad affermarsi in modo eclatante con un cast importante ed una storia più che torrida, al calor bianco per ciò che riguarda il sesso, un thriller erotico che sovverte le aspettative del genere offrendo una narrazione audace e ironica sull’ossessione sessuale, il potere, e la disfunzione relazionale. Il film si apre con una scena di sesso che vuole essere esplicativa sul rapporto tra i due coniugi Romy (Nicole Kidman) e suo marito Jacob (Antonio Banderas), che avviene in modo ordinario e appassionato ma seguito - la cosa che incuriosisce sul momento è che ci va di corsa come se non può aspettare neanche un secondo, come per completare meglio quello che stava facendo - da un momento di autoerotismo solitario davanti ad un forte video porno sul PC. Il messaggio che la regista vuol far subito passare è rivelare le crepe nel loro matrimonio. Lei non si sente soddisfatta sessualmente dal marito e glielo rinfaccerà poco prima del burrascoso prefinale. In altre parole, la Reijn, evitando il cliché della famiglia perfetta minacciata da desideri proibiti, ci immerge direttamente nel cuore del conflitto.

Romy è la CEO di un’impresa del settore della robotica, simbolo di controllo e distacco umano; Jacob, regista teatrale, lavora sul dramma Hedda Gabler di Henrik Ibsen, un dramma femminile emblematico. È chiaro quindi che le professioni e gli interessi della coppia sono metafore del loro stato emotivo, del loro inconscio che li spinge su interessi ben precisi. È presto per capire che aria tiri in casa e come procedano i rapporti familiari, allietati da due belle adolescenti, tra cui scopriamo la più sensibile Isabel (Esther McGregor), che avrà un ruolo importante per richiamare all’ordine la madre nel momento più problematico.

Problemi che nascono con l’arrivo di Samuel (Harris Dickinson), stagista enigmatico, cinico e sicuro di sé, che destabilizza la risoluta Romy. Dopo un primo momento di perplessità e sconcerto da parte di lei, stimolata e incuriosita ma anche indispettita da tanta disinvoltura del giovane, la loro dinamica si carica di tensione erotica e psicologica, con il giovanotto che introduce il concetto di consenso in modo diretto e disarmante. Consenso nel farsi accettare e assecondare le richieste erotiche che rivolgerà pian piano e sempre più dominante alla donna sconcertata ma assoggettata. A questo punto, il film inizia ad esplorare spietatamente il contrasto tra l’ossessione sessuale della manager e una visione più apparentemente naturale e disinibita del sesso incarnata da Samuel. Ma ciò che destabilizza maggiormente Romy è che lei si scopre amare nel sentirsi dire cosa fare, nel farsi comandare in un rapporto di padrone e sottomessa. La tensione erotica esplode ed invece che puntare su un film moralista, la regista sceglie la strada della commedia nera che esplora il consenso, il potere e la vulnerabilità. Dickinson è magnetico, portando sullo schermo una rara consapevolezza del proprio corpo e del desiderio altrui, in una performance che ricorda Richard Gere nei suoi momenti più audaci.

Romy cerca di nascondere la torbida relazione ai due ambienti che frequenta: casa e lavoro, il secondo più pericoloso, prima di tutto perché è lì che incontra quotidianamente il giovane e non sa resistergli e poi perché se saltasse fuori la loro storia la sua brillantissima e lanciata carriera finirebbe immediatamente. La regista gioca quindi con il ritmo del thriller psicologico per appassionarci agli appuntamenti (dove lei si lascia sottomettere nei giochi più umilianti) e ai sotterfugi per non dare negli occhi nell’azienda e nello stesso tempo a far finta di nulla in casa anche se la sua più stretta collaboratrice Esme (Sophie Wilde) comincia a sospettare, avendo anche lei qualche interesse verso Samuel, e le rinfaccia schiettamente, da donna delusa della promozione che tarda: “Ci aspettiamo molto di meglio da una donna in una posizione di potere”. Romy, a questo punto, si sente assediata.

Intanto Samuel, con la sua solita studiata noncuranza, si presenta persino in casa per occasionali party, provocando maggior smarrimento e timore alla donna, unite alla irrefrenabile voglia di riaverlo per sé, correndo sempre i rischi enormi della scoperta. Buona parte del film è concentrata su questo aspetto, anche troppo, tanto da risultare alquanto monotono e ripetitivo: cambiano ogni volta i “giochi proibiti” che lui impone all’altra, ed ogni volta lei si rifiuta ma solo per un paio di secondi, come se non aspettasse altro e perché, in fondo, ha scoperto che le piace subire. Fascino e attrazione per quello che può succedere ogni volta, che nell’ambito psicologico, relazionale e sessuale tra i due sono ormai diventati una dinamica consensuale con pratiche di vario genere: bondage, dominazione, sottomissione, sadismo, masochismo.

Nel frattempo, con inserti veloci e istantanei da cogliere al volo, la regista monta brevissimi stacchi sulla terapia che Romy sta affrontando, la cosiddetta terapia EMDR a proposito del passato poco limpido che ogni tanto affiora. La EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è un approccio psicoterapeutico strutturato, sviluppato dalla psicologa americana Francine Shapiro nel 1989, pensato per aiutare le persone a elaborare traumi ed esperienze emotivamente stressanti, come per esempio disturbi da stress post-traumatico, distacchi, lutti e via dicendo. Infatti, durante le sedute, la paziente rievoca il trauma mentre segue con gli occhi movimenti guidati dal terapeuta e riceve stimolazioni bilaterali (visive, tattili, uditive), per sbloccare il ricordo e rielaborarlo in modo meno disturbante. Tutto ciò per dare, da parte della regista e sceneggiatrice, le motivazioni della personalità della protagonista. C’è una critica da fare, però al proposito: è un lato della trama che non viene approfondito in maniera adeguata e resta sicuramente un particolare che sfugge a molti spettatori, ne sono convinto.
Intanto, lei non è più capace di liberarsi del giovane e sente la necessità di confessare al marito il tradimento, con la prevedibile scenata, anche per la rovina della famiglia, che pareva felice e serena. Ormai l’altarino è scoperto ed ora può succedere di tutto, anche il peggio: licenziamento, divisione dei coniugi o forse di più. Finalmente c’è un cambio di ritmo e di marcia, perché quella parte centrale prima descritta risulta troppo lunga e senza sbocchi apparenti, monotona se non proprio noiosa. Ciò è il motivo principale per cui il film, alla fin fine, è ben poca cosa, deludendo le attese per la presenza di un cast da cui ci si poteva attendere di più. È chiaro che la colpa non ricade sugli attori, tutt’altro. Anzi se qualcosa va salvata è giusto la presenza di interpreti bravi.

Tanto per iniziare, Nicole Kidman offre per la sua babygirl una performance intensa e febbrile, sfaccettata e coraggiosa, pari alla sua fama: il personaggio, di una donna matura e frustrata che perde la testa per uno che potrebbe essere suo figlio e che ha dentro di sé una voglia matta di sesso, lo affronta alla grande e i premi sono arrivati, infatti, ma la Coppa Volpi a Venezia mi sembra decisamente esagerata. Per lei un altro ruolo piccante dopo l’altro deludente A Family Affair. È piuttosto Harris Dickinson a brillare. La sua capacità di incarnare il desiderio oggettivato con consapevolezza e grazia lo rende il fulcro emotivo del film, proseguendo il suo percorso di attore coraggioso e sensibile evidenziato nel provocatorio Triangle of Sadness di Ruben Östlund (2022). Ha quel modo di recitare che simpatico non è ma è molto redditizio ed efficace, adatto al personaggio che affronta.
Siamo davanti ad un’opera provocatoria che però doveva essere meno furba, che gioca con i codici del thriller erotico con una MILF orgasmicamente insoddisfatta, rifiutando la moralizzazione e abbracciando la complessità del desiderio, dove il sesso è potere. La Reijn firma un film che non ha paura di essere esplicito, né di essere divertente o irriverente. Un film che parla di potere (professionale e psicologico), trauma e desiderio. Da notare come nella scena finale Romy ha finalmente un moto di reazione alla situazione e di ribellione al maschilismo, cacciando malamente un alto funzionario che prova a provocarla approfittando delle voci che già circolano nei corridoi aziendali. Un film in cui, quindi, Halina Reijn (che in conferenza stampa ha esclamato: “ognuno di noi merita un buon orgasmo”) non cerca redenzione per la sua donna, ma comprensione.
E noi cercavamo un film migliore, in verità, dato che è certamente intelligente e perfino ironico ma deludente. Anche, penso, per le suffragette del #MeToo.
Un invito per Nicole Kidman: torma al cinema d’autore, please!

Riconoscimenti
Golden Globe 2025
Candidatura per la migliore attrice in un film drammatico a Nicole Kidman
Venezia 2024
Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Nicole Kidman
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