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Boogie Nights - L’altra Hollywood (1997)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 dic
  • Tempo di lettura: 5 min
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Boogie Nights - L’altra Hollywood

(Boogie Nights) USA 1997 commedia 2h35’

 

Regia: Paul Thomas Anderson

Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson

Fotografia: Robert Elswit

Montaggio: Dylan Tichenor

Musiche: Michael Penn

Scenografia: Bob Ziembicki, Ted Berner

Costumi: Mark Bridges

 

Mark Wahlberg: Eddie Adams / Dirk Diggler

Burt Reynolds: Jack Horner

Julianne Moore: Amber Waves

John C. Reilly: Reed Rothchild

Heather Graham: Rollergirl

Don Cheadle: Buck Swope

Philip Seymour Hoffman: Scotty J.

Luis Guzmán: Maurice Rodriguez

William H. Macy: Little Bill

Robert Ridgely: il “Colonnello”

Ricky Jay: Kurt Longjohn

Nicole Ari Parker: Becky Barnett

Melora Walters: Jessie St. Vincent

Philip Baker Hall: Floyd Gondolli

Thomas Jane: Todd Parker

Alfred Molina: Rahad Jackson

 

TRAMA: A Los Angeles, nel 1977, Jack Horner, regista di film pornografici, non si rassegna ad essere considerato un mediocre, è convinto di valere molto e vuole che il suo cinema migliori sempre di qualità, per ottenere una maggiore considerazione da critici e pubblico. Una sera, in un locale, avvicina Eddie Adams, un giovane che fa il cameriere e, dopo qualche preambolo, lo convince a presentarsi al suo studio per effettuare alcuni provini. Eddie si mostra del tutto naturale davanti alla macchina da presa, riesce a girare una scena d’amore dopo l’altra e Jack è molto contento di lui. Preso il nome d’arte di Dirk Diggler, il ragazzo gira una serie di film diventando in breve molto famoso.

 

VOTO 7


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Decisamente particolare il secondo film di Paul Thomas Anderson, poi autore tra i migliori della sua generazione. L’argomento con cui ha iniziato la luminosa carriera riguarda l’industria cinematografica del porno, il che non vuol dire che sia un film sul sesso né tantomeno sull’hard-core.


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Si racconta dell’ascesa e del declino di un giovane attore porno in California a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Nonostante il film non sia biografico, si ispira alle vicende realmente vissute da diversi attori pornografici dell’epoca e l’obiettivo principale resta il panorama della vita di quel periodo, anni assolutamente libertari e trasgressivi, ambiente in cui si favoleggiava di famiglie “allargate” che abitavano il mondo hollywoodiano. Cresciuto sotto la scuola di Robert Altman, Anderson costruisce, da buon discente, un film corale con molti personaggi, più o meno sullo stesso livello narrativo - eccettuato il giovane Eddie (Mark Wahlberg) - che si aggirano sui set. Né di sesso, né sul sesso, la pellicola punta sulle relazioni tra le persone, sul cinismo imperante e, perché no, toccando per la tangente l’eterno problema del sogno americano e della ricerca del successo facile. Predominano auto sportive di lusso (l’acquisto classico di chi comincia ad avere successo), pantaloni a zampa d’elefante, minigonne e purtroppo fiumi di cocaina, con conseguenze anche letali.


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Per ben realizzare il film, Anderson riunì un folto gruppo di attori ancora non affermati ma che oggi riconosciamo come ormai divi famosi. Giovani di belle speranze di ogni tipo e di gran talento: basta scorrere l’elenco del cast per stupirsi. Perfino un giovanotto biondo e grassottello che si chiamava Philip Seymour Hoffman!!! Ovviamente anche la sceneggiatura, sempre firmata dal regista come tutti i suoi film, si adegua al soggetto e non mancano chiari riferimenti sessuali nel linguaggio e nei ciak del film nel film. Ciò che mi ha meravigliato è che recentemente Mark Wahlberg ha confessato di vergognarsi di aver accettato questo ruolo, neanche fosse stato una vera opera porno, che invece serve solo a indicarne l’ambientazione e ciò che succedeva in quel mondo.


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Lo stile e le scelte sceniche (abiti, musiche, ambientazione di quegli anni furoreggianti) sono un apripista per il futuro grande regista che diventerà pian piano, a cominciare dalla bellissima opera successiva, il magnifico Magnolia con cui si affermerà in maniera definitiva. Ma il mio sommo dispiacere è come sia stato dimenticato il suo straordinario esordio: Sydney, un film che bisognerebbe recuperare tutti.


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Fin dai primi istanti, si presenta come un film sorprendente e inatteso. Persino i pochi secondi di buio che precedono il titolo al neon sembrano un invito a prepararsi a qualcosa di travolgente. PTA, ancora giovane regista che qui mette in mostra un talento ampio e sfacciato, costruisce un’opera che si colloca accanto ai film americani più distintivi degli anni ‘90, quelli che hanno saputo trasformare la decadenza della California meridionale in un palcoscenico di cultura pop e di eccessi. Lui, anzi, spinge ancora più in là questa estetica, immergendo lo spettatore nel mondo del porno e della droga senza esitazioni, e lo fa con un affetto quasi paradossale per i personaggi che abitano questo universo. Come già detto, la sua capacità di orchestrare un racconto corale ricorda Nashville del suo maestro Altman, ma con un’energia visiva che prende in prestito i movimenti di macchina più celebri di Scorsese, come nel lungo piano sequenza iniziale che introduce i protagonisti in una discoteca della San Fernando Valley.


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Tra i personaggi spicca Jack Horner, regista di film pornografici interpretato da Burt Reynolds, che qui offre la sua performance più brillante e ironica dei suoi ultimi anni. L’attore riesce a dare al personaggio un carisma ambiguo, mescolando arroganza e fascino, e conferendo al film una figura paterna che funge da collante per la comunità di outsider che lo circonda. L’altro fulcro narrativo è Eddie Adams, il giovane cameriere destinato a diventare Dirk Diggler. Mark Wahlberg affronta un ruolo rischioso con sorprendente naturalezza: deve incarnare l’ascesa fulminea di un ragazzo ingenuo che diventa star del porno, e al tempo stesso la sua caduta nell’arroganza e nella dipendenza. Riesce a rendere credibile ogni fase di questa trasformazione, senza mai cadere nel ridicolo, e la sua interpretazione si rivela il vero cuore pulsante del film.


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Il lato positivo più evidente dell’opera è la sua energia visiva e narrativa. Anderson dimostra una padronanza tecnica impressionante, capace di muovere la macchina da presa con agilità e di orchestrare un cast corale senza perdere mai il filo. La prima parte del film, in particolare, è un’esplosione di vitalità: il ritmo incalzante, la musica, i colori e la costruzione dei personaggi restituiscono l’ebbrezza di un sogno americano declinato in chiave pornografica. Anche le interpretazioni di Julianne Moore, Don Cheadle e William H. Macy contribuiscono a dare spessore a un mosaico umano che, pur immerso nella dissolutezza, mantiene una sua dignità e una sua struggente umanità. Non va dimenticato il grande Philip Baker Hall, uno degli attori preferiti del regista, presente sin da un suo cortometraggio e poi presente in tre film.


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Non mancano, tuttavia, i lati problematici. La seconda metà del film, segnata dal declino dei protagonisti, perde parte della freschezza iniziale e si avvita su se stessa, insistendo sui cliché della caduta nella droga e nella violenza. Alcune sequenze risultano eccessivamente compiaciute, come se Anderson fosse troppo affascinato dal materiale che sta trattando per riuscire a mantenere la stessa lucidità critica mostrata all’inizio. Inoltre, la rappresentazione del mondo del porno, pur ricca di dettagli e di empatia per i personaggi, rischia di romanticizzare un ambiente che nella realtà è ben più duro e spietato. Questo squilibrio tra fascinazione e critica è forse il limite più evidente del film.


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In definitiva, è comunque un gran secondo lavoro per PTA, un’opera che colpisce per la sua ambizione e per la sua capacità di trasformare un materiale rischioso in un racconto epico e corale. Dimostra di essere un regista di grande talento, capace di fondere influenze diverse e di dar vita a un universo narrativo vibrante. Se da un lato la sua visione è travolgente e piena di energia, dall’altro non sempre riesce a mantenere la stessa coerenza e profondità lungo tutto l’arco del film. Resta quindi un’opera fondamentale degli anni ‘90, che ha segnato l’ingresso di Anderson tra i grandi autori del cinema americano contemporaneo.


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Riconoscimenti

Oscar 1998

Candidatura miglior attore non protagonista a Burt Reynolds

Candidatura miglior attrice non protagonista a Julianne Moore

Candidatura migliore sceneggiatura originale

Golden Globe 1998

Miglior attore non protagonista a Burt Reynolds

Candidatura miglior attrice non protagonista a Julianne Moore

BAFTA 1998

Candidatura miglior attore non protagonista a Burt Reynolds

Candidatura migliore sceneggiatura originale

 


 
 
 

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