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Brutti, sporchi e cattivi (1976)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 24 ago 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 8 apr 2024


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Brutti, sporchi e cattivi

Italia 1976 commedia drammatica 1h55’


Regia: Ettore Scola

Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola

Fotografia: Dario Di Palma

Montaggio: Raimondo Crociani

Musiche: Armando Trovajoli

Scenografia: Luciano Ricceri, Franco Velchi

Costumi: Danda Ortona


Nino Manfredi: Giacinto Mazzatella

Linda Moretti: Matilde, moglie di Giacinto

Franco Merli: Fernando

Alfredo D'Ippolito: Plinio

Giancarlo Fanelli: Paride

Francesco Anniballi: Domizio

Marco Marsili: Vittoriano

Ettore Garofolo: Camillo

Maria Bosco: Gaetana

Giselda Castrini: Lisetta

Maria Luisa Santella: Iside, la prostituta

Marcella Battisti: Marcella Celhoio

Assunta Stacconi: Assunta Celhoio

Ennio Antonelli: l'oste

Francesco Crescimone: il commissario

Beryl Cunningham: la baraccata di colore

Silvia Ferluga: la maga

Marina Fasoli: Maria Libera

Clarisse Monaco: Tommasina

Zoe Incrocci: la madre di Tommasina

Luciano Pagliuca: Romolo

Giuseppe Paravati: Tato

Aristide Piersanti: Cesaretto

Silvana Priori: moglie di Paride

Giovanni Rovini: la nonna Antonecchia

Franco Marino: proprietario del terreno e della casa


TRAMA: In una baraccopoli romana vive una famiglia di immigrati pugliesi composta dal vecchio e tirannico padre, Giacinto, dalla moglie, dieci figli e uno stuolo di parenti. Scopo principale di questi è impadronirsi del milione che Giacinto ha ottenuto per la perdita di un occhio.


Voto 7,5

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Una baraccopoli di Roma, negli anni '60. Giacinto regna come un tiranno sulla sua famiglia: sua moglie, i suoi dieci figli, i coniugi, gli amanti e la nonna, tutti ospitati sotto lo stesso tetto, in una baraccopoli sporca. Tutti accettano la sua autorità e il suo cattivo umore, perché il patriarca irascibile ha un tesoro di un milione di lire, ricevuto come risarcimento per aver perso un occhio, che tutti sperano di rubargli. E mentre Giacinto passa le sue giornate ubriacandosi o violentando le donne intorno a lui, la figlia si aggira per le strade di Roma, il figlio si traveste da donna, la nonna impara l'inglese in TV, la nuora tradisce il marito con il fratello, il figlioletto caccia via i topi morti, il suo assassinio si sta preparando segretamente.

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Come aveva sempre fatto anche in precedenza e stavolta ancora con grande maestria, Ettore Scola unisce i due generi strettamente insiti nel cinema italiano, vale a dire il neorealismo (che qui si potrebbe dire che implode) e la commedia, proponendo una tendenza oscura, cinica e buffona. Non è il mondo dei lavoratori, ma un autentico sottoproletariato che il regista filma attraverso questa famiglia allargata che vive insieme in una sinistra dimora. E la fauna che sfila sullo schermo è difficilmente sfumata, anzi è volutamente marcata: un patriarca avaro che non esita a sparare a suo figlio per tenere il tesoro e installare una puttana nel letto coniugale accanto a sua moglie, le giovani ragazze prostituite o incinte sin dalla pubertà, un figlio travestito che violenta sua cognata in cucina, i nipoti che salvano la nonna da un incendio per poter continuare a incassare la sua pensione… Scola assume insomma la sua visione pessimistica dell'umanità ingigantendone deliberatamente i lineamenti e ricorrendo alla farsa, all’eccesso. Siamo, cioè, lontani dal sentimentalismo di De Sica, dalla compassione cristiana di Rossellini, o dall'implicita militanza di Pasolini, come questo invece fecero con le loro opere maggiori e di riferimento.

Tuttavia, il regista non può essere accusato di disprezzo sociale (sarebbe il colmo), se non giustifica gli atti spregevoli commessi dai suoi personaggi, né si lascia ingannare dalla determinazione sociale dalla quale non possono sfuggire. Il successo dell'opera deve molto anche alla grandiosa interpretazione di Nino Manfredi, uno dei grandi che grande fecero il cinema in quei decenni irripetibili: di personaggi indimenticabili ne ha fatto tanti ma questo Giacinto, affrontato a circa la metà della sua sterminata filmografia, sarà sempre ricordato.

E dire che in origine Ettore Scola voleva realizzare solo un documentario sui bassifondi di Roma, come per approfondire il lavoro svolto da Pier Paolo Pasolini dieci anni prima in Accatone, film in cui il regista evocava il genocidio di una popolazione immigrata nel sud Italia, attratta dalla società dei consumi delle grandi città. Se Pasolini (si dice che avrebbe dovuto scrivere la prefazione al film ma fu assassinato prima che potesse realizzarla) era interessato alla morte della cultura, Ettore Scola si concentra sulle condizioni di vita di questa povera gente che langue nelle baraccopoli, sussistendo di furti e prostituzione. Il regista ha filmato questi esseri emarginati e marginali davvero orribili e cattivi con un tale realismo che il film, pur se divertente, apparve ed è tutt’oggi estremamente inquietante. Forse perché è proprio l’italiano medio ad esserlo.

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Alberto Moravia così ne scriveva sull’Espresso:

In questo notevole film, l'insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del “brutto”, dello “sporco” e del “cattivo”. Comunque siamo in un clima piuttosto di contemplazione apatica che di intervento drammatico.

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Riconoscimenti

1976 – Festival di Cannes

Migliore regia

1977 – Nastri d’Argento

Candidatura miglior attore protagonista Nino Manfredi



 
 
 

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