C'era una volta il West (1968)
- michemar

- 22 apr 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 18 ago

C'era una volta il West
Italia, USA 1968 western 2h55'
Regia: Sergio Leone
Soggetto: Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Sergio Leone
Sceneggiatura: Sergio Donati, Sergio Leone
Fotografia: Tonino Delli Colli
Montaggio: Nino Baragli
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Carlo Simi
Costumi: Carlo Simi
Charles Bronson: Armonica
Henry Fonda: Frank
Jason Robards: Cheyenne
Claudia Cardinale: Jill McBain
Gabriele Ferzetti: Morton
Paolo Stoppa: Sam
Woody Strode: Stony
Jack Elam: Snaky
Frank Wolff: Brett McBain
Lionel Stander: barista
TRAMA: Morton è il padrone della ferrovia. E sa benissimo che dove c'è l'acqua, in mezzo al deserto del West, ci sarà una grande stazione, poi una grande città. L'acqua è nella terra dei McBain, così Morton manda il killer Frank a convincere il legittimo proprietario a vendere. Il risultato è una strage. Solo la signora McBain si salva, e incrocia un pistolero, Armonica, che ha più di un conto in sospeso con Frank.
Voto: 9

Dopo la cosiddetta trilogia del dollaro, per la maggior parte della critica Sergio Leone dette inizio con questo film alla complementare trilogia del tempo, classificazione che ritengo invece un declassamento per gli evidenti meriti, la bellezza e le peculiarità di questo film. È sicuramente il filo rosso lanciato tra le due serie dei film leoniani e, nonostante i giudizi negativi che il film suscitò immediatamente dopo l’uscita, è in assoluto uno dei migliori del regista romano. Anzi, per alcuni critici è il migliore: è il lungo ponte che ci collega alla sponda chiamata C’era una volta in America, punto apicale e di arrivo dell’opera di Sergio Leone.

Impossibile definirlo solo un western e nella fattispecie uno spaghetti-western, è molto di più. È un western a pieno titolo ed è anche un thriller vero e proprio, dal momento che non conosciamo all’inizio la causa della caccia inesorabile che spinge Armonica a cercare Frank, della tortura fisica e mentale che egli ha subito da ragazzo. Lo capiremo solo alla fine, prima del classico e ineluttabile duello finale, nella lunga e rallentata sequenza in cui il flashback ci mostra la ragione per cui l’uomo deve vendicarsi. La suspense è merito dell’efficace soggetto scritto a sei mani con i giovani Bernardo Bertolucci e Dario Argento e lo zampino del futuro re del brivido italiano si nota tutto. E non c’è neanche bisogno che il regista sparga sangue a fiotti: la sequenza, in cui Cheyenne, l’altro coprotagonista della storia, scende da cavallo per morire e dice solo “Io mi fermo qui”, è una scena incruenta, antitarantiniana.

Assieme allo statuario Charles Bronson, al feroce Henry Fonda, all’indimenticabile Jason Robards e alla splendente Claudia Cardinale, l’altro protagonista assoluto del film è Ennio Morricone, il quale realizzò senz’altro una delle sue migliori colonne sonore di sempre. Ogni personaggio è connotato da un abbinato commento musicale, basti pensare alle varie apparizioni di Armonica e di Cheyenne.

Il ruolo di Jill che Sergio Leone affida alla radiosa Claudia Cardinale potrebbe sembrare secondario ma in realtà ha un compito essenziale: lei è l’immancabile prostituta spesso presente nel western, lei è quella deputata a sopportare le volgarità dei cowboys, dei fuorilegge e degli operai che stanno arrivando, ma dopo il pesante ma affettuoso (e sicuramente molesto anche non erano maturi i tempi per definirlo così) gesto di Cheyenne, che così la esorta ad essere meno schizzinosa e più “disponibile”, lei capisce e si rassegna a diventare il testimone e il tramite del passaggio storico tra il periodo delle scorribande e delle vendette e il Nuovo Mondo, quello portato dal progresso inevitabile che viaggia sui binari di ferro. Quando i pistoleri spariscono dalla scena, Jill offre sorridente l’acqua agli operai che lavorano sotto il sole: il suo posto è qui.
Anche la nuova frontiera è qui, che non è l’avamposto del John Dunbar di Kevin Kostner, il progresso sta arrivando e il cavallo di ferro chiamato ferrovia ha già la strada tracciata, mentre la camera da presa di Sergio Leone posta sul dolly si alza a inquadrare il lontano orizzonte e Ennio Morricone ci aiuta a volare fin lassù.

Ritengo d’obbligo una chiosa finale. Quando si scrive il termine “protagonista”, è sicuro che non ci sono dubbi su chi sia? Facile rispondere Armonica, che è lo sconosciuto che arriva ombroso e silenzioso per portare a termine un atto di giustizia personale, ma per tutta la durata incombe la figura di Frank, l’uomo in nero, lento e preciso, killer spietato, che quando entra in scena oscura tutti; e Cheyenne è così secondario? Anzi mi piace pensare che quel personaggio è bellissimo, forte, furbo come una volpe e intelligente più degli altri, con un notevole intuito, bravo a stare al mondo. Che gli vada male, poi, lo esalta ancora di più, perché la scrittura sul suo personaggio è fantastica come tutto il film. E che Jill stia solo un passo indietro è solo un dettaglio.
Film epico!

Riconoscimenti
1969 - David di Donatello
Miglior produttore a Bino Cicogna
1969 - Nastro d'argento
Candidatura miglior attore non protagonista a Gabriele Ferzetti
Candidatura migliore colonna sonora a Ennio Morricone






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