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Eyes Wide Shut (1999)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 mar 2019
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 26 nov

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Eyes Wide Shut

UK, USA 1999 dramma 2h39'


Regia: Stanley Kubrick

Soggetto: Arthur Schnitzler

Sceneggiatura: Stanley Kubrick, Frederic Raphael

Fotografia: Larry Smith

Montaggio: Nigel Galt

Musiche: Jocelyn Pook

Scenografia: Leslie Tomkins, Roy Walker

Costumi: Marit Allen


Tom Cruise: William "Bill" Harford

Nicole Kidman: Alice Harford

Sydney Pollack: Victor Ziegler

Marie Richardson: Marion

Rade Šerbedžija: Milich

Todd Field: Nick Nightingale

Vinessa Shaw: Domino


TRAMA: Belli, ricchi e apparentemente felici, William e Alice Hartford sono ad un veglione a casa di amici; lei balla con un uomo che le fa una corte discreta ma serrata, lui flirta con alcune ragazze. Ancora sotto l'effetto della festa alcuni giorni dopo Alice e William cominciano un pericoloso gioco della verità. Scioccato dalle rivelazioni di Alice William esce e inizia una peregrinazione per la città che lo porterà a scoprire nuovi mondi, persone e insolite e soprattutto qualcosa di sé. E di Alice.


Voto 10


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Eyes Wide Shut: occhi spalancati sul sogno e chiusi sulla realtà.

Solo i grandi maestri come Stanley Kubrick (o Ingmar Bergman e in alcune fasi anche Woody Allen) hanno saputo guardare e soprattutto “vedere” nell’intimo più profondo di un rapporto di coppia, mai soffermandosi semplicemente ai luoghi comuni. E tra l’altro pochi autori ci provano veramente dal momento che facilmente si può diventare involontariamente goffi e ridicoli, rivelandosi piccoli e insignificanti di fronte al grande mistero della psiche umana e del comportamento delle persone. Forse per questa enormi difficoltà, il Maestro si affidò ad uno scritto molto importante di un medico e scrittore, ispirandosi a Arthur Schnitzler, artefice del processo narrativo detto monologo interiore, che tanto interessò perfino Sigmund Freud.


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Il Maestro denuda e indaga così una coppia felice e appagata (almeno apparentemente), giovane e bella, mostrandone i lati più sensibili alla crisi di rapporto. Sono proprio queste condizioni di agiatezza finanziaria e relazionale all’interno della coppia il giusto terreno dove indagare e perlustrare gli strati psicologici che inducono alle scelte mosse dall’istinto e dal ragionamento del momento, occasionale. Ovviamente il film è una libera trasposizione del libro Doppio sogno e ci mostra la crisi di una comune coppia borghese che riesce con difficoltà a comunicare, ma quasi che non se ne accorgesse o per lo meno faceva finta che il problema non esistesse. E che solo nel racconto di fantasie oniriche è in grado di svelarsi reciprocamente. Stanley Kubrick compie un miracolo artistico immaginando in anticipo e alla perfezione che con le immagini di questo (purtroppo, purtroppo!) ultimo film opera avrebbe indotto lo spettatore in un percorso mentale senza precedenti (almeno a me è successo questo) seguendo il protagonista in un allucinato percorso regressivo nel profondo del proprio inconscio, accettando quasi di essere “ipnotizzato” dalle scene, dal ritmo martellante della musica, dai colori (il rosso è dominante) e anche a non ribellarsi all’identificazione con il protagonista per poterlo seguire in questo “viaggio al centro dell’essere umano”.


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Mettiamo al centro della nostra attenzione la musica che più volte ascoltiamo durante la rappresentazione del film: la musica del Fidelio. Egli è, nell’opera di Beethoven, il nome assunto da Eleonora per introdursi nelle segrete più profonde di una prigione e liberare il marito condannato a morte. Se ci riflettiamo un po’, anche il nostro Bill deve travestirsi per poter scendere nello spazio più profondo e regressivo del suo inconscio e così assistiamo all’orgia lugubremente festeggiante, con un suono martellante e ritmico del bastone, come una campana funesta e rivelatoria. È un momento fondamentale del film, è il momento tra i più coinvolgenti, essendo anche la fase del film in cui lo spettatore è totalmente rapito, come nella trance di un thriller buio e angosciante. E chi salva il nostro eroe? Una donna! Una donna disposta, come una madre, a sacrificarsi per salvarlo nella circostanza più difficile della trama, dove pare stia rischiando perfino la vita. Togliersi la maschera sarebbe stata la denudazione dell’anima e del corpo.


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Chi ha scelto il Maestro per esporre il suo film più difficile da raccontare e da essere accettato dal pubblico? Una coppia – anche nella vita di allora piena di fascino e glamour: Tom Cruise e Nicole Kidman. Il primo (secondo il mio modesto parere) in uno dei rari film in cui ha davvero recitato, andando oltre la sua classica maschera di attore d’azione e lo fa solo con il Maestro e con un altro dei pochi autori che amo alla follia, Paul Thomas Anderson (con Magnolia); la Kidman è un’attrice di cui scrivere è solo una perdita di tempo, tanto è superlativa in quasi tutte le sue apparizioni: lei si pone in totale predisposizione di Kubrick e accetta di essere inquadrata totalmente denudata, perfino seduta sul water in una delle azioni più primordiali dell’essere umano. Ma anche pronta, nei panni di Alice, a confessare le sue più intime debolezze: “Pensavo che se lui mi avesse voluta anche solo per una notte, ero pronta a sacrificare tutto.” e anche artefice del finale più secco mai visto sullo schermo: “Fuck!”, “Scopiamo!”.


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Magistrale poi suddividere le varie fasi del racconto come tanti quadri in/inter/dipendenti, ognuno staccato e nello stesso tempo collegato al successivo, ognuno fortemente cristallizzato nella nostra memoria con il relativo brano musicale che, anche se non originale e già noto di suo, rimarrà nella nostra come fosse stato scritto solo per il film, a partire con l’invitante valzer della festa natalizia in casa dell’amico dottor Victor Ziegler (la solita impeccabile visita di cortesia di Sydney Pollack in casa degli altri registi).


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È il più complesso ed enigmatico film del Maestro, uscito postumo, che lascia la bocca amara non solo per il finale - che invece sorprende sia per la frase di Alice che per la spallata liberatrice, per lo scuotimento psicologico che affranca la coppia - piuttosto perché lo spettatore che ha amato la filmografia kubrickiana sa che la sua opera non avrà seguito.


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Una postilla a proposito del mitico perfezionismo che animava il carattere e il lavoro del grande regista. Girano leggende per quanti ciak obbligava i suoi attori a girare e se ne leggono tante, motivo per cui sono andato quasi alla fonte, quasi.

Come scrive un noto critico, Filippo Ulivieri, ritenuto il maggiore esperto italiano della vita e del cinema di Stanley Kubrick, autore di alcuni libri in merito, su questo argomento ha scritto che, se l’aveste chiesto a lui, avrebbe negato con forza. “Se facessi cento ciak per ogni scena non finirei mai un film”, disse una volta il Maestro. Per sapere la verità, oggi abbiamo a disposizione i diari di produzione del Kubrick Archive, l’istituzione creata dalla sua famiglia per preservare i documenti relativi alla realizzazione dei suoi film. I diari di Eyes Wide Shut mostrano ad esempio che la scena in cui i coniugi Harford discutono sotto gli effetti della marijuana richiese tre giorni di prove e quattro di riprese. Al 32° ciak Kubrick esclamò: “Fantastico, probabilmente il migliore finora, tutto sommato”. Ne chiese però altri 33 per rifare l’attacco con Nicole Kidman che fuma la canna. Dopo questi 65 ciak, il record di questo film (di questo, eh!), Kubrick spese altri sette giorni per rifare varie battute del dialogo e coprire la seconda parte, in cui lei confessa la fantasia erotica con l’ufficiale di Marina. In totale la scena della camera da letto richiese 22 giorni. “Gli risultava inconcepibile fare anche solo un ciak di meno”, spiegò Sydney Pollack, regista a sua volta e interprete del ricco Ziegler. “Doveva esplorare ogni possibile variazione di ogni singola situazione prima di poter dire, ‘Okay, passiamo alla prossima’. Molti registi si dicono perfezionisti ma in realtà sono solo dei rompicoglioni. Stanley Kubrick è l’unico vero perfezionista che abbia mai incontrato”.

E non è finita! Il film detiene tuttora il record di produzione ininterrotta più lunga della storia. Ma non fidatevi dei 400 giorni indicati dal Guinness dei Primati. Sono in realtà 579 - un anno, sette mesi e due giorni. Un normale film di Hollywood conta le riprese in settimane. Non c’è davvero da sorprendersi se i giornali titolavano “I CONIUGI CRUISE OSTAGGIO DI KUBRICK”. Tuttavia, nessun attore si è mai lamentato. Disse Kidman: “A Stanley piaceva essere sorpreso. Gli piaceva se facevi la scena in un modo in un ciak e in un modo completamente diverso in un altro. In uno potevi piangere e in uno ridere, davvero. Ci permetteva, anzi ci incoraggiava a farla in modi diversi”. I proverbiali “cento ciak per ogni scena” non erano un modo per piegare gli attori, sfiancandoli e riducendoli a marionette, ma costituivano al contrario l’ultima stesura del copione, redatta da Kubrick direttamente sul set assieme agli attori. In altre parole, erano un invito alla collaborazione.

Che i due divi si fossero consegnati a Kubrick senza alcuna limitazione è uno dei miti fondanti del film, prova tanto della dedizione dei due attori quanto del potere assoluto del regista, in grado di togliere dal mercato a tempo indeterminato due delle star più redditizie di Hollywood. “Ci sono delle cose che non si fanno per denaro”, ribatteva Cruise. “Aver avuto l’opportunità di lavorare con Stanley Kubrick: questo è ciò per cui ne è valsa la pena”. Senza poter mettere mano sui contratti, non disponibili al Kubrick Archive per questioni di riservatezza, è difficile dire cosa sia stato stipulato in dettaglio. Tuttavia, è noto che il film entrò in produzione a novembre 1996 con una durata prevista di 16 settimane, fino a febbraio 1997. Al contempo è anche palese che Cruise e Kidman non si opposero al prolungarsi delle riprese fino al maggio del 1998. “Costi quel che costi” è ciò che dissero a Kubrick e che hanno ripetuto in tante interviste. Per cui, che sia vera o meno la storia del contratto aperto, la sostanza è indubbiamente quella.


Stanley, ci manchi tantissimo!


Incredibilmente, tra i 12 premi e le 30 candidature, spicca solo, purtroppo, la nomination ai Golden Globe del 2000 per le musiche originali di Jocelyn Pook. Troppo poco per questo capolavoro.




 
 
 

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