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Favolacce (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 mag 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 20 ott

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Favolacce

Italia, Svizzera 2020 dramma 1h38’


Regia: Damiano e Fabio D'Innocenzo

Sceneggiatura: Damiano e Fabio D'Innocenzo

Fotografia: Paolo Carnera

Montaggio: Esmeralda Calabria

Scenografia: Paolo Bonfini, Emita Frigato, Paola Peraro

Costumi: Massimo Cantini Parrini


Elio Germano: Bruno Placido

Barbara Chichiarelli: Dalila Placido

Gabriel Montesi: Amelio Guerrini

Max Malatesta: Pietro Rosa

Ileana D'Ambra: Vilma Tommasi

Giulia Melillo: Viola Rosa

Lino Musella: professor Bernardini

Justin Korovkin: Geremia Guerrini


TRAMA: Alla periferia meridionale di Roma, una piccola comunità di famiglie vive con i loro figli. Si tratta di un mondo apparentemente normale dove silente cova il sadismo sottile dei padri, la passività delle madri e l'indifferenza colpevole degli adulti. Ma soprattutto è la disperazione dei figli, diligenti e crudeli, incapaci di farsi ascoltare, che esplode in una rabbia sopita e scorre veloce verso la sconfitta di tutti.


Voto 7


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Da una periferia orrenda ad una periferia horror. Da un purgatorio ad un inferno. Da La terra dell’abbastanza alle Favolacce. Da Ponte di Nona a Spinaceto nulla cambia nei neri personaggi di quelle periferie buie di Roma. E se è possibile, e infatti succede, si può anche fare un ulteriore passo, ma in giù. Immaginavo che i fratelli D’Innocenzo avessero già mostrato il buio dell’anima della popolazione emarginata che si arrabatta con lavori più o meno illeciti, invece ci sbattono in faccia la feccia estrema, quella della terra dell’apparenza, un quartiere di “villini” a schiera abitati da gente che forse neanche lavora, ha dei figli che non educa, piccoli mostri in casa che trattano come soprammobili. Persino con enormi piscine gonfiabili, che, per dispetto verso gli zingari della zona, si trova gusto squarciare nottetempo.


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A far da trait d'union tra i due film c’è Max Tortora, che in questa occasione assume il compito di voce narrante lungo tutta la durata con interventi efficacissimi sin dall’introduzione, che chiarisce immediatamente quello che ci stiamo accingendo a vedere. Poche frasi con tono narrativo che aprono uno squarcio su quel mondo anomalo nascosto dal verde della campagna.

M’è capitata ‘na cosa curiosa settimane fa. Nella campagna della carta, assieme ad un “Venerdì” e diversi “Sorrisi & Canzoni”, ho trovato il diario di una bambina. Il fatto d’essere scritto in penna verde me lo fece liquidare con non interessante e lo presi solo all’idea di colmare le diverse decine di pagine lasciate sgombre con utilità. Inizio a leggerlo un pomeriggio e dopo essermi abituato alla calligrafia acerba e sognante segnalo a me stesso che mi sono interessato. Non resto colpito dai fatti in sé, ma dalla sensazione di misteriosa reticenza che mi provocano, come se non tutto fosse effettivamente su carta eppure presente con pesantezza. I fatti banali evocavano l’uomo banale con il quale non fatico ad identificarmi, sensazioni di ritrovata intensità, molto oltre la qualità delle righe. Sento sincera amarezza all’interrompersi delle pagine. Vorrei tutto quel resto che sento emergere, ma anche solo altre sconclusionate righe di fanciullesca inconsapevolezza su cui meditare. Arriva ad un determinato punto, poi non scrive oltre, senza preavviso e senza scrivere che non avrebbe più scritto. Forse ha trovato un diario migliore o forse ha trovato una vita migliore. Fatto sta che io quel diario l’ho tenuto e l’ho continuato, perché quella vita mi piaceva.

Quanto segue è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata.


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Storia vera, falsa, non ispirata, mentre l’obiettivo gioca tra primissimi piani di formiche al lavoro, il temporale in arrivo, la silhouette di una bambina dietro la tenda della finestra, una panoramica dall’alto sulla schiera dei villini. Ecco, ci siamo. Catapultati in un pianeta irrazionale abitato da gente imprevedibile, tra cui spicca un papà nevrotico dall’umore mutevole. Nella fattispecie ci stiamo interessando di qualche famiglia in cui tutti i padri e tutte le madri paiono essere venuti fuori direttamente dai borgatari di Pasolini mascherati da falsi benestanti, ma chi attira maggiormente l’attenzione sono i loro ragazzetti, che di primo acchito sembrano uguali a tutti i bimbi della terra a che invece si disvelano come i veri protagonisti della storia. Quella vera, ispirata a quella falsa. È un coro polifonico di gente che parla parla parla, in uno stretto vernacolo romanesco, mentre i bambini si esprimono poco, un po’ perché terrorizzati dalle conseguenze manesche di interventi inopportuni, un po’ perché preferiscono osservare, se non sono impegnati davanti alla TV delle trasmissioni inebetenti. Quando la macchina da presa si occupa di loro ci appaiono con occhi grandi sotto capelli disordinati, sguardi comprensivi con cui si scrutano tra loro e osservano i grandi senza riuscire a comprenderli nei loro strani atteggiamenti imponderabili. Vanno più o meno tutti in una stessa scuola, una classe sui generis, la cui didattica è affidata ad un professore che li istiga a costruire una bomba domestica. Il quale, una volta messo alla porta dalla responsabile, cambierà programma nell’ultima sessione per parlar loro di un potente veleno insetticida facilmente reperibile.


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Ogni festa di compleanno, ogni cena a base di grigliate con svolazzo di bistecche lanciate in strada ha una conclusione scontata, tra risate finite male e pettegolezzi mascherati, rimproveri ai figli e pianti isterici. Quando i ragazzini esaminano quegli adulti non riusciamo a capire se ne sono affascinati, se vorranno imitarli o se ne sono semplicemente atterriti, vista la totale apatia che si portano addosso come un vestito della festa, ostentando i propri difetti (anche fisici) come virtù. Qualcuno sogna in grande, un futuro sempre da coatto ma con una migliore sistemazione, qualcuna è incinta e si comporta come se non lo sia e cerca di vendersi persino ad uno di quei bambini. Siamo evidentemente nel girone inferiore dell’inferno borgataro. Sono la versione 2.0 di quelli brutti, sporchi e cattivi che già conoscevamo, sono la trasposizione nel terzo millennio di quelli che vivevano in una decina di catapecchie nel fango della periferia romana e tranne che per l’ambiente per loro non è cambiato proprio nulla. Non c’è l’oggi, figuriamoci il domani: ciò che conta è l’adesso e subito. Il nucleo familiare più normale è quello di Amelio e di suo figlio Geremia, l’uno di mestiere cameriere con grandi aspirazioni di miglioramento di vita, l’altro osservatore silenzioso che si affida al padre in tutte le scelte. Acconsente sempre, per sua fortuna, senza immaginare che ubbidendo anche nella decisione finale salverà la sua sopravvivenza, diversamente da chi invece verrà ritrovato sul tavolo da pranzo o nella vasca da bagno, da chi non avrà il coraggio di raccontare alla moglie ciò che ha scoperto e da chi sarà ritrovato riverso sull’asfalto per un estremo gesto di afasia sociale.


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Damiano e Fabio D'Innocenzo sono gli orchestratori di questo coro di voci differenti, povericristi ognuno con la sua personale via crucis, ognuno con i suoi progetti, ma tutti univocamente dediti al fallimento. Quel diario di cui all’inizio era pieno di favole cattive, di favolacce insomma, che questi due gemelli dell’orrore coatto hanno saputo (de)scrivere con parole appropriate, con una messa in scena degna degli incubi suburbani, ancorché abbellito dal prato rasato e dalle feste di compleanno con decine di regali. Con il romanesco stretto a cui bisogna prestare attenzione sennò ti sfuggono i dialoghi, con le inquadrature dall’alto o vicinissime, con i primi piani che ingrandiscono il viso dei bambini attoniti e silenziosi. Sceneggiatura essenziale, compensata dalla abbondante romanità dei personaggi, dialoghi intervallati da silenzi picchiati da un commento musicale suonato al ritmo di rumori boschivi, di versi animaleschi, di note contrastanti. Dal grandangolo de La terra dell’abbastanza (recensione) ai primi piani dal basso dei ragazzini del diario: il passo è quello giusto per portare due registi scapigliati fino ai premi da ritirare ovviamente in coppia, come l'Orso d’Argento di Berlino 2020 per la originalissima sceneggiatura.


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A parte degli elogi per i vari ragazzini più o meno esordienti (i registi raccontano di un migliaio di provinati), chi si rivede è l’enigmatico viso di Justin Korovkin, già manifestatosi nel lugubre e fascinoso The Nest (Il nido) (recensione). La sua presenza è sufficientemente inquietante quanto basta, con quella sua pronuncia dell’italiano che sembra venire da posti angosciati. Il tredicenne italo-canadese è al suo terzo film e lo vedremo chissà quanto ancora. Poi c’è Elio Germano che è un animale da set e da lui ci si può aspettare di tutto, dalla metamorfosi del poeta recanatese e del pittore della bassa padana a quella del romano più cafone di oggi. Grande attore. Un altro ruolo in evidenza è quello di Gabriel Montesi, già notato in altri recenti film. Chi sorprende felicemente è la bella imbruttita Ileana D’Ambra, qui fatta ingrassare fino a sembrare un’altra: imbiondita e con il grasso per tutto il corpo, preteso dai due registi che non solo l’hanno fatta mangiare fino alla nausea (sue parole) ma anche appesantita da protesi al seno e alla pancia dovendo interpretare la ragazza incinta. L’attrice ha dichiarato che “Io sono un’appassionata di arti marziali e di boxe, devo dire che ho dovuto prima di tutto smettere di fare sport. Fabio e Damiano mi hanno chiesto di eliminare qualsiasi attività fisica per mettere su un grasso evidente. Ho percepito che (i registi) hanno due personalità diversissime che si completano. Alcuni giorni camminano pari passo, in altre invece sorgono delle visioni diverse. Damiano l’ho sentito più con uno sguardo delicato verso gli attori, mi sono confrontata molto con lui rispetto a Fabio che magari sta più tempo dietro il monitor. Dall’altra parte però con Fabio ci siamo trovati a condividere l’intimità dei primi piani, come nella scena del mercatino girata con la macchina a mano.


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È uno strano film che fa vivere una esperienza particolare, è come vivere in full immersion in un altro mondo e quando finisce si avverte una liberazione, segno che i gemelli D’Innocenzo hanno fatto centro ancora una volta. Adesso li aspettiamo al varco.


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Riconoscimenti

Festival di Berlino 2020:

Orso d'argento per la migliore sceneggiatura

In competizione per l'Orso d'oro

Nastro d'argento 2020:

Miglior film

Miglior produttore

Migliore sceneggiatura

Migliore fotografia

Migliori costumi



 
 
 

2 commenti


kommos
17 lug 2021

Mi scusi, ho appena notato: La Berlinale premia con gli orsi anziché con i leoni. Faccio questo accenno non per pignoleria ma per chiamarLa a togliere un'ombra dall'accurata ed esaustiva recensione

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michemar
michemar
17 lug 2021
Risposta a

Urca,che errore, grazie KOMMOS! correggo immediatamente, grazie ancora :)

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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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