Figli (2020)
- michemar

- 11 mag 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 29 mag 2024

Figli
Italia 2020 commedia 1h37’
Regia: Giuseppe Bonito
Sceneggiatura: Mattia Torre
Fotografia: Roberto Forza
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Scenografia: Marinella Perrotta
Costumi: Chiara Ferrantini
Valerio Mastandrea: Nicola
Paola Cortellesi: Sara
Stefano Fresi: amico
Andrea Sartoretti: padre
Fabio Traversa: prete
Paolo Calabresi: padre con tanti figli
Valerio Aprea: padre separato
Massimo De Lorenzo: cliente
Carlo De Ruggieri: Luca
TRAMA: Nicola e Sara sono una coppia innamorata e felice. Sposati da tempo, hanno una figlia di sei anni e una vita che scorre senza intoppi. Tutto perfetto fino a quando l'arrivo del secondo figlio li farà scontrare con l'imprevedibile. Nonni stravaganti, amici sull'orlo di una crisi di nervi e improbabili baby-sitter non saranno loro di aiuto. Tra attimi di felicità e situazioni di sconforto, Sara e Nicola riusciranno a resistere e a rimanere insieme?
Voto 6

Avrebbe dovuto essere il terzo film di Mattia Torre, derivato da un monologo che aveva scritto per l'amico Valerio Mastandrea ed invece è stato per un gioco beffardo del destino l’ultimo lavoro portato a termine (purtroppo non del tutto, non avendo potuto realizzare lui stesso il film a causa della sua grave malattia). È la storia di Nicola e Sara, che vedono sfumare il momento idilliaco del proprio matrimonio a causa della nascita del secondo figlio Pietro. L’inaspettato squilibrio trascinato dal nascituro complicherà l’armonia di un’apparente serenità familiare attraverso rancori e rimorsi. Insomma, è la reale scomodità delle giovani famiglie d’oggi, tra i mille problemi che assillano le varie fasi della vita in comune allorquando necessita stipulare un mutuo per la casa, pensare al primo figlio, poi magari ecco che ne arriva un secondo quando ancora non hai del tutto superato le precedenti difficoltà, non sai organizzarti con il lavoro, oppure quando il maschio imbranato (quasi sempre) deve adattarsi a fare da mammo ma combina solo disastri, e via discorrendo. I figli, si dice e lo sappiamo, sono una ricchezza ma spesso non si è pronti ad essere genitori, soprattutto quando se ne ha uno e all’improvviso scopri che ne arriva un altro. I due si guardano in faccia, sono felici ma anche perplessi: come affronteranno la nuova situazione? Forse vogliono entrambi esprimere i loro dubbi ma la faccia produce invece il sorriso di circostanza. Poi quando ce l’hai in casa e per giunta piange sempre e soprattutto di notte cominciano le vere complicazioni e guardi verso la finestra. Mi butto.

Il testo del monologo:
I figli ti invecchiano perché passi le giornate curvi su di loro e la colonna prende per buona quella postura, perché parli lentamente per far capire quello che dici e questo finisce per rallentarti, perché ti trasmettono malattie che il loro sistema immunitario sconfigge in pochi giorni e il tuo in settimane. Perché ti tolgono il sonno per sempre: quindi assonnato, curvo, lento e acciaccato sei nella terza età.
I figli ti invecchiano anche perché quando vengono al mondo mettono fine con violenza inaudita alla stagione di aperitivi, feste e possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita. Murato in casa e reso cieco da una congiuntivite, hai un vago ricordo di ciò che eri e di quello che avresti potuto esprimere, ma non sai più che cosa. Hai solo molto, molto sonno.
I figli si insinuano nella tua mente in modo subdolo e perverso.
Se sei con loro, ti soffocano, se non ci sono, ti mancano.
Ci è successo di voler scappare dopo troppe ore insieme a loro e poi trascorrere tutta la serata in un ristorante a guardare le loro foto sul telefonino, straziati da una nostalgia senza senso, perché li avresti rivisti dopo un’ora, un’ora e mezza.
Parlo di figli al plurale perché quando ne hai uno solo l’impresa sembra ancora fattibile. Il tuo promo e unico figlio è gentile, dorme e sebbene l’assetto familiare è nuovo, hai ancora l’illusione di poter essere te stesso, ma se per caso arriva il secondo, arriva come una deflagrazione.
Nove mesi dopo che è nato il suo secondo figlio, il tuo appartamento è come un 41 bis e quando è così ogni scusa è buona per uscire.
Si litiga per chi deve fare la spesa o pagare il bollo della macchina, ci si catapulta fuori alla prima citofonata dell’Ama e la sera ci si affaccia alla finestra valutando le possibili conseguenze di un salto nel vuoto.
Quando poi finalmente riesci a uscire di casa, la babysitter è la tua nuova, esaltante, costosissima droga, beh, ti rendi conto che il mondo fuori non è più lo stesso, non fa già per te.
La gente è vitale, allegra, tonica, crede nel futuro e tu ti aggiri come un revenant, con l’andatura incerta, l’inconfessabile desiderio di voler solo tornare a casa. Inoltre perdi anche le tue certezze ideali: provavi una pena infinita per quelli che odiavano il weekend e bramavano il lunedì che il lavoro li teneva lontano dai figli.
Guardavi con sufficienza le casette anni sessanta con la zona pensata per la tata; le desideri con tutte le forze, la notte fai sogni catastali.
Ti sembrava sconcio che una famiglia viaggiasse con la filippina al seguito: beh non sogni altro. Sei un conservatore, non ti riconosci allo specchio e va benissimo così. I figli poi tirano fuori la tua rabbia perché devi saper dire no anche quando non ne hai voglia o quando quel giorno non hai la struttura emotiva per farlo. Quando lo esorti ad addormentarti da solo, tu lo esorti. Bravissimo, ma tu sei attanagliato da un tale senso di colpa che insieme alla madre, distrutta pure lei, vai a svegliarlo e chiedi, “Come va? Come era? Come è andata questa esperienza, incredibile”.
E lui ti guarda con un senso di confuso disprezzo, rigirandosi “Ma mi fai dormi’?”.
I Figli invece alla fine ti invecchiano perché sei già vecchio. In paesi dinamici ed evoluti dove la democrazia non è un concetto così imprendibile come da noi, i genitori hanno 25 anni, sono forti, flessibili e giustamente incoscienti. Qua se diventi padre intorno ai 35, 36, 38 anni, tra gli altri genitori del nido, vieni detto “il giovane”.
Intorno a me padri di 50-60 anni, con lo sguardo spento, la lombalgia e l’animo cimiteriale di chi non dorme da mesi e hai comunque l’impressione che loro siano più in forma di te.
Ma più di tutto conta ciò che i figli fanno alla tua mente. I figli ti fanno ripiombare con una forza che neanche l’ipnosi nel tuo passato più doloroso e remoto. L’odore degli alberi alle 8 del mattino prima di andare a scuola, la simmetrica, precisione dell’astuccio, la catena sporca della bici, le merendine, la ghiaia, le ginocchia sbucciate. Questi ricordi, non so dire perché, sono la mazzata finale. La vita stessa che credevi di avere incasellato in categorie discutibili, ma tutto sommato valide, tue, sfugge via.
Sei una piccola parte di un tutto più complesso e i gin tonic hanno smesso di darti l’illusione dell’eternità.
Sei un pezzo di un grande ingranaggio e siccome siamo in Italia, l’ingranaggio è vecchio e arrugginito e si muove a fatica. D’altra parte il tuo cuore non è mai stato così grande.


Confesso: mi sono messo con buona volontà per osservare con obiettività una commedia italiana ma non mi sono entusiasmato, pur in presenza di una scrittura intelligente e brillante, pur in presenza di una coppia di attori che sono sempre in forma. Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea sono sicuramente tra i migliori attori che sono in giro e ce l’hanno messa tutta: impegnati, compenetrati nel ruolo, duttili, entusiasti (soprattutto lui, amico dell’autore scomparso e consapevole della responsabilità di portare a termine il lavoro). Eppure mi sono divertito solo a tratti e in altri ho sofferto di noia e di un senso di prevedibilità. Ci sono indubbiamente delle belle trovate, in primis quella della finestra, che in scena è spesso spalancata, pronta ad accogliere lei e qualche volta entrambi i protagonisti il tuffo in strada liberatorio. Quando un matrimonio collassa si può scegliere se cadere sul posto o tuffarsi, almeno è un’alternativa. La seconda è di sicuro più plateale.

La regia di Giuseppe Bonito (già fattosi notare con Pulce non c’è), che avrà sicuramente girato pensando al vero autore e che ha cercato di farlo con le sue idee, è pulita e precisa e la trovata della sostituzione dei pianti insopportabili del bambino con La Sonata per pianoforte n. 8 - Patetica di Beethoven è stata geniale e divertente. I due attori bravissimi. La sufficienza è un giusto voto, ma non faccio salti di gioia.
Riconoscimenti
2021 - David di Donatello
Migliore sceneggiatura originale
Candidatura migliore attore protagonista a Valerio Mastandrea
Candidatura migliore attrice protagonista a Paola Cortellesi
Candidatura migliore montaggio






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