Freaks Out (2021)
- michemar

- 6 apr 2022
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 19 apr 2024

Freaks Out
Italia/Belgio 2021 fantasy 2h21’
Regia: Gabriele Mainetti
Sceneggiatura: Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone
Fotografia: Michele D'Attanasio
Montaggio: Francesco Di Stefano
Musiche: Gabriele Mainetti, Michele Braga
Scenografia: Massimiliano Sturiale
Costumi: Mary Montalto
Claudio Santamaria: Fulvio
Aurora Giovinazzo: Matilde
Pietro Castellitto: Cencio
Giancarlo Martini: Mario
Giorgio Tirabassi: Israel
Franz Rogowski: Franz
Anna Tenta: Irina
Max Mazzotta: Gobbo
Sebastian Hülk: Amon
Eric Godon: Gus
Emilio De Marchi: Wolf
Olivier Bony: Guercio
Michelangelo Dalisi: Gambaletto
Francesca Anna Bellucci: Cesira
Astrid Meloni: donna scimmia
TRAMA: Matilde, Cencio, Fulvio e Mario sono come fratelli quando il dramma della Seconda Guerra Mondiale travolge Roma. L'anno è il 1943 e, nel pieno del conflitto, la città eterna ospita il circo in cui lavorano. Israel, il proprietario e loro padre putativo, scompare nel tentativo di aprire una via di fuga per tutti loro oltre oceano. I quattro giovani sono allo sbando. Senza qualcuno che li assista ma, soprattutto, senza il circo, hanno smarrito la loro collocazione sociale e si sentono solo dei fenomeni da baraccone in una città in guerra.
Voto 7,5

Scoprire un supereroe italiano, che per giunta come i personaggi di cui si attorniava parlava non in inglese ma in romanesco, fu una forte ventata di novità. Il film d’esordio di Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot del 2015, sorprese non poco sia per l’originalità nel panorama nostrano sia per la caratterizzazione dei protagonisti. Girato con un basso budget, poteva essere un caso isolato anche per l’inaspettato successo che riscosse, ma in ogni caso era difficile attendersi un successivo exploit rimanendo nello stesso genere. Ed invece il regista, sorretto dal ricco soggetto di Nicola Guaglianone, suo sodale co-sceneggiatore, non solo si conferma ma realizza un film di grande presa e di fantasiosa inventiva, una grande avventura fantasy che chiaramente si rifà al modello dei gruppi di supereroi mutanti portando però la storia nell’ambientazione italica. E non solo, anche inserendola nella Storia italiana, per giunta nel periodo importante dell’occupazione nazista e della ribellione dei movimenti partigiani.

Innegabile i riferimenti al western di Sergio Leone (spettacolare la lunga sequenza finale dell’assalto al treno dei deportati ebrei) e al cinema del nostro dopoguerra, quasi (scusate l’ossimoro) un neorealismo tramite il fantasy, dove gli italiani cercavano di arrabattarsi per sopravvivere con ogni espediente, magari sognando anche di scappare all’estero: l’America, la terra della speranza. Proprio come accade ai nostri quattro eroi. La giovane Matilde (Aurora Giovinazzo) è la donna elettrica, che ha quello che tutti le dicono sia un “dono” e che invece le sembra una maledizione: con le mani e con la bocca accende le lampadine ma soprattutto può sprigionare un’energia spaventosa che lei evita di usare, tanto ne ha paura dopo che - come rivelerà nel finale - ha involontariamente ucciso la madre. Mario (Giancarlo Martini) è un nano (il regista scherza anche sulle sue dotazioni nascoste come da leggenda) buono e affettuoso che gode delle doti della calamita e riesce a manovrare a distanza gli oggetti metallici. Fulvio (Claudio Santamaria) è l’uomo-gorilla, totalmente coperto dal lungo pelo marrone, con una forza incredibile capace di spaccare tutto e di uccidere con le sole mani, un personaggio tipo la Bestia degli X-Men. E poi c’è Cencio (Pietro Castellitto) un giovanotto albino in grado di comandare gli insetti, dominarli e scatenarli conto i nemici. Non c’è dubbio, sono forti, speciali, super. Ma sono anche coscienti che, non essendo normali, non possono convivere con la popolazione comune e ciò li rattrista e li fa vivere appartati.

I quattro, poveri in canna, si affannano a sbarcare il lunario lavorando in un piccolo circo senza pretese al servizio del loro datore di lavoro, Israel, un gentile ebreo barbuto che fa loro da padre di famiglia, incoraggiandoli a non mollare nonostante il pochissimo pubblico che li va a guardare in quel pessimo momento storico in cui l’esercito tedesco spadroneggia per le strade e sta iniziando a rastrellare gli ebrei di Roma. La prima scena ci mostra una piazza dove è sistemato il piccolo tendone del circo, chiamato, in perfetto romanesco, Mezza Piotta davanti al quale Israel invita la gente ad entrare, evocando i meravigliosi numeri di cui sono capaci i suoi quattro freaks, uno spettacolo fantastico in cui però “Non tutto è come sembra”. Che strano! Eppure, questa scena la rivedremo in La fiera delle illusioni - Nightmare Alley di Guillermo del Toro, quasi identica! Nel film del regista messicano l’ingresso nel padiglione posto nel luna park costa un quarto dollaro e a quel prezzo si vedranno cose imperdibili come l’uomo-animale. Lì Clem Hoately è un giostraio senza scrupoli, qui Israel è un brav’uomo che vuol salvaguardare il lavoro dei quattro, in particolar modo la vita di Matilde, che per lui è come una figlia. Purtroppo lo spettacolo viene bruscamente interrotto dai bombardamenti degli aerei tedeschi e molti cadono sotto i colpi.

Per una vita migliore e per dare fiducia al loro futuro, Israel ha un progetto di difficile attuazione: partire per l’America, dove sicuramente i loro talenti saranno ben ripagati ed avranno una vita migliore. Ma per attuare il piano servono soldi, tanti: 300 lire a testa! Significano gli interi risparmi di ognuno di loro, che, controvoglia e dopo tentennamenti, accettano il sacrificio e consegnano la somma al capo affinché vada in città per comprare i biglietti, per poi salpare col cuore gonfio di speranza. Lui parte ma non darà più notizie se non dopo tante disavventure. Anche quelle dei nostri quattro mutanti, che incontreranno, mettendosi alla ricerca dell’uomo che non ha più dato notizie, un gruppo di partigiani (ovviamente anche loro personaggi in tono con il film, come il Gobbo, il Gambaletto, il Guercio) ed il famoso circo nazista in Italia: Berlin Zircus, capitanato da Franz, un pianista tedesco esadattilo dotato di poteri di chiaroveggenza, il quale da tempo “vede” l’arrivo di quattro strani personaggi e il suicidio del führer. Se il circo romano aveva la Stella di David come emblema, questo ha una gigantesca croce nazista sopra l’ingresso.

Tante cose succederanno e saranno vicini anche a perdere la vita per colpa degli odiati soldati stranieri e per l’ingordigia artistica e il razzismo di Franz, che voleva sfruttarli nel suo circo: sarà lui l’avversario più difficile da (ab)battere. È lui l’immancabile villain presente in tutte le storie di fantascienza del cinema moderno, è lui l’ultimo vero ostacolo prima che Fulvio, Matilde, Cencio e Mario, nonostante abbiano liberato il povero Israel, anch’egli nei vagoni ferroviari della morte, possano giungere alla libertà. La lunga sequenza finale della battaglia, nei pressi della ferrovia, dove viaggia il treno merci pieno di gente rastrellata dalle abitazioni di Roma, è epocale e girata con grande maestria da Gabriele Mainetti, come se fosse alla sua ventesima opera, segno evidente di chiarezza di idee, di visione globale convinta, di senso della spettacolarità e, perché no, dei mezzi messi a disposizione dalla produzione perché consapevole di un progetto che poteva riuscire, che poteva portare un risultato eccellente. In buona sostanza, consci della cieca fiducia nel regista e nella sua numerosa troupe di cui ha avuto bisogno. Il cinema di Mainetti si sta rivelando come un progetto totalmente nuovo e innovativo, prendendo la matrice del comic Marvel ma riplasmandola sotto forma mitologica e perfettamente nostrana, diciamo autoctona. Dove il supereroe parla in vernacolo, materializzandolo come una figura vicina a tutti, dove il cinema è sì kolossal ma anche una storia di tutti i giorni, perché se i quattro sono dotati di superpoteri è anche vero che sono gestiti come figli da una persona normalissima che deve sacrificarsi per quella che pare la più debole, la più indifesa. In modo che il vero eroe alla fine risulta proprio quello che non è.


È anche un inno ai martiri della nostra Storia, un bando contro il dittatore, contro le divise e le bandiere con le svastiche, contro gli odiosi occupanti: basterà una scossa elettrica che diventa fuoco interiore e il nemico viene sconfitto per sempre, fino all’inevitabile suicidio di chi aveva frainteso la preveggenza. Ma è anche l’inno alla gloria dei maestri di cinema che hanno ispirato la mano di Gabriele Mainetti, registi profetici e visionari come Fellini e rivoluzionari e pratici come Leone. Chissà, vuoi vedere che dopo gli spaghetti-western sono arrivati gli spaghetti-comics? Se al nostro regista vanno complimenti ed elogi, per la lungimiranza, la fantasia, la bravura nello sceneggiare con Guaglianone un soggetto così affascinante, nell’ideare quattro bei protagonisti, nel dirigere il film come farebbe un vecchio lupo di mare con una nave carica di gente e merci preziose, nel portare a termine un progetto così ambizioso, se vale tutto questo, va anche dato merito ai simpaticissimi attori che hanno contribuito non poco al successo.

Prima di tutto da sottolineare la presenza dell’attore tedesco Franz Rogowski, che è Franz, che arriva dopo essere stato alla corte dei maggiori autori europei. Il suo personaggio cattivo è pazzo e malvagio a tutto tondo e lui, con quella faccia sbilenca, lo rende perfettamente. Poi, chi sa cogliere la bella opportunità è il sempre bravo Giorgio Tirabassi (Israel) che calza a pennello il suo ruolo. Invece tra i quattro eroi/mostri, a parte l’irriconoscibile perché totalmente coperto Claudio Santamaria (che pari continui il filone dell’uomo forzuto dopo il suo Jeeg Robot) e a parte il piccolo (di statura… e solo di statura!!!) Giancarlo Martini, chi si distingue per guittismo è Pietro Castellitto, che con questi ruoli va a nozze. Ma chi sale sul podio al primo posto è la bravissima Aurora Giovinazzo, dotata non di poteri ma di talento che sicuramente la farà andare lontano.

Fotografia meravigliosa, montaggio che non fa mai perdere il ritmo alla narrazione, riprese magistrali accompagnate dall’ottimo commento musicale. Senza dimenticare che senza gli efficaci e riusciti effetti speciali ed il lavoro dei tecnici (anche quelli prostetici) molte scene non sarebbero state realizzate così bene, come per esempio i giochi luminosi dell’energia elettrica della giovane protagonista o con la miriade di insetti di Castellitto, che (udite, udite) sono proprio veri ma che poi sono stati mappati in 3D. Un film – lungo, ma non ci si accorge neanche - che ridà linfa nuova al cinema italiano, senza dimenticare una frase contenuta nella sceneggiatura che in queste settimane di guerra in Ucraina suona sempre come monito principale: “La guerra non ha vincitori, mio signore, ma solo sconfitti”.
Impareremo mai?

Riconoscimenti
2021 - Festival di Venezia
Premio Pasinetti speciale
2022 - David di Donatello
Miglior produttore
Miglior scenografo
Miglior truccatore
Miglior acconciatore
Migliori effetti speciali visivi
Miglior autore della fotografia
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior suono
Candidatura per la miglior regia
Candidatura per la miglior sceneggiatura originale
Candidatura per la miglior attrice protagonista a Aurora Giovinazzo
Candidatura per il miglior attore protagonista a Franz Rogowski
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Pietro Castellitto
Candidatura per il miglior compositore
Candidatura per il miglior costumista
Candidatura al David Giovani
2022 - Nastri d'argento
Miglior scenografia
Migliori costumi
Miglior montaggio
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regia
Candidatura miglior attrice protagonista Aurora Giovinazzo
Candidatura miglior attore non protagonista Pietro Castellitto
Candidatura miglior fotografia
Candidatura miglior casting director
Candidatura miglior colonna sonora






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