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Gangs of New York (2002)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 5 dic 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 24 nov

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Gangs of New York USA, Italia 2002 dramma 2h47'


Regia: Martin Scorsese Soggetto: Jay Cocks Sceneggiatura: Jay Cocks, Steven Zaillian, Kenneth Lonergan Fotografia: Michael Ballhaus Montaggio: Thelma Schoonmaker Musiche: Howard Shore Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo Costumi: Sandy Powell


Leonardo DiCaprio: Amsterdam Vallon Daniel Day-Lewis: William "Bill il macellaio" Cutting Cameron Diaz: Jenny Everdeane Jim Broadbent: William "Boss" Tweed Henry Thomas: Johnny Sirocco Liam Neeson: Padre Vallon Brendan Gleeson: Walter "Monk" McGinn John C. Reilly: "Happy" Jack Mulraney Gary Lewis: McGloin Stephen Graham: Shang Eddie Marsan: Killoran Alec McCowen: reverendo Raleigh Larry Gilliard Jr.: Jimmy Spoils Cara Seymour: Hell-Cat Maggie David Hemmings: Mr. Schermerhorn Barbara Bouchet: Mrs. Schermerhorn Roger Ashton-Griffiths: P.T. Barnum


TRAMA: New York, 1846, quartiere di Five Points. Una cruenta battaglia tra gangs sancisce il trionfo di William Cutting detto Billy the Butcher, capo dei nativi americani e la morte di Padre Vallon, protettore degli emigranti. Sedici anni dopo il figlio di questi, Amsterdam, esce dal riformatorio fermamente deciso a ingraziarsi l’assassino di suo padre per poi vendicarsi. Conosciuto Billy, Amsterdam ne viene in pratica adottato e arriva a salvargli la vita. Una volta scoperto e sfigurato, si risolverà a combattere apertamente contro di lui. Ma sono gli anni della Guerra Civile: l’ultimo scontro tra le gang sarà decisamente superato in violenza e ferocia dall’intervento delle truppe inviate a far rispettare la coscrizione obbligatoria.


Voto 8


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Walter McGinn, detto Monk, lo dice chiaramente: “Mio padre è morto combattendo in strada, in Irlanda, contro quelli che ci opprimono da sempre. Una guerra vecchia di mille anni: pensavamo di essercela lasciata alle spalle e invece ci ha preceduti qui, già ci aspettava quando siamo sbarcati.”

La guerra è arrivata dove nessuno immaginava arrivasse, a New York. Quattro giorni e quattro notti di orrore, l’apice dell’odio scatenato a Five Points, la zona della città che si estende tra il porto, Wall Street e Broadway, dove gli immigrati sopravvivono tra stenti e ricoveri topaie. È, secondo la lettura personale di Martin Scorsese, la nascita definitiva di una nazione, che avviene tramite centinaia di morti, tra i combattimenti di etnie le più diverse: irlandesi, neri e nativi (ma poi di quale nativi si parla se son bianchi?). Eccettuato qualche titolo, Scorsese si è sempre sporcato le mani con le storie violente che hanno riguardato l’immigrazione e non solo dal punto di vista dell’accettazione e dell’accezione sociale. Spesso ha lanciato lo sguardo nel campo minato dove l’immigrato, una volta insediato, non si è fermato a convivere e sopravvivere, ma a farsi largo e a prevalere, utilizzando la sua rabbia di povero e adeguandosi allo stile del nativo.


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Non è sicuramente la prima volta che il regista trova serie difficoltà a realizzare il megaprogetto che ha in testa e che sogna da tempo, ma tra difficoltà di capitali e discordanze con la produzione (i fratelli Weinstein della Miramax furono spesso in disaccordo) il film ha avuto alti e bassi e solo la caparbietà di Scorsese ha potuto vincere la sfida, con la conseguenza che forse l’opera non è stata il capolavoro che voleva sin dall’inizio. Per esempio, guardando la scrittura, risulta un evidente differenza di spessore nei due personaggi principali, William Cutting, il macellaio imperioso e furioso, e lo scialbo e poco convincente Amsterdam di Leonardo DiCaprio. Certo, la valenza tra i due attori non è mai stata paragonabile, essendo sempre Daniel Day-Lewis più di una spanna su tutti gli altri come interprete, ma è proprio nel disegno e nello sviluppo dei due ruoli che si verifica la differenza. Questo però non toglie nulla all’alto tasso di drammaticità e di tragedia che incombe su tutta la storia, che è fatto di sangue, di arti mozzati, di ferocia indicibile, ma anche di sentimenti spesso repressi o mascherati, come si può anche leggere nel viso e nel portamento di Bill the Butcher, il capo della gang di New York City chiamata Bowery Boys, violento pugile a mani nude, e uno dei leader del movimento politico dei Know Nothing.


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Nonostante ciò, è proprio il personaggio di Amsterdam Vallon quello che porta il vessillo del film, che è pur sempre un racconto di vendetta, motore di tanti romanzi e di fiumi di opere cinematografiche. La vendetta è marchiata con il sangue di Padre Vallon sulla lama del giovane che non dimentica e che sogna di regolare una volta per sempre i conti con il macellaio. È per questo che il film è perfino barbaro ed estremo. È fatto di sangue alla pari di tante altre battaglie per la supremazia. È la Storia che ce lo insegna: i Popoli e i Paesi sono sempre (o quasi) nati sul sangue e la New York di Scorsese non è da meno.


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Ancora una volta (è una caratteristica costante dei suoi film) Martin Scorsese ha bisogno di moltissimi minuti per filmare gli eventi e il contenuto politico di questo racconto e, se pensiamo che era inizialmente nato per durare quattro ore(!), possiamo immaginare quali intenti erano nella sua mente. Doveva e poteva essere l’occasione epica della vita, il capolavoro assoluto.

Può essere che sia rimasto solo un capolavoro mancato, e invece è “solo” un film bellissimo e coinvolgente, con memorabili inquadrature di massa, con campi profondi, movimenti di macchina avvolgenti per far vivere meglio i momenti cruciali.

Un’altra pietra miliare di Martin Scorsese.


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Riconoscimenti

Oscar 2003

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la miglior regia

Candidatura per il miglior attore protagonista a Daniel Day-Lewis

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

Candidatura per la migliore fotografia

Candidatura per la migliore scenografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior montaggio

Candidatura per il miglior sonoro

Candidatura per la miglior canzone (The Hands That Built America)

Golden Globe 2003

Miglior regia

Miglior canzone (The Hands That Built America)

Candidatura per il miglior film drammatico

Candidatura per il miglior attore in un film drammatico a Daniel Day-Lewis

Candidatura per la miglior attrice non protagonista a Cameron Diaz

BAFTA 2003

Miglior attore protagonista a Daniel Day-Lewis

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la miglior regia

Candidatura per la miglior sceneggiatura originale

Candidatura per la miglior fotografia

Candidatura per la miglior scenografia

Candidatura per i migliori costumi

Candidatura per il miglior montaggio

Candidatura per il miglior sonoro

Candidatura per il miglior trucco

Candidatura per i migliori effetti speciali



 
 
 

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