The Irishman (2019)
- michemar

- 4 dic 2019
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 25 dic 2023

The Irishman
USA 2019 biografico 3h29’
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Charles Brandt (libro)
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Musiche: Robbie Robertson
Scenografia: Bob Shaw
Costumi: Christopher Peterson, Sandy Powell
Robert De Niro: Frank "The Irishman" Sheeran
Al Pacino: Jimmy Hoffa
Joe Pesci: Russell Bufalino
Harvey Keitel: Angelo Bruno
Bobby Cannavale: Felix "Skinny Razor" DiTullio
Anna Paquin: Peggy Sheeran
Stephen Graham: Anthony "Tony Pro" Provenzano
Kathrine Narducci: Carrie Bufalino
Domenick Lombardozzi: Anthony "Fat Tony" Salerno
Sebastian Maniscalco: Joe "Crazy" Gallo
Ray Romano: Bill Bufalino
Jesse Plemons: Chuckie O'Brien
Jack Huston: Robert F. Kennedy
TRAMA: Frank Sheeran detto "The Irishman" è un veterano della seconda guerra mondiale, invischiato con il mafioso Russell Bufalino. Attraverso gli occhi di Frank, nel corso dei decenni, viene raccontata la sua vita e la sua carriera mafiosa, tra cui uno dei più grandi misteri che ha ossessionato l'opinione pubblica statunitense, la scomparsa nel luglio 1975 del sindacalista Jimmy Hoffa, amico dello stesso Sheeran. Un caso nel quale è inevitabilmente invischiato lo stesso Fank e che è rimasto irrisolto nel tempo. Nessuno è stato mai condannato né il corpo di Hoffa è mai stato ritrovato.
Voto 9

Il cinema ci porta spesso a scoprire nuovi autori molto interessanti, alcuni con stili innovativi o con idee che danno nuova linfa moderna al movimento dei giovani registi, poi succede che “pum-pum” la vita ti piazza due film dei registi tra i più anziani in circolazione che ti riportano alla mente il Grande Cinema, quello classico e collaudato, dallo stile immortale. È stato proprio il caso di questi giorni, in cui ho potuto assistere al bellissimo L’ufficiale e la spia di Roman Polanski, di cui ho scritto qui, e al film in questione, questa immensa e straordinaria ultima opera di Martin Scorsese. Due uomini di grande cinema che insieme fanno oggi 163 anni. Due film che hanno molto in comune, non i contenuti né lo stile ovviamente, ma la forza potente della narrazione, la perfezione della regia, sicura ed esperta, la scelta adeguata degli attori, l’ambientazione, i costumi, un romanzo di base che fa viaggiare su binari sicuri.
Il film di Scorsese è già di per sé un miracolo al concepimento e alla reunion degli attori protagonisti, perché mettere assieme Roberto De Niro, Al Pacino (non è spontaneo urlare al miracolo solo per la presenza di questi due dei?), Joe Pesci, a cui si aggiunge Harvey Keitel, beh tutto ciò sa di prodigioso, e poi, guardando il film, ci si rende conto di assistere ad uno spettacolo unico, continuo e tanto lungo (3h e 29’), necessariamente lungo, perché le cose da raccontare sono tante.

È un’opera di dialoghi, di tanti colloqui, fatti faccia a faccia, attorno ad un tavolino di bar, di ristoranti, in salotti o in auto, discorsi fitti ma scarnificati, dove ogni parola ha il suo peso specifico, dove non è necessario (anzi evitato) essere didascalici, tutti basati su una leggendaria sceneggiatura di Steven Zaillian, già autore di script eccellenti di enorme successo e alla seconda collaborazione con Scorsese dopo Gangs of New York. Un film indubbiamente parlato ma che si ricorderà a lungo non solo per la parte espressa a parole, sarebbe un grave errore. È un film di sguardi, di occhiate, di piccole espressioni, di minime alzate di sopracciglia, campo in cui Robert De Niro eccelle sin dai primi passi della sua carriera ma che qui assurgono a livello di eccelsa recitazione mimica. La scena in cui Russell Bufalino (Joe Pesci), il potente boss, spiega a Frank Sheeran “l’irlandese” dove deve andare e cosa deve fare a Detroit ma senza minimamente utilizzare parole precise e nomi, è un continuo campo e controcampo magistrale di Martin Scorsese in cui è possibile apprezzare i leggeri movimenti del viso dei due uomini. Un’alzata di spalle di Russ, gli occhi di Frank che lo guarda dritto e poi sposta lo sguardo sul muro, più volte, fino a quando comprende pienamente cosa gli sta venendo ordinato dal suo vero e unico capo. Quando realizza nella mente il duro compito che lo attende lo riguarda ancora un paio di volte, alternando lo sguardo verso l’alto: devo proprio fare questo?

Non sarà certamente l’ultimo film della densa carriera di Martin Scorsese ma rimarrà per sempre la sua opera conclusiva, l’opera esaustiva, quella che chiude definitivamente il discorso del gangster-movie. Per lui e per tutti: non ce n’è più per nessuno. Discorso chiuso. Sia perché è un lento e lungo racconto della fine di un’epoca e di una stirpe di uomini che hanno tenuto in mano gli affari malavitosi di per molti anni e per una vasta regione degli Stati Uniti (tra Philadelphia, Pittsburgh e Detroit) – perfino passando come una tangente nel cerchio buio dell’assassinio di JFK -, sia perché non so se sarà mai possibile rifare un film di questo tenore e contenuto. Un film pieno di morti, di assassinii, di patti, di ordini mormorati e mai ben sillabati, di morti violente e anche di qualche morte naturale. Come succede al nostro protagonista, a cui Scorsese ci introduce con un importante piano sequenza iniziale, in cui la macchina da presa percorre i corridoi di un ospizio fino a giungere ad una camera. Dentro c’è Francis "Frank" Joseph Sheeran, soprannominato The Irishman, ormai alla fine dei suoi giorni, vecchio, malato e soprattutto solo, semmai sia stato qualche volta il marito, il padre, l’amico di qualche persona. Si chiamavano amici se non addirittura fratelli ma quando diventava necessario o impellente l’ordine di sparare in faccia partiva e il compito veniva assolto, amici o fratelli che si chiamassero. La lunga narrazione che inizia Frank è quella riportata da Charles Brandt nel saggio intitolato ‘L'irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses)’, basato appunto sulla vita del personaggio. È l’elenco degli avvenimenti, degli affari, dei morti, delle alleanze, ma anche dell’influenza socio-politico-economica che ebbe il potente sindacato dei camionisti presieduto dal leggendario Jimmy Hoffa (un enorme Al Pacino!): qualcuno l’ha definito il canto funebre, della mafia (almeno quella raccontata dal film) e del genere scorsesiano. Anche perché il nostro buon Martin è l’unico al mondo che racconta e sa raccontare queste storie. Un film che dobbiamo definire solenne e importantissimo perché è denso di trama, di recitazione, di regia, di sceneggiatura, di fotografia, di brani musicali (sempre importanti e influenti nell’intera opera di Scorsese). È come vedere tanti film, uno per ognuno dei sei elementi che ho indicato: la trama ne è il terribile contenuto; la recitazione è fuori di ogni classificazione, dato l’eccelso cast che possiamo ammirare (difficile fare una graduatoria dei migliori attori, specialmente per il trio principale, tre giganti di recitazione) ed inoltre… che brividi quando parlano in italiano (!); la regia è solennemente sublime; la sceneggiatura di Steven Zaillian è da ritenersi basilare per la potenza del film; la fotografia di Rodrigo Prieto è spettacolare; la sequenza dei vari brani musicali che comprendono i successi di quei tempi e del rock che Sorsese non dimentica mai nei suoi film è parte integrante del racconto, lo accompagna come un comprimario. Notevole è la scena di un matrimonio, dove tra i banchi Russell Bufalino e Frank Sheeran con le rispettive mogli vengono filmati come i quattro componenti di un gruppo musicale, schierati in modo da essere inquadrati e visti bene, mentre in sottofondo viaggiano i The Five Satins che cantano la bellissima In the Still of the Night. Menzione a parte per la solita bravissima Thelma Schoonmaker, il cui montaggio è sempre così efficace che a momenti non ci si fa più caso, tanto è brava.

“La storia che segue si svolge dal 1949 al 2000 e va continuamente avanti e indietro nel tempo. Si apre con un uomo di 82 anni che racconta il viaggio della sua vita partendo da un matrimonio nel 1975 per poi precipitarsi agli anni Cinquanta, ai Sessanta e ai Settanta, tornando continuamente al presente. Nonostante l'ampio respiro del racconto, il tema centrale è dato dalla relazione tra i tre protagonisti - Sheeran, Bufalino e Hoffa – e l'ambiente in cui si muovono. La cosa bella della storia è il triangolo che formano e come grazie a loro si dipanino temi come lealtà, fratellanza e tradimento.” (Martin Scorsese)

Era tutto iniziato con un piano sequenza in soggettiva per entrare nella camera di Frank, si finisce con ancora un piano sequenza per uscirne, ma, come chiede lui al sacerdote a cui si confida negli ultimi giorni, con la porta socchiusa. Affinché “anche la morte non sia definitiva”.
Capolavoro!
Riconoscimenti
2020 - Premio Oscar
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior regista
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Al Pacino
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Joe Pesci
Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per la migliore scenografia
Candidatura per il miglior montaggio
Candidatura per i migliori effetti speciali
Candidatura per i migliori costumi
2020 - Golden Globe
Candidatura per il miglior film drammatico
Candidatura per il miglior regista
Candidatura per il miglior attore non protagonista in un film a Al Pacino
Candidatura per il miglior attore non protagonista in un film a Joe Pesci
Candidatura per la miglior sceneggiatura






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