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Gioco pericoloso (2025)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min
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Gioco pericoloso

Italia 2025 thriller 1h34’

 

Regia: Lucio Pellegrini

Sceneggiatura: Lucio Pellegrini, Elisa Fuksas

Fotografia: Radek Ładczuk

Montaggio: Clelio Benevento

Musiche: Donato Dozzy

Scenografia: Daniele Frabetti

Costumi: Massimo Cantini Parrini

 

Adriano Giannini: Carlo Paris

Elodie: Giada Costanzi

Eduardo Scarpetta: Peter Drago

Elena Lietti: Sofia Moretti

Tea Falco: Alba Moretti

Massimo Coppola: editore

Iaia Forte: Liana Albini

Stefano Abbati: Oscar

Maria Camilla Brandenburg: Maria Tanner

 

TRAMA: Una ballerina alle prese con il suo primo ruolo da protagonista e uno scrittore in crisi creativa vivono un amore intenso. L’arrivo di un giovane artista emergente metterà alla prova il loro legame.

 

VOTO 5,5


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La relazione di Giada (Elodie), ballerina professionista, alle prese con la produzione del suo primo spettacolo da protagonista, e Carlo (Adriano Giannini), scrittore in crisi alla ricerca di una nuova storia da raccontare, gode ancora di grande complicità e intimità, mentre ognuno dei due persegue con determinazione la propria carriera.  L’incontro con Peter (Eduardo Scarpetta), un giovane artista deciso ad affermarsi nel mondo dell’arte contemporanea ma indeciso perché spazia dalla fotografia alla pittura e all’architettura senza però specializzarsi in nessuna disciplina, affascina Carlo che lo introduce in famiglia. Quando Giada vede Peter ha però una reazione indispettita e cerca in ogni modo di allontanarlo dalla loro casa. Il motivo, subito sospettato e che si rivelerà pian piano con lo sviluppo della trama, è semplice: lui potrebbe far riemergere qualche indicibile segreto del suo (loro?) passato.



Quello di Lucio Pellegrini, una carriera di regista tra commedie al cinema e serie TV, lontano quindi da questo genere, si spinge nel territorio del thriller anche psicologico, dove pesano le atmosfere misteriose di un passato che viene trattenuto, se non proprio nascosto, dalla protagonista femminile, ma che, risulta evidente, il terzo incomodo nella vita della coppia vuol far venire a galla. Anzi, si sta divertendo sadicamente a farlo materializzare con lucida calma, seguendo un piano distruttivo. Nel senso che rivelando ciò che naviga sotto lo strato della nuova amicizia tra i due uomini è un ricordo terribile che Giada ha messo da parte, sperando per sempre.



Purtroppo le premesse rivelano una costruzione narratoria abbastanza scontata, con personaggi dal cliché sfruttatissimo. Carlo è uno scrittore in crisi di creativa (e ti pareva?), Peter (nome d’arte di un più comune Gianpiero) è un giovane autodefinitosi artista multidisciplinare, molto presuntuoso ed invadente, con capigliatura e barba estrose per meglio atteggiarsi. Si incontrano ad una mostra d’arte moderna dove ben presto conosciamo buona parte dei personaggi più importanti della trama. Qui la sceneggiatura commette subito l’errore nel ricercare frasi ad effetto, tentativo che rivela sempre la mancanza di inventiva e di altro necessario per interessare il pubblico. Mentre Carlo è perplesso davanti ad uno schermo su cui viene proiettata una casa che va a fuoco (si ripresenterà materialmente nel finale), osservando che “nessuno guarda le opere” perché tutti i presenti chiacchierano e bevono, la sua amica e ammiratrice Sofia (Elena Lietti), direttrice del Maxxi, gli spiega che “l’importante non è che le si guardi, ma che se ne parli!”.



Subito dopo gli si avvicina lo sconosciuto Peter: “L’arte non interessa più a nessuno. Ma il nostro compito è difendere la poca bellezza che ci resta. Carlo Paris.” “L’ho scritto io?” “Sì.” Ok, vogliamo stupirvi con grande spirito ed originalità, con aforismi da far tremare le gambe. Così pare la sceneggiatura del regista e di Elisa Fuksas, figlia del celebre architetto, ma quando si inizia col piede sbagliato lo spettatore spera che si possa solo migliorare in seguito. E ciò avviene, ma non in maniera tale da costituire una ciambella di salvataggio sicuro, se non si raddrizza la barca nella tempesta della trama. Inoltre, i tre personaggi centrali sono troppo stereotipati e prevedibili, mentre il mistery si infittisce ma non stupisce più di tanto, essendo uno sviluppo quasi scontato, non sorprende mai. Come se noi fossimo dietro le quinte e avessimo già il copione tra le mani. Che ci sia stata una storia forte ed anche torbida tra Peter e Giada lo si intuisce subito e il compagno della donna pare troppo ingenuo da non capire mai e troppo facilmente attratto dall’amicizia con quell’estraneo, mai capace di intuire che abbia delle mire specifiche e che voglia mandare all’aria l’armonia e l’attrazione della coppia al loro interno, con tanto di probabile matrimonio all’orizzonte.



Quante volte abbiamo visto che uno scrittore in crisi creativa prende spunto dalle strane vicende che gli capitano per avere uno straccio di idea per un nuovo romanzo? Accade anche qui e, come da prassi, la trama si avviluppa tra ciò che accade nella storia e ciò che lo scrittore si inventa, parallelamente. Fino al punto che il finale ci riserva la sorpresa di vedere, con un salto all’indietro nel tempo o come se fosse una struttura circolare che ricomincia, Giada e Peter assieme ma con altri nomi, sempre davanti ad un perplesso Carlo durante una rituale firma copie del suo libro appena uscito con successo di vendite. Finale interpretabile a piacimento. Che non fa bene al film, perché o punti al vero thriller o svaghi verso il surreale. Qui non si sa. Il mistero, nel frattempo, della villa vicino all’abitazione della coppia, in una Sabaudia super piovigginosa, si svela secondo le aspettative, chiarendo meglio chi fosse Maria Tanner e che fine abbia fatto nel passato nebuloso e lisergico di Giada e Peter.



A bilanciare questi difetti ci pensano il buon cast tecnico di nomi ottimi e la recitazione più che sufficiente degli attori e non solo dei primi tre. Adriano Giannini è bravo anche se sembra che gigioneggi ogni volta, ma è il suo modo di porsi; Elodie è incisiva: sta migliorando come interprete, non essendolo ancora del tutto ma è sulla strada buona; Eduardo Scarpetta mi ha sorpreso positivamente, forse il migliore, e sebbene a volte dia l’idea di essere troppo impostato la resa è buonissima. L’aspetto, dovuto sia al personaggio che ha qualcosa di diabolico nella ricerca di realizzare il piano preparato, sia alla preparazione estetica - zazzera e barba - lo fa diventare un villain-stalker de noantri sufficientemente credibile: di quel sorriso non mi fiderei mai.



Arte, thriller, manipolazione. Ingredienti giusti per fare un buon film ma Lucio Pellegrini è la prima volta che si cimenta e lo si nota. Con la prima puoi raggirare i non esperti ed è sempre opinabile (Peter a volte parla come uno Sgarbi meno arrabbiato, ma siamo lì), il secondo non lo diventa mai se non a livello psicologico, la terza è la base su cui costruire il personaggio di Scarpetta e con lui buona parte del film. Se ci fosse stata una sceneggiatura migliore e dialoghi che non scendono nel facile effetto (“Perché tu non sei il pubblico, sei l’opera!”) forse le cose sarebbero andate meglio. In ogni caso, il film, di certo non indimenticabile, si lascia vedere. Ma non rivedere. Come è da rivedere la regia per un film di questo tipo: non te la puoi cavare con tecniche facili, confezione di film falsamente extra lusso, primi piani e qualche scena di sesso e di nudo (quella nella doccia è un classico). Ci vuole anche la sostanza. Alcuni argomenti abbandonati non aiutano: che fine hanno fatto i genitori dello pseudoartista?

 


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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